“L’unica speranza di pace è la rimozione di questo regime militare, l’instaurazione di un’autentica democrazia federale che rispetti i diritti dei diversi gruppi etnici e religiosi del paese, e un processo di giustizia e responsabilità per i crimini che sono stati commessi”. Scandisce bene le parole Benedict Rogers, giornalista, scrittore, senior analist per il CSW (il Christian solidarity worldwide), perché ha le idee chiare sul futuro del Myanmar. Era il primo febbraio del 2021 quando i militari rovesciavano il governo civile di transizione e prendevano il potere. Per segnare questo anniversario, è stato indetto per oggi “uno sciopero del silenzio”, con la richiesta ai cittadini di restare in casa tra le dieci di mattina e le quattro del pomeriggio e di terminare la giornata applaudendo o sbattendo pentole e padelle dalle proprie abitazioni.
“Ad un anno dal colpo di stato, il Myanmar è stato inghiottito in un’orribile crisi umanitaria e dei diritti umani”, dice Benedict Rogers e “i numeri” sono spaventosi. L’Associazione di assistenza ai prigionieri politici, uno dei gruppi per i diritti umani più rinomati del Myanmar, afferma che almeno 11.776 persone sono state arrestate e 1.494 uccise. Tra gli arrestati vi sono almeno 573 membri della Lega Nazionale per la Democrazia (NLD), di cui 432 rimangono ancora in detenzione. Dodici sono morti, di cui sette torturati a morte durante l’interrogatorio. Almeno 92 persone hanno ricevuto la condanna a morte. Aung San Suu Kyi, e il presidente eletto Win Myint sono in prigione con una serie di false accuse progettate per tenerli rinchiusi per anni.
Il Tatmadaw, il cosiddetto esercito del Myanmar, ha effettuato oltre 7.000 attacchi contro i civili. Almeno 100 bambini sono stati uccisi. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) afferma che almeno 330.600 persone sono sfollate internamente dal colpo di stato. Oltre ai bombardamenti e agli attacchi di terra, il Tatmadaw ha commesso atrocità spaventose, tra cui omicidi, torture, violenze sessuali, stupri. In diverse occasioni, i soldati hanno bruciato le persone vive. La Vigilia di Natale, in un villaggio della township di Hpruso, nello stato di Karenni, sono state massacrate almeno 37 persone, tra cui donne e circa 10 bambini. I soldati hanno legato le mani delle vittime dietro la schiena, le hanno costrette a salire sui veicoli e hanno dato fuoco, bruciandole a morte. Tra loro c’erano due operatori umanitari di Save the Children. Tutti in Myanmar stanno soffrendo ma i cristiani sono stati presi di mira con particolare intensità. Diversi pastori sono stati assassinati e incarcerati, e molti luoghi di culto sono stati bombardati e distrutti. Il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP) ha avvertito che il 46% della popolazione vivrà in povertà nel 2022 e che almeno 14,4 milioni di persone, inclusi 5 milioni di bambini, avranno bisogno di assistenza umanitaria quest’anno.
Con il colpo di stato è morta non solo la democrazia ma anche la libertà di stampa. Benedict Rogers ricorda che almeno 114 giornalisti sono stati arrestati dal colpo di stato, di cui 43 restano in carcere. Il Comitato per la protezione dei giornalisti (Cpj) riferisce che oggi il Myanmar è secondo solo alla Cina come paese che ha incarcerato il maggior numero di giornalisti. “Tutti i media indipendenti sono stati chiusi – aggiunge l’attivista – ed è molto pericoloso fare questo lavoro” tanto che “un numero sconosciuto ma crescente di giornalisti è fuggito dal paese in esilio, anche nelle vicine India e Thailandia, per evitare arresti arbitrari e reclusione in casa”. Il “Democratic Voice of Burma”, un gruppo mediatico locale indipendente i cui giornalisti sono stati detenuti, condannati e rilasciati dopo il colpo di stato, è tra quelli che riferiscono dall’esilio.
“È sbalorditivo che questa catastrofe in corso non abbia causato più proteste”, dice indignato Benedict Rogers. “A parte qualche sanzione e alcune dichiarazioni, il mondo democratico è stato pericolosamente silenzioso, o almeno tiepido. È tempo che il mondo si faccia avanti e agisca”. Lo scrittore chiama in causa tutti: i governi, il Segretario generale delle Nazioni Unite. La loro incapacità ad agire “può essere in parte dovuto alla gamma di sfide che stanno affrontando – Covid, Afghanistan, ora Ucraina – ma queste sono solo scuse”. E aggiunge: “L’Onu, in particolare il segretario generale Antonio Guterres, deve fare molto di più. Dovrebbero mobilitare uno sforzo diplomatico nella regione e allo stesso tempo imporre un embargo globale sulle armi e rispondere con assistenza umanitaria di emergenza, in particolare per gli sfollati ai confini del Paese”.