“Vi chiederò di aiutarci col vostro talento e le vostre parole. Più leggerete libri sull’Ucraina, più capirete perché gli Ucraini sono pronti a dare la loro vita per l’indipendenza del loro Paese. La storia dell’Ucraina non è la storia della Russia, ma quella dell’Europa. Putin dice che Russi ed Ucraini sono un solo popolo, ma poi bombarda i cittadini ucraini di ogni nazionalità. A nome di tutti gli Ucraini, chiedo il vostro aiuto morale, culturale e politico.” È il messaggio che lo scrittore ucraino di lingua russa Andrej Kurkov ha inviato in video agli scrittori europei riuniti a Parigi il 2 marzo u.s. per celebrare l’unità culturale dell’Europa. Era stato invitato, ma ha preferito rimanere a casa sua, sotto le bombe, a Kiev.
Ritrovo l’angoscia insita nell’appello dell’intellettuale ucraino Nikolaj Vasil’evic Gogol (1809-1852), il grande scrittore ucraino che, ancora giovanissimo, scriveva: “La grande ingiustizia del mondo è una sventura, quella che più di tutte lacera il cuore. Ho giurato di non passare nemmeno un minuto della mia breve esistenza senza fare del bene. Per due anni mi sono occupato del diritto degli altri popoli e delle leggi naturali, ora mi occupo del diritto patrio. Si realizzeranno i miei alti piani o l’oblio li coprirà con le sue oscure nubi?” Era nato a Bol’sie Sorocincy, nel governatorato di Poltava, in un’antica famiglia tipicamente ucraina. Trascorse l’infanzia nella proprietà paterna di Vasil’evka presso Mirgorod e a dieci anni entrò nel ginnasio di Poltava e poi, come interno, in quello di Nezin, dove rimase dal 1821 al 1828.Ho voluto scrivere con precisione i nomi di queste località, dopo essermi accertata che esse erano e sono tuttora ucraine; mentre scrivo, ho davanti agli occhi lo scenario di guerra che quasi certamente esse oggi presentano: gli edifici distrutti, i carri armati nelle strade o nelle periferie, i negozi senza rifornimenti, la mancanza dì elettricità e di comunicazioni, uomini che, nel freddo e nella precarietà, accompagnano le famiglie verso i confini, per poi ritornare a resistere agli invasori.
Il territorio in cui Gogol nacque, allora denominato Piccola Russia, era compreso nel vasto impero degli zar, la cui capitale, Pietroburgo, esercitava una forte attrazione per i giovani che, come lui, avevano ambizioni da realizzare in campo letterario. Vi giunse nel 1828, amicizie importanti gli aprirono le porte del mondo pietroburghese ai più alti livelli. Non dimenticava tuttavia la patria: la steppa con le fughe dei suoi sterminati paesaggi, le figure che aveva conosciuto ed amato, il popolo di cui ricordava la soggezione ai potenti, la povertà, i segni, sui corpi dei servi della gleba, (anche donne e bambini), delle frustate inferte per vere o supposte trasgressioni.
A venti anni, scrisse in lingua russa e pubblicò due volumi di racconti ucraini, “Veglie alla fattoria presso Dikan’ka; iniziò poi una storia dell’Ucraina, le ricerche per la quale confluirono in uno dei suoi capolavori “Taras Bul’ba”, un romanzo epico-storico ambientato nell’Ucraina del XVII secolo, governata dai Polacchi a cui si oppongono i Cosacchi; il romanzo narra la vicenda di uno dei loro condottieri, Taras, eccezionale figura che lascia nei lettori tracce indelebili per forza di azioni e sentimenti. Di sé Gogol ebbe a dire: “Sono un cosacco in libertà”, in opposizione all’imbrigliamento accademico che Pietroburgo gli proponeva. All’atmosfera della capitale egli dedicò tuttavia pagine immortali intitolate “La prospettiva Nevskij”. Altri lavori seguirono e tutti altissimi per innovazione e tensione narrativa, i più famosi: “Il cappotto”, “Il naso”, “Il ritratto”, “L’ispettore generale.” Ma Gogol trovò libertà e felicità da noi: “Mia bella Italia, nessuno al mondo mi separerà da te.Tu sei la mia terra natale… chi è stato in Italia, dice addio al resto del mondo, chi ha conosciuto il cielo, non vuole più scendere sulla terra”. E ancora: “Ci si innamora di Roma lentamente, ma quando la si ama è per sempre. Non v’è sorte più bella che morire a Roma.” Erano gli anni 1837-1840, lo scrittore frequentava le case dei nobili russi vicini al cattolicesimo, abitava in Via Sistina, pranzava nelle trattorie di Trastevere, dove lo chiamavano il sor Nicola. A Roma nacque un altro capolavoro: “Le anime morte”; si chiamavano così i servi della gleba maschi morti, ma non ancora registrati come tali. Un tal Cicikov, con un piano truffaldino, le acquista con l’intento di arricchirsi; è un romanzo di denuncia sociale, il quadro di una Russia in rovina abitata da figure grottesche.
Notevole: Gogol ha in mente l’Inferno di Dante, ma l’opera non avrà né Purgatorio, né Paradiso, perché la vicenda esistenziale di Gogol, anche a causa di una salute che lo stava abbandonando, si avvia lungo una china sconcertante, fatta di inattesi atteggiamenti reazionari che rinnegavano ogni precedente ricchezza. Andò in Palestina per purificarsi da imprecisate colpe. Parlava con terrore della morte e vi si preparava con digiuni e preghiere, sostenuto in ciò da un fanatico predicatore.
Dopo tanto vagare, (era stato a Firenze, a Napoli, a Genova, a Marsiglia, a Parigi, ad Amburgo, a Lubecca, a Ginevra…un europeo!), sente, rasserenante, il desiderio della patria: giunge in nave a Odessa, (quanti timori sentiamo esprimere oggi sulla sorte di questa città ucraina!), trascorre due mesi lá dove era nato, nella tenuta di famiglia a Vasil’evka; ancora un soggiorno a Mosca, torna in Ucraina, visita il monastero di Optina Pustyn e passa tutto l’invero del 1850 a Odessa; in aprile è ancora a Vasil’enka, ma i fantasmi, tante volte evocati nella scrittura, non lo lasciano. È la quaresima del 1852: Gogol ha 43 anni, digiuna, prega, dá battaglia al diavolo, getta nel fuoco la seconda parte de “Le anime morte”, davanti al giovane servitore che lo implora in lacrime di non farlo. Da quel momento rifiuta di nutrirsi e si lascia morire. Tanti, da parte dei biografi, i tentativi di svelare il mistero di questa anima; uno plausibile: una personalità complessa e ambiziosa, stremata alla fine da percorsi narrativi faticosi e mai prima registrati, riflettenti grandi speranze e forti contraddizioni, e non di un solo popolo.