Archiviata (si fa per dire) la guerra al terrorismo mondiale in un solo Paese (l’Afghanistan), qualcuno può essersi illuso sul ritorno in buona salute della pace. Ma a riaprirci gli occhi ci pensa il segretario generale delle Nazioni Unite, il portoghese Antonio Guterres. Per celebrare degnamente la Giornata internazionale della Pace che l’Onu ha fissato per il 21 settembre, il segretario del Palazzo di vetro ha invitato “i combattenti di tutto il mondo a deporre le armi e osservare una giornata di cessate il fuoco globale”.
È un brutto risveglio per quanti si sono illusi che la ritirata delle forze armate dispiegate dall’Occidente per vent’anni (2001-2021) in un teatro lontanissimo e ostile come quello afghano, rappresentasse davvero l’inizio di un’era di pace. Per due ragioni fondamentali: il mondo è sempre in guerra e soprattutto c’è già chi, come il presidente americano Joe Biden, prefigura le guerre di domani.
Ma procediamo con ordine. Innanzitutto le guerre di oggi. L’elenco, purtroppo, è lunghissimo: dalla Siria alla Birmania, dall’Ucraina alla Libia. Per non parlare delle “guerre dimenticate” su cui la Caritas e i media cattolici, in splendido isolamento, hanno sempre tenuto i riflettori accesi. Soprattutto in Africa, eterna cenerentola della politica internazionale. Al continente africano spetta il triste primato, ma l’Asia non è da meno. Si tratta di guerre e conflitti di cui non abbiamo il bollettino quotidiano delle vittime e che raramente guadagnano le prime pagine. Ma sono popoli e persone spesso in balia delle guerre civili e dimenticati da tutti. Guerre e conflitti da cui l’Occidente si tiene lontano, salvo finanziare una delle parti in campo in base ai propri interessi nazionali o vendere armi e materiali bellici. Per poi pagarne le conseguenze quando masse incontrollate di profughi si muovono soprattutto in direzione dell’Europa.
È forse soprattutto a queste realtà che non sono sotto i riflettori dell’opinione pubblica internazionale che pensa il segretario dell’Onu quando esorta a “scegliere la pace come unica opzione per riparare il nostro mondo distrutto”. Prima che sia troppo tardi e la natura, con la sua forza distruttrice, si schieri definitivamente contro l’umanità. Perché se c’è una guerra non dichiarata, ma quanto mai pericolosa e distruttiva, è quella delle forze naturali che si ribellano all’impatto scellerato dell’uomo sugli equilibri naturali. È quello che spinge Guterres ad affermare che “è tempo di ricostruire il nostro mondo e di fare la pace con la natura”. In fondo è esattamente quello che Papa Francesco chiede al mondo intero quando sostiene che “tutto è connesso” e che l’umanità si trova ad un bivio: scegliere la pace e lo sviluppo sanando le ferite dell’ambiente, oppure condannarsi allo spegnimento lento e inesorabile del pianeta, cioè dell’unico luogo in cui ci è dato di vivere.
Ecco perché appaiono preoccupanti le mosse del presidente americano quando prefigura le guerre di domani, combattute dalle macchine (i droni ne sono solo l’avanguardia) e dalle armi elettroniche. E lo sguardo va immediatamente all’estremo Oriente e al gigante cinese. In questo orizzonte va inquadrato il recentissimo accordo (Aukus) fra Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia per la difesa dell’area del Pacifico. Con il corollario della crisi dei sottomarini a reattore nucleare venduti dagli Usa all’Australia. Dunque, l’America di Biden si prepara, sono parole del presidente “ad affrontare il XXI secolo e le sue minacce in rapida evoluzione”.
Uno scenario che contraddice le aspirazioni dell’Onu a promuovere un tempo di pace per vincere la guerra della distruzione ambientale e piuttosto sembra preconizzare un futuro segnato da due tipi di guerre: quelle dei poveri (per l’acqua e il cibo) e quelle dei ricchi (per le preziose materie prime necessarie al dominio economico). Un incubo che, a cominciare da oggi, speriamo di evitare alle future generazioni. Se solo i combattenti di tutto il mondo ne avessero consapevolezza, sicuramente ordinerebbero l’immediato “cessate il fuoco”.