Cosa ci fa un enorme sottomarino nucleare degli Stati Uniti, con 300 soldati a bordo, al largo di Cartagena, città colombiana sul mar dei Caraibi? Perché diverse esercitazioni vedono impegnate in queste settimane la Marina colombiana con quella americana e francese? Si tratta del segno tangibile che gli echi della guerra in Ucraina si avvertono immediatamente anche in America Latina. L’attenzione prioritaria è posta sulla Colombia, l’alleato più fedele degli Usa nel Continente, dal 2018 “partner globale” della Nato, e sul confinante Venezuela, dove invece il despota Nicolás Maduro, che in tutti i modi, tre anni fa, gli Stati Uniti hanno provato a spodestare, gode del fondamentale sostegno della Russia. Immancabilmente, il termometro delle tensioni tra i due Paesi confinanti ha cominciato a innalzarsi.
Di sicuro, insomma,
il conflitto in atto avrà effetti sugli equilibri geopolitici e sull’economia dell’America Latina.
In modalità e intensità ancora imprevedibili. Gli occhi sono, naturalmente, puntati sugli alleati di Mosca: Cuba (protagonista, pochi anni dopo la rivoluzione castrista della crisi del 1961-62, per la quale si sfiorò il conflitto mondiale), Venezuela, Nicaragua. Ma Vladimir Putin, in questi anni, ha saputo costruirsi un rapporto anche con il Brasile di Bolsonaro (come ha testimoniato la recente visita a Mosca del presidente brasiliano) e con l’Argentina. Lo stesso vaccino Sputnik è stato usato come strumento “diplomatico”.
Un interessante termometro sull’atteggiamento dei Paesi latinoamericani rispetto alla guerra è stato il voto di mercoledì 2 marzo all’Assemblea dell’Onu. Mentre il Venezuela, come sanzione derivante dalla repressione degli scorsi anni, è stato privato del diritto di voto, la sorpresa è arrivata da Cuba, che non ha votato contro la risoluzione, come tutti si aspettavano, ma ha preferito astenersi. Scelta seguita anche da Nicaragua e Bolivia, mentre tutti gli altri Governi, compresi quelli di sinistra (dal Messico all’Argentina, dall’Honduras al Perù) hanno votato insieme alla maggioranza dei Paesi, condannando l’azione militare di Mosca. Tuttavia, sia Bolsonaro che il messicano López Obrador si stanno tenendo alla larga dal conflitto.
Gli amici di Mosca e la crescita della Cina. “In America Latina – dice al Sir lo storico Massimo De Giuseppe, docente di Storia contemporanea all’Università Iulm di Milano ed esperto di questioni latinoamericane – è molto forte l’attenzione a quanto sta succedendo in Ucraina. Anche a livello accademico, tanti vogliono capire, approfondire”. Dal punto di vista geopolitico “bisogna dire che, a parte Venezuela, Cuba e Nicaragua, la Russia non ha giocato recentemente un ruolo effettivamente centrale. Il vero attore protagonista, nel Continente, è la Cina, mentre non si capisce ancora bene il ruolo che intendono esercitare gli Stati Uniti dopo il disimpegno di Trump rispetto al tradizionale ‘giardino di casa’, anche se le premesse sono quelle della promozione di equilibri nuovi e più avanzati. Il rapporto della Russia con Cuba è quello più radicato, per motivi storici, quello con il Venezuela è più importante dal punto di vista militare”.
Secondo il docente, “nuove sanzioni, o comunque un irrigidimento degli Stati Uniti, potrebbero riguardare i Paesi amici di Putin”. Forse, l’astensione all’Onu si spiega con la volontà di non aumentare il possibile isolamento. In generale, è prevedibile che l’influenza cinese continui a crescere, “la Cina non ha bisogno della Russia per giocare la sua partita. La presenza del Paese asiatico è cresciuta in modo esponenziale negli ultimi due anni, non solo lungo il Pacifico, ma anche in Brasile e Argentina, o nell’El Salvador di Bukele”. In Colombia, invece, le elezioni sono imminenti. Il favorito, secondo i sondaggi, è Gustavo Petro, che diventerebbe il primo presidente di sinistra della storia colombiana. Su di lui gli avversari continuano a riversare accuse di “castro-chavismo”, non proprio il miglior biglietto da visita per guidare il Paese più vicino agli Usa. “Io, però – prosegue De Giuseppe – non sono convinto che l’attuale crisi avrà un ruolo nella scelta degli elettori. La destra uribista appare comunque nella sua fase finale, io penso che come è accaduto in Cile con la vittoria di Boric, che tra parentesi in attesa del suo imminente insediamento sta avendo una posizione molto equilibrata, le elezioni colombiane si giochino sul piano interno”.
