(da New York) – Sono le 22 di mercoledì, a New York, quando al Consiglio di sicurezza dell’Onu, riunito in seduta straordinaria per negoziare la pace in Ucraina, arriva la notizia dell’invasione. Il segretario generale, Antonio Guterres ha appena chiesto di “dare alla pace una chance”, quando in contemporanea il presidente russo Vladimir Putin annuncia “un’operazione militare in Donbass”, e questo mentre il suo ambasciatore, Vasily Nebenzya presiede la seduta e consulta freneticamente il cellulare a cercare conferma di quella che tutti gli altri stati membri al tavolo cominciano a chiamare “guerra”, “aggressione ingiustificata”, “attacco”.
L’ambasciatore ucraino all’Onu, Sergiy Kyslytsya, mette da parte i fogli e fronteggia l’ambasciatore russo e tutti i membri del Consiglio di sicurezza con in mano la carta delle Nazioni Unite. “Il mio Paese è stato attaccato” dice con tono drammatico e legge l’articolo 4 che impegna i membri dell’Onu alla pace. Chiede al segretario generale che tutti i membri del Consiglio di sicurezza e dell’Assemblea generale ricevano la nota con cui nel 1991, l’Onu accolse la richiesta della Federazione Russa di entrare nell’assise del Palazzo di vetro e con tono duro chiede all’ambasciatore Nebenzya di chiamare Putin al telefono e chiedergli di fermare la guerra. Lo invita poi a lasciare la presidenza di turno del Consiglio di sicurezza, in quanto rappresentante di un paese aggressore e di cederla ad uno degli altri stati membri. Sono momenti tesi. L’ambasciatore russo si rifugia nelle formule di galateo, ma non alza lo sguardo dai fogli, mentre farfuglia che si tratta di un genocidio nella regione del Donbass e che l’operazione militare non è contro il popolo ma “contro chi è al potere”. La seduta si scioglie nell’impotenza e nel turbamento generale in attesa della riconvocazione.Guterres, a conclusione del Consiglio, rilascia una dichiarazione estemporanea e supplica ancora una volta Putin: “In nome dell’umanità, riporta le tue truppe in Russia, in nome dell’umanità non permettere di iniziare in Europa, quella che potrebbe essere la peggiore guerra dall’inizio del secolo”. Il pensiero del segretario generale va a chi morirà, agli sfollati, alle conseguenze per i paesi poveri che non riusciranno a riprendersi dalla crisi della pandemia per l’alto costo del petrolio e delle riserve energetiche. Ripete a più riprese la parola “sofferenza”, prima di concludere dicendo:
“Quello che mi è chiaro è che questa guerra non ha alcun senso”.
È trascorsa la mezzanotte quando sul sito della Casa Bianca compare una sintesi della telefonata tra il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy e il presidente statunitense Joe Biden. La richiesta di Zelenskyy è chiara: chiamare a raccolta i leader del mondo per una condanna unanime dell’aggressione russa e per un sostegno altrettanto unanime per il popolo ucraino. Biden si impegna a incontrare già giovedì i membri del G7 e ad emettere ulteriori sanzioni. In una dichiarazione di poche ore prima Biden e la first lady Jill avevano assicurato le loro preghiere per “il coraggioso popolo ucraino”, mentre il presidente continuava a definire l’attacco russo “non provocato e ingiustificato”. “Il presidente Putin ha scelto una guerra premeditata che porterà una catastrofica perdita di vite umane e sofferenze umane. Solo la Russia è responsabile della morte e della distruzione che questo attacco porterà. Il mondo riterrà responsabile la Russia”.
Nelle chiese Usa, da settimane, si prega quotidianamente per la pace in Ucraina. Nella chiesa di San Nicola a Watervliet, nello stato di New York, la piccola comunità di 120 parrocchiani ha pregato in inglese ed ucraino e a loro si sono uniti i leader religiosi della chiesa ortodossa ucraina di San Nicola, della chiesa armena di San Pietro e via Zoom i membri della Chiesa di Sant’Andrea a Leopoli, una città nell’Ucraina occidentale. La chiesa di San Giorgio a New York, dove risiedono oltre 150.000 ucraini ha indetto una veglia di tre giorni. A questi appuntamenti sacri non sono mancati anche i rappresentanti di altre religioni e proprio ieri, Religions for Peace ha convocato gli esponenti delle fedi per un’ora di preghiera comune online.
Domenica a Washington, sugli scalini del Lincoln memorial si sono ricordati i 14.000 morti della precedente guerra in Crimea del 2014, con la manifestazione “Stand With Ukraine”. Una serie di oratori, tra cui anche ambasciatori e attivisti, si è rivolta alla folla, dove erano mescolati sacerdoti delle chiese cattoliche ucraine, greco-cattoliche e ortodosse. Insieme hanno cantato Panychida – una preghiera commemorativa per coloro che sono morti in un conflitto, in attesa di tornare a cantare la preghiera della pace.