Un grande obiettivo raggiunto e un nuovo sogno da realizzare. Medici con l’Africa Cuamm ha concluso il programma “Prima le mamme e i bambini. 1.000 di questi giorni”, con 1.495.215 visite prenatali effettuate; 331.178 parti assistiti; 10.837 bambini malnutriti gravi curati, e si appresta a ripartire con “Persone e competenze”, perché da sempre la formazione delle risorse umane è una delle priorità dell’organizzazione che si spende per la promozione e la tutela della salute delle popolazioni africane. Il nuovo programma, che interesserà 8 Paesi e 14 ospedali, si pone diversi obiettivi: 500mila parti assistiti, 16mila bambini malnutriti curati, 1.500 manager sanitari formati, 500 specializzandi italiani e africani, 100 ricerche operative da realizzare. Ne parliamo con il direttore di Medici con l’Africa Cuamm, don Dante Carraro.
Don Dante, dopo cinque anni si è concluso “Prima le mamme e i bambini. 1000 di questi giorni”. I risultati che avete raggiunto sono in linea con quanto avevate preventivato all’inizio?
Sì. Con il programma “Prima le mamme e i bambini” ci eravamo impegnati a garantire, in 10 ospedali degli 8 Paesi dove stiamo lavorando, un parto sicuro a 320mila mamme: questo obiettivo, nonostante il Covid che ha comportato una riduzione degli accessi in ospedale e ha bloccato i trasporti, è stato raggiunto arrivando a 331.178 parti assistiti, con altrettanti neonati accompagnati, curati, custoditi. Dietro ogni numero ci sono una mamma, un papà e un neonato. Siamo consapevoli di non aver risolto i problemi dell’Africa e di quella sub sahariana, in particolare, ma abbiamo comunque espresso una vicinanza concreta alle mamme e ai bambini. Oltre a questo, c’era l’impegno di raggiungere 10mila bambini malnutriti gravi, a rischio di morte a causa della malnutrizione grave: grazie al nostro intervento, insieme con i colleghi africani, siamo riusciti a salvare oltre 10mila bambini.
Ci parli del nuovo programma “Persone e competenze”.
La nuova sfida sarà sempre quinquennale e rivolta agli 8 Paesi dove siamo presenti: Etiopia, Sud Sudan, Repubblica Centrafricana, Uganda, Tanzania, Angola, Mozambico e Sierra Leone. Stavolta saranno coinvolti 14 ospedali. Il primo obiettivo è raggiungere 500mila parti assistiti e altrettanti neonati accompagnati e curati. La sfida è alta e impegnativa, ma sulla base delle esperienze fatte siamo fiduciosi. A ciò si aggiunge il target di 16mila bambini malnutriti che vogliamo aiutare.
Abbiamo chiamato il nuovo programma “Persone e competenze” perché il patrimonio più grande su cui dobbiamo puntare è il capitale umano.
Sulle competenze ci siamo impegnati a lavorare su 3 aspetti: formazione, training clinico per infermieri e ostetriche, manager sanitari. C’è un estremo bisogno di dare competenze manageriali, legate alla performance, alla valutazione e alla gestione delle risorse finanziarie, economiche e umane. In cinque anni l’impegno è formare 1.500 manager sanitari. Vogliamo anche favorire, in cinque anni, la formazione insieme di 500 specializzandi italiani e africani, con esperienze condivise in ospedali, con tutor italiani e africani. L’ultimo aspetto riguarda le ricerche perché bisogna investire molto nella capacità di studiare la realtà, capirla, approfondirla, aumentando le competenze. Andremo così a supportare anche lo sviluppo della capacità produttiva dell’Africa in termini sanitari, basti pensare che il 99% dei vaccini nel Continente vengono da fuori. Vogliamo sostenere i professionisti sanitari africani, per lo più giovani, a entrare in un circuito di collaborazione tra istituzioni africane, italiane ed europee. Allora, l’obiettivo è quello di raggiungere 100 ricerche pubblicate su riviste internazionali in cinque anni.
Avete festeggiato a Padova, con un anno di ritardo a causa del Covid, i 70 anni del Cuamm: quali sono le sfide attuali per “ripartire”?
La sfida che ci aspetta è continuare a sostenere i sistemi sanitari africani dove stiamo lavorando, che erano già fragili prima del Covid e che sono diventati ancora più fragili per la pandemia. Le disuguaglianze e le debolezze si sono amplificate: con il Covid tanti pazienti cronici come diabetici, tubercolotici o con Hiv non hanno avuto accesso ai servizi sanitari, tante mamme hanno partorito a casa con tutti i rischi conseguenti, non è stato possibile monitorare i bambini malnutriti. Per questo, oltre a sostenere i sistemi sanitari, per le patologie standard, i farmaci, il personale, le infrastrutture, la sfida adesso è quella della campagna vaccinale.
La copertura media vaccinale dell’Africa si attesta al 5%, con punte del 40-45% in Marocco a meno dell’1% in Sud Sudan.
Le dosi vaccinali sono ancora pochissime; durante il G20 c’è stato l’impegno della comunità internazionale, dell’Europa, dell’Italia, dei Paesi più industrializzati a fornire le dosi vaccinali ai Paesi poveri per arrivare alla fine dell’anno al 40% della copertura vaccinale a livello mondiale e al 70% a metà 2022. Sono target molto ambiziosi, specie per il Continente africano. Devono arrivare più dosi, evitando l’accaparramento da parte di alcuni Paesi e favorendo la produzione dei vaccini anche nel contesto africano. Occorre, poi, che questa dose vaccinale giunta nelle capitali possa diventare vaccinazione vera e propria, quindi servono un’efficiente distribuzione, con camion, pick-up, motorette, biciclette, barche, per portare il vaccino fino all’ultimo miglio del sistema sanitario. Ovviamente, serve mantenere la catena del freddo, attraverso frigoriferi e box, ma anche generatori e gasolio; e, ancora, siringhe, garze. Bisogna formare il personale sanitario che finora era abituato a vaccinare solo i bambini e responsabilizzare le comunità anche nelle zone rurali e periferiche sull’importanza del vaccino. Per i problemi con l’anagrafe serve sensibilizzare i capi villaggio per far sì che siano loro a monitorare chi ha ricevuto una o due dosi.
Si è conclusa a Glasgow la Cop26: quanto i cambiamenti climatici stanno impattando sull’ambiente e la salute della popolazione dei Paesi in cui operate come Cuamm?
Bisogna intervenire potentemente per rallentare il cambiamento climatico, che pesa e peserà molto nel Continente africano, basti pensare ai cicloni in Mozambico, alla carestia e alla siccità in Sud Sudan e nel Sud dell’Angola, alle grandi piogge che bloccano i trasporti.
La Cop26 ha proposto dei cambiamenti, ma è ancora troppo poco.
Non c’è dubbio che gli attori internazionali sono fondamentali, ma è vero anche che devono cambiare la nostra mentalità, il cuore, l’approccio nei confronti del Creato. La Laudato si’ di Papa Francesco spinge ad avere un approccio più “francescano”, dove la natura diventi sorella, il sole amico, il vento compagno di viaggio. La creazione va sentita parte intrinseca della nostra vita. L’invito nostro e di tante organizzazioni che, come noi, lavorano nel Continente africano è di avere più coraggio perché i cambiamenti climatici avranno un impatto sempre più terribile soprattutto nei confronti dei più poveri e rischiano di devastare il dono più prezioso che abbiamo: questa terra meravigliosa in cui viviamo.