“Sai se domani arrivano i Russi?”. Il viaggio in Ucraina di una delegazione salesiana

“Abbiamo deciso di fare un viaggio in Ucraina per andare al di là delle cronache diplomatiche e militari e arrivare a capire le ricadute sulla gente comune del braccio di ferro che è in corso tra le grandi potenze”, spiega Antonio Labanca delle Missioni Don Bosco che, con la fotoreporter Ester Negro, ha trascorso cinque giorni tra Kiev e Leopoli visitando le diverse opere salesiane nel paese, parlando con i giovani e la gente comune oltre che con le autorità. Sono tornati portandosi dietro l’idea di un Paese che sa di essere una pedina in un gioco più grande, ma che non vuole rinunciare a rivendicare la sua indipendenza. E nel quale riecheggiano ricordi storici mai dimenticati, anche se nascosti

(Foto Ester Negro)

Dignità e fermezza. Consapevolezza di essere sull’orlo del precipizio. Eppure essere capaci di mantenere la calma e vivere normalmente, preparandosi al peggio. Sono queste le impressioni che rimbalzano nel racconto di chi è andato in Ucraina per vedere “con i propri occhi” la situazione ed è appena tornato, portandosi dietro l’idea di un Paese che sa di essere una pedina in un gioco più grande, ma che non vuole rinunciare a rivendicare la sua indipendenza. E nel quale riecheggiano ricordi storici mai dimenticati, anche se nascosti.

“Abbiamo deciso di fare un viaggio in Ucraina per andare al di là delle cronache diplomatiche e militari e arrivare a capire le ricadute sulla gente comune del braccio di ferro che è in corso tra le grandi potenze”, spiega Antonio Labanca delle Missioni Don Bosco che, con la fotoreporter Ester Negro, ha trascorso cinque giorni tra Kiev e Leopoli visitando le diverse opere salesiane nel paese, parlando con i giovani e la gente comune oltre che con le autorità.

Labanca precisa subito: “Non abbiamo mai sentito toni di odio verso i russi di oggi. Anzi, non solo ci sono legami forti tra russi e ucraini, ma per le strade abbiamo visto anche bus in arrivo dalla Russia circolare liberamente. Nel 2021 l’interscambio è cresciuto del 25%. Certo c’è attenzione a quello che accade, ma c’è capacità di distinguere tra il presente e il passato, in attesa di un futuro che tutti sanno potrebbe essere drammatico”. Per questo, per esempio, istituzioni locali e popolazione si stanno organizzando per avere scorte alimentari e di acqua: “In caso di attacco – dice Labanca -, si vuole arrivare comunque preparati”. Tutto, però, viene fatto con attenzione a non cadere nel panico e nella paura. “Nelle scuole si fanno numerose esercitazioni per tenersi pronti in caso di bombardamento. Ogni edificio che può, pubblico o privato che sia, ha allestito negli scantinati dei rifugi muniti di taniche di acqua e di alimenti di base”.

Ci si sforza di far funzionare tutto nella normalità: “Nelle scuole, abbiamo visto le classi piene, i laboratori professionali in attività. La domenica dopo la Messa, come tradizione, si è fatto una merenda tutti insieme”. Certo, questo accade nella capitale e nei centri urbani fuori dai territori occupati dai russi nel 2014: più ci si avvicina al confine nord-orientale e più la guerra si sente nell’aria e nella sua concretezza. “Ma d’altra parte – precisa Labanca -, è appunto dal 2014 che gli ucraini hanno a che fare con questo stato di cose. La tensione, certo, potrebbe salire di tono e dilagare in tutto il Paese in breve tempo”. Già adesso è guerra psicologica, fatta di annunci contraddittori e di false notizie costruite apposta per minare lo spirito positivo della gente. Si tratta di una guerra che, per ora, non riesce però a vincere sui militari e sui civili.

Poi c’è il passato che allunga la sua ombra. Gli ucraini, magari in modo frammentario ma forte, si ricordano quanto è già accaduto con i sovietici. Era la prima metà degli anni Trenta quando Stalin ordinò l’Holodomor e cioè quello che è stato definito come il più imponente sterminio della storia europea del XX secolo dopo l’Olocausto: un genocidio per fame scatenato da una carestia i cui effetti vennero ingigantiti dalle collettivizzazione forzata delle campagne che causò la morte di circa sei milioni di ucraini. Un fatto sul quale per decenni è calato un velo di omertà, ma che gli ucraini non pare abbiano dimenticato. C’è insomma un passato molto difficile tra Russia e Ucraina. “Probabilmente è anche per questo – dice Labanca -, che le istituzioni, ma anche la popolazione, sottolineano in ogni occasione la volontà di recuperare il senso della patria. Che per loro significa recupero della memoria e difesa dei principi democratici e di libertà. È come se il Paese dopo il periodo sovietico fosse ripartito da zero e, oltre a crescere, volesse scoprire quanto è davvero accaduto nel secolo scorso”.

E adesso? Cosa potrà accadere? “In Ucraina – spiega Labanca -, tutti sono consapevoli di essere al centro di un gioco più grande di loro, ma non per questo rinunciano a voler difendere quanto hanno conquistato. Poco importa se il pericolo sia determinato dal mai sopito imperialismo del grande vicino, come alcuni dicono, oppure dalla necessità di Vladimir Putin di non trovarsi ai confini una democrazia in divenire che potrebbe suggerire cambiamenti anche dentro la Russia, come dicono altri”.

Intanto si aspettano gli eventi, facendo attenzione a non farsi ingannare dalla guerra psicologica. E aspettano tutti, anche i bambini. “Uno di loro che ha sette anni e che vive nella casa-famiglia salesiana di Leopoli – racconta Labanca -, incontrandomi mi ha chiesto: sai se domani arrivano i russi?”.

(Foto e video di Ester Negro)

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