Le conseguenze in Venezuela. Inevitabilmente, però, come si diceva, l’attenzione è su Venezuela e Cuba. Spiega al Sir Félix Arellano, docente di Scienze politiche all’Università Centrale del Venezuela e coordinatore del master di Relazioni internazionali e bilaterali del medesimo ateneo: “Gli oligarchi vicini a Maduro hanno cercato protezione nei paradisi fiscali e anche in Russia, dove hanno trovato ampia accoglienza. Le imprese russe sono in primo piano nell’industria petrolifera”. Facile, dunque, prevedere dei contraccolpi. “Ma, nel breve periodo, prevedo invece un atteggiamento più aggressivo verso l’Occidente, senza passi in avanti nel negoziato con l’opposizione avviato in Messico. Quanto al voto all’Onu, non ho dubbi che se il Venezuela avesse potuto votare sarebbe stato il sesto Paese a schierarsi con la Russia, piuttosto, mi ha sorpreso l’astensione di Cuba, che storicamente deve tutto a Mosca”. Per il resto, anche il prof. Arellano è convinto che nell’attuale scenario “possa emergere ancora di più il ruolo chiave della Cina, che sarà la vera vincitrice di questa crisi. Di fronte a un attacco così antistorico e aberrante, si stanno rafforzando anche le Istituzioni multilaterali e sovra-nazionali”. L’incognita è il Brasile di Bolsonaro: “Ogni tendenza autoritaria ha un nucleo invariabile: più Stato, nazionalismo, xenofobia… questi valori valgono per gli autoritarismi di sinistra e di destra. Per questo il nucleo duro del potere di Putin affascina sia il Venezuela che Bolsonaro”.
Aumenta il prezzo del petrolio, ma… Dalle dichiarazioni di Arellano si intuisce che un altro “fronte” continentale è rappresentato dall’economia, in una situazione di grande difficoltà causata dalla pandemia.
La salita del prezzo delle materie prime potrebbe favorire i Paesi latinoamericani.
“Effettivamente – riflette il prof. De Giuseppe – ciò accadde durante la Seconda guerra mondiale, ma se anche ciò accadesse, si registrerebbero contraddizioni profonde, senza una progettualità distributiva e acutizzando la dipendenza delle economie dall’estrattivismo”. Anche in questo caso, particolare attenzione merita il disastrato Venezuela. “Lo scorso anno i dati macroeconomici del Paese sono leggermente migliorati – registra l’economista venezuelano Asdrúbal Oliveros, direttore di Ecoanalítica –. Dall’aumento del prezzo del petrolio il Paese trarrà un effetto positivo, quantificabile in 2 o 3 milioni di dollari. D’altro canto, il supporto russo è fondamentale nell’estrazione del greggio e il nostro Paese ha un sistema finanziario sincronizzato con quello russo. Potrebbero anche esserci nuove sanzioni. Insomma, è difficile prevedere cosa prevarrà. A livello continentale, poi, potrebbe esserci un innalzamento dell’inflazione, in una situazione di forte scontento sociale”.
Aggiunge il prof. Arellano: “Dubito che il Venezuela possa approfittare dell’aumento dei prezzi, non ci sono più imprese… la benzina la importiamo. Ci sono poi altre conseguenze: il turismo nell’isola di Margarita si stava riprendendo grazie ai russi. Una risorsa importante che ora cadrà. E a livello continentale, ugualmente, ho dubbi sulla capacità produttiva, anche di fronte a un aumento dei costi sulla materia prima”.