Cosa potrebbe accadere in Cina se parte della popolazione (1,4 miliardi di individui) non riuscisse a sfamarsi regolarmente, a lavorare, a curarsi? Quante imprese e quanti lavoratori, in tutto il mondo, pagherebbero le conseguenze di una crisi interna? Scenari estremi per il Dragone, guardato con sempre maggiore preoccupazione per la capacità di trasformare la forza economica in espansione d’influenza territoriale.
Della Cina, al momento, nessuno può fare a meno.
Qualche numero. Nei primi sei mesi del 2021 le dogane cinesi hanno registrato un interscambio mondiale pari a 2.785 miliardi di dollari, con esportazioni per 1.518 miliardi a fronte dei 1.267 dell’import. Le imprese italiane vendono molto e nei primi quattro mesi l’export tricolore ha ripreso quota (+55%) sul quadrimestre 2020 frenato dalla pandemia.
Pechino resta il più dinamico mercato di sbocco. Tutta l’Europa lavora molto con la Cina. Pure gli Stati Uniti, più sospettosi sulle attività con rilevanza strategica, mantengono un flusso rilevante. Le autorità cinesi sanno di non poter rallentare troppo l’economia perché le attese di centinaia di milioni di famiglie sono cresciute negli anni. Il successo dei ricchissimi non è accettabile dai più poveri ma anche dagli ex contadini inurbati. I “Paperoni” cinesi, con un patrimonio oltre il miliardo di dollari, sono rapidamente diventati oltre mille e abitano prevalentemente nelle città.
Su pressione del “suo” Partito comunista, il presidente Xi Jinping sta bloccando soprattutto l’arricchimento finanziario. Impedisce o condiziona le quotazioni di società a Wall Street, obbliga i nuovi ricchi a girare parte degli utili a iniziative sociali. Il caso Evergrande, il colosso immobiliare che rischia di crollare per troppo debito da restituire e fa tremare le Borse, viene letto come conseguenza di una crescita esasperata. Il gruppo ha in corso progetti di urbanizzazione in 300 città.
La Cina che compra tutto è un problema, aumenta i prezzi delle materie prime e del trasporto marittimo visto che il 60% è trasportato in container, Pechino ha il 35% dei trasferimenti mondiali nei grandi contenitori. Compra porti, nel Mediterraneo possiede il Pireo e voleva Trieste e Genova.
La Cina che dovesse fermarsi metterebbe in ginocchio tutte le economie, quelle esportatrici innanzitutto.
Gli Usa non vogliono Made in China strategici e aprono le porte alle aziende europee. Ma potrebbe non bastare.