Gli effetti economici della guerra in Ucraina irrompono sulla delicatissima situazione dell’Argentina, proprio all’indomani dell’accordo, dopo due lunghi anni di trattative, tra il Governo presieduto da Alberto Fernández e il Fondo monetario internazionale. Lo scorso 26 marzo, infatti, l’organismo ha approvato ufficialmente l’accordo con l’Argentina per il rifinanziamento del debito di 45 miliardi contratto nel 2018. La settimana prima l’intesa aveva ricevuto l’ok del Parlamento di Buenos Aires. L’accordo ha sbloccato un esborso immediato equivalente a circa 10 miliardi di dollari. La ristrutturazione del debito, secondo l’accordo, consentirà all’Argentina di ridurre il deficit e di tenere sotto controllo l’inflazione, oggi attorno al 50%. Non sono mancate, nel Paese, divisioni nella maggioranza e proteste, con diverse manifestazioni pubbliche. La paura è che sia la classe più povera a pagare il costo dell’accordo, come già accaduto per la pandemia del Covid-19 e come rischia di accadere per gli effetti del conflitto in Ucraina. Da un lato, l’Argentina paga la sua dipendenza a livello energetico, dall’altro può sfruttare le grandi coltivazioni di cereali per rispondere al cresciuto fabbisogno di prodotti agricoli. Ma, in questo secondo caso, sono tutti da dimostrare gli effetti redistributivi sulla popolazione. A farsi carico dei vari dubbi e interrogativi è anche la Chiesa argentina, per bocca di mons. Jorge Lugones, gesuita, vescovo di Lomas de Zamora e presidente della Commissione per la Pastorale sociale (Cepas) della Conferenza episcopale argentina.
Lo scorso 3 marzo, il Governo argentino ha raggiunto un nuovo accordo con il Fondo Monetario Internazionale sulla ristrutturazione del debito monetario. Spera che possa trattarsi di un accordo favorevole?
Nessun accordo con il Fondo Monetario Internazionale può andare bene, se condiziona l’attività economica interna e le norme di protezione sociale, soprattutto con gli alti tassi di povertà ed emarginazione che esistono nel nostro Paese. Tuttavia, è fondamentale avere un accordo, affinché il Paese non rinunci agli impegni assunti con gli organismi di credito, e che al tempo stesso determini una ristrutturazione che permetta allo Stato di continuare a prestare attenzione alle esigenze di chi è più bisognoso. Il peso della povertà nel nostro Paese è molto grande. Anche se spesso si tratta di persone organizzate in cooperative, per lo più lavoratori dell’economia popolare, ci sono milioni di argentini il cui sostentamento si completa con l’assistenza economica dello Stato.
Nell’attuale situazione economica, gli argentini non possono essere oggetto di politiche di aggiustamento di bilancio. Appare essenziale che la leadership politica nel suo insieme si assuma le responsabilità istituzionali adeguate, rispetto a un simile condizionamento.
In una recente lettera della Cepas si parlava di due debiti, monetario e sociale. La situazione sociale continua a peggiorare? Come si può descrivere la situazione oggi?
La pandemia di Covid-19 è arrivata ad aggravare la profonda crisi sociale esistente, derivante dall’applicazione delle politiche neoliberiste degli anni recenti. In questo momento si intravedono alcuni segnali di piccola ripresa, l’attività di molti settori del lavoro e di gran parte dell’economia popolare è parzialmente ripristinata, si registrano riprese nei consumi di beni e servizi a tutti i livelli. Tuttavia, il debito sociale continua ad essere molto ampio, e continua ad avere un effetto molto forte, soprattutto su bambini e adolescenti. La cultura dell’incontro proposta da Francesco ci sembra il percorso pertinente da percorrere per andare verso il raggiungimento dei nostri obiettivi, insieme ai principi proposti dal Papa: il tempo è superiore allo spazio, l’unità prevale sul conflitto, la realtà è più importante dell’idea, il tutto è superiore alle parti. L’economia popolare è emersa spontaneamente, come uno sforzo affinché tutti gli argentini abbiano lavoro. La dignità e il significato che il lavoro è in grado di dare sono i mezzi più efficaci per combattere il narcotraffico, la malnutrizione e l’insicurezza.
