“Sono ancora a Loikaw con pochi sacerdoti e religiosi. Con noi, nel complesso della cattedrale di Cristo Re, ci sono ancora circa 200 sfollati. Ma non abbiamo elettricità e non possiamo usare Internet”. È padre Celso Ba Shwe, vicario generale e amministratore apostolico della diocesi di Loikaw, a descrivere la situazione in città, presa di mira dall’esercito birmano che la sta colpendo con raid aerei, scontri e attacchi armati. Solo pochi giorni fa, il 17 gennaio, hanno perso la vita sotto i bombardamenti anche due sorelle, Natalia, 18 anni, e la piccola Rosetta, 7 anni. Loikaw, capitale dello Stato birmano di Kayah, nell’Est del Paese, è una città deserta. Anche i parroci sono stati costretti a fuggire insieme alle loro comunità. Padre Celso conferma: “Tutte le 16 parrocchie sono state abbandonate. Tutti i fedeli dei nostri centri parrocchiali si sono trasferiti in luoghi più sicuri. Alcuni sacerdoti hanno accompagnato il loro gregge nei campi temporanei, sia nella giungla sia in centri parrocchiali lontani, mentre alcuni sacerdoti sono rimasti sul posto per prendersi cura della loro gente che è riparata in diversi campi della zona. Alcune Suore della Carità di Maria Bambina e della Riparazione stanno con le persone nei campi e si stanno prendendo cura degli anziani, delle donne e dei bambini”. Da sabato scorso, oltre 40.000 residenti di Loikaw sono fuggiti dalla capitale, a causa dei ripetuti attacchi aerei e degli scontri tra la forza della giunta e le forze di difesa popolare, la People’s Defense Force. “Il rumore dei combattimenti e del fuoco dell’artiglieria può essere sentito notte e giorno a Loikaw. Si possono vedere continuamente anche gli aerei della giunta volare sopra la città. L’elettricità e la connessione Internet sono state interrotte. Le strade sono vuote e silenziose. Pochissime persone sono rimaste in città a badare alle loro case”.
Lo Stato di Kayah è lo stato più piccolo tra i 14 Stati e divisioni del Myanmar con una popolazione a maggioranza cristiana. Dopo il colpo di Stato della giunta nel febbraio 2021, la maggior parte dei giovani cristiani si è unita ai gruppi di resistenza locali conosciuti come “People’s Defense Force”. Insieme a quelli dello Stato Chin e della Divisione Segaing, questi gruppi di resistenza popolare sono tra i più forti del Paese. “Per questo – spiega padre Celso – la giunta usa tutti i mezzi possibili, incursioni aeree e attacchi di artiglieria, per distruggerli. Il loro obiettivo è annientare completamente i gruppi del People’s Defence Force che al 70% sono formati da cristiani”.
A pagare il prezzo più alto della guerra è sempre la popolazione civile. Sono più di 170.000 gli sfollati interni nello Stato di Kayah e la maggior parte di loro sono donne, bambini e anziani. Devono vivere in rifugi non sicuri e in campi temporanei senza acqua potabile pulita e cibo nutriente. “Alcuni stanno vivendo in queste condizioni già da più di 7 mesi”, fa sapere il vicario generale di Loikaw. “Alcuni si sono spostati di qua e di là. Hanno cambiato più di 5 o 6 campi, sempre alla ricerca di un posto più sicuro dove stare. Ci sono molte donne incinte tra loro e molte devono dare alla luce i loro bambini in condizioni di pericolo, senza cura e assistenza medica adeguata. In alcuni campi, si sono organizzati classi per i bambini, ma molti campi non hanno tale programma. E infine c’è la situazione di molte persone rimaste traumatizzate dalla paura vissuta”.
Nei giorni scorsi riuniti a Yangon, i vescovi cattolici del Myanmar hanno espresso preoccupazione per “la crescita vertiginosa” degli attacchi nelle ultime due settimane e hanno lanciato un appello perché sia garantito almeno il libero accesso agli aiuti umanitari. “Fino al mese scorso, prima che Loikaw fosse attaccata, era difficile per i donatori, le organizzazioni di beneficenza e alcune Ong raggiungere i campi per sfollati interni ma hanno sempre trovato modi per portare l’assistenza umanitaria. Ma ora sembra quasi impossibile raggiungere quei campi soprattutto nelle zone di Dimoso, Hpruso”, racconta padre Celso. “Siamo preoccupati per coloro che rimangono nello Stato di Kayah. Cibo e medicine sono le necessità più importanti”.
“Facciamo ripetutamente i nostri appelli alle comunità internazionali. Ma sentiamo che il nostro grido di aiuto non arriva alle loro orecchie”. Il vicario generale di Loikaw va dritto al punto. “Le dichiarazioni di preoccupazione e gli allarmi privi però di azioni sono inutili. Abbiamo bisogno di interventi e assistenza concreti delle Nazioni Unite, dell’Asean, dell’Ue e di tutte le altre comunità internazionali. Quanti cadaveri sono necessari affinché l’Onu agisca? Lo ha chiesto un ragazzo adolescente mentre manifestava davanti all’ufficio delle Nazioni Unite a Yangon. È la domanda giusta!”.