“Vogliamo celebrare insieme, vogliamo stare insieme, vogliamo vedervi insieme”: così racconta il dialogo ecumenico in Terra Santa il patriarca latino di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa.
Quest’anno la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che nell’emisfero nord, va dal 18 al 25 gennaio, ha per tema “In Oriente abbiamo visto apparire la sua stella e siamo venuti qui per onorarlo” (Matteo 2,2), ed è stata preparata dal Consiglio delle Chiese del Medio Oriente, una terra che diventa ancora una volta culla dell’ecumenismo. Qui, tra tensioni, conflitti irrisolti e guerre in corso, superare le differenze che dividono le Chiese è una sfida giornaliera. Tutte le questioni inerenti le differenze tra le diverse Chiese hanno conseguenze pratiche nella vita – non solo pastorale – delle stesse. Basti pensare ai calendari: ci sono Chiese che seguono il calendario Gregoriano, altre quello Giuliano. È per questo motivo che a Gerusalemme per celebrare la Settimana di preghiera per l’Unità bisognerà attendere il 22 gennaio, alla fine delle festività natalizie degli Armeni (18 gennaio, ndr).
“Vivere insieme”. Raggiunto in Giordania, dove si trova in visita pastorale, Pizzaballa, parla così del “desiderio della popolazione cristiana di vivere in pace, accordo e in buone relazioni. In una parola: vivere insieme”. In fondo, spiega, “la Terra Santa e Gerusalemme sono un laboratorio di ecumenismo che è una realtà vissuta nella carne dei nostri fedeli, delle nostre famiglie cristiane che nel 90% dei casi sono miste, cattoliche e ortodosse. Il vivere insieme ci ‘costringe’ a fare i conti gli uni con gli altri, continuamente, ogni giorno”. La narrazione ecumenica della Terra Santa non si può certamente limitare, rimarca il Patriarca, alle “immagini delle tensioni nel Santo Sepolcro tra le diverse confessioni, che di tanto in tanto vengono trasmesse dalle tv, perché non rendono ragione della realtà ecumenica della Terra Santa che invece vive del desiderio di unità dei cristiani locali”. “Come pastore di questa Chiesa – aggiunge – posso dire che si tratta di una richiesta che ci viene fatta con forza dai nostri fedeli. Ovunque vada, nelle scuole, nelle chiese, nelle parrocchie, recepisco questo desiderio:
‘vogliamo celebrare insieme, vogliamo stare insieme, vogliamo vedervi insieme’”.
Tuttavia, ammette Pizzaballa, “c’è una certa difficoltà da parte della popolazione nei confronti delle Istituzioni ecclesiastiche che invece sono un po’ più ingessate. A pesare sono la storia, le questioni liturgiche, legali, ecclesiastiche che alla maggior parte dei fedeli suonano come incomprensibili. I cristiani qui vogliono stare insieme, pregare insieme e vivere come un’unica comunità. Questa spinta che viene dal basso spinge le Istituzioni – anche quelle più refrattarie come i greci ortodossi – a compromessi”. Se sul piano liturgico ed ecclesiale l’unità chiede un po’ più di tempo, “l’unità sociale è già un fatto”. Spiega Pizzaballa: “Come Chiese siamo tutti coscienti che, al di là di alcune divergenze, dobbiamo parlare con una voce unica dal punto di vista politico e sociale sulla situazione generale. Questo è diventato evidente soprattutto in questi ultimi anni come dimostrano una serie di dichiarazioni comuni su varie vicende locali. E si cerca di farlo quasi sempre”. L’ultima dichiarazione risale al 15 dicembre scorso con la denuncia dei patriarchi e i capi delle Chiese di Gerusalemme, secondo i quali i “cristiani erano diventati il bersaglio di attacchi da parte di frange radicali” ebraiche.
Ecumenismo e martirio. Pizzaballa parla anche di ecumenismo e martirio: “C’è un martirio evidente che abbiamo visto in Iraq, in Siria, e in altri Paesi mediorientali – diversa la situazione in Terra Santa – e che non distingue tra le varie chiese.
L’appartenenza a Cristo – dichiara il patriarca – ci rende uguali tra di noi di fronte ai persecutori. C’è anche un martirio di tipo diverso, quello di essere un piccolo numero dentro un ‘mare’ ebraico e islamico, a seconda dei luoghi. Questo ci costringe sempre a rendere ragione di ciò che noi siamo e anche questo ci accomuna tra cristiani”.
“È una sfida continua” ripete Pizzaballa “che ha qualcosa da insegnare anche a noi Occidentali che vogliamo vedere subito l’esito delle nostre azioni. Qui a Gerusalemme, invece, si impara a vivere e a dare contenuto e senso all’attesa. Dobbiamo attendere i tempi degli altri che non sono mai i nostri. Il dialogo ecumenico deve tenere presente questo aspetto che non può prescindere dall’ascolto”.
Sinodo. “Ci attende un tempo favorevole per l’ascolto ed è quello del cammino sinodale” afferma il patriarca che annuncia l’imminente pubblicazione, prevista per la Settimana di preghiera per l’Unità dei cristiani (in Terra Santa il 22 gennaio) di una lettera a tutti i Capi delle Chiese di Gerusalemme. “Nella Lettera li informerò del Sinodo dove uno dei temi centrali sarà l’ascolto. Saremmo felici non solo di informarli ma anche di ascoltare il loro parere sul tema della sinodalità. Le Chiese ortodosse hanno in questo una grande esperienza”.