E in particolare come si presenta la situazione lavorativa dopo la pandemia? Le istituzioni affrontano adeguatamente questo problema?
Avvertiamo insistentemente che creare lavoro è l’unico modo per andare avanti, per passare dal paradigma delle sovvenzioni al paradigma del lavoro. Si deve tornare alla dignità del lavoro. Regolare e registrato, in grado di consentire lo sviluppo per tutti, svolgendo al contempo un approccio globale all’economia popolare, per implementare strategie che generano valore su larga scala. Da quanto si vede, nei settori del mondo del lavoro “regolare”, c’è una ripresa in alcune attività industriali. C’è anche un movimento economico nell’attività dei servizi. Ma ci sono ancora molte difficoltà per lo sviluppo degli attori dell’economia popolare.
Sebbene esistano politiche volte a convertire l’assistenza in posti di lavoro, non è ancora chiaro se queste politiche siano di portata sufficiente per contrastare la povertà e i tassi di disoccupazione.
Insisto che l’asse centrale è la difesa del lavoro, minacciato dalle attuali concentrazioni economiche, una situazione esacerbata dall’impatto della tecnologia, che elimina molto più lavoro di quello che crea. L’Argentina, da tempo immersa in conflitti permanenti, sia politici che socio-economici, ha bisogno di costruire un punto di incontro dove tutti i settori, senza perdere la propria identità, possano contribuire alla progettazione di un Paese dove si tutti abbiano un lavoro, dove possiamo vivere con dignità e dove possiamo recuperare il senso di Nazione.
C’è spazio in Argentina per un’economia diversa, come sogna Papa Francesco? Ci sono già segni?
Proprio questa economia popolare, sostenibile, attenta all’ambiente di cui abbiamo parlato è il sogno di Papa Francesco. I movimenti sociali in Argentina sono cresciuti nell’organizzazione per la progettazione di cooperative di lavoro; c’è ancora molta strada da fare. Molti cittadini argentini esclusi dal mondo del lavoro vogliono lavorare, anche se è necessario approfondire gli strumenti per farlo.
Crede che la guerra in Ucraina possa influenzare la situazione economica del Paese? Come?
La guerra in Ucraina, soprattutto, come ogni scontro armato, è una tragedia, una tragedia umanitaria. Sicuramente, visto il luogo in cui si svolge e l’impatto sull’energia, potrebbe creare difficoltà al nostro Paese, che importa una grande quantità di energia.
È vero che il nostro Paese è anche tra i maggiori detentori di risorse agricole, come i cereali, i cui valori su scala mondiale sono in aumento. Ciò può favorire la bilancia dei pagamenti, purché non significhi un aumento maggiore dei prezzi interni del nostro Paese, che colpisca chi ha di meno.
Come Chiesa, quali misure concrete vengono proposte? E quali buone pratiche sono già in atto?
Molte persone, in condizioni difficili da sostenere per la precarietà del loro ambiente, hanno però dimostrato di essere capaci di tessere legami di appartenenza e di convivenza che trasformano il sovraffollamento in un’esperienza comunitaria. Queste esperienze di salvezza comunitaria hanno generato reazioni creative. È importante continuare ad accompagnare queste comunità, soprattutto nella cintura che circonda Buenos Aires, la capitale, dove vivono quattordici milioni di persone. Per esempio, a livello ecclesiale abbiamo accompagnato il movimento laicale “Cuidadores de la casa común”, con l’obiettivo di recuperare giovani in situazione di vulnerabilità psicosociale, proponendo l’enciclica del Papa Laudato si’, e la formazione al lavoro in nove nuclei, tra cui terra, pesticidi naturali, riciclo, energie rinnovabili, cucina sana, turismo ecologico. I giovani coinvolti sono quattromila in 17 province del Paese.