(da New York) L’11 settembre 2001 era un martedì. Alle 8.46 e alle 9.03 di quel martedì soleggiato due aerei squarciarono le Torri Gemelle del World Trade Center e altri due alle 9.37 e alle 10.03 si schiantarono contro il Pentagono e in un campo della Pennsylvania.
Quel martedì cambiò la storia del mondo e cambiò il corso della vita di 2.752 bambini che da quel giorno non rividero più uno dei loro genitori.
Avevano un’età media di 8 anni e circa 100 di loro erano ancora nel grembo materno. Si chiama Tuesday’s children – I bambini del martedì, l’associazione nata all’indomani degli attentati, a supporto di chi si è ritrovato improvvisamente orfano. Circa l’86% dei genitori uccisi nell’attacco dell’11 settembre erano padri e i loro figli sono stati cresciuti da un genitore solo o adottati da un’intera azienda come è successo a Robin. Suo padre Ruben era un ingegnere della Boeing. Stava volando a casa dalla moglie, quando il suo volo si è schiantato contro il Pentagono. La foto di Robin neonata è rimasta attaccata per mesi alla porta dell’ufficio del padre, con i dipendenti che l’hanno circondata di affetti e doni, considerandola “la bambina di tutti”. Robin è una dei membri dell’associazione, una delle vittime, cosiddette collaterali di quel martedì tragico.
Robin e gli altri bambini, ora giovani adulti, hanno voluto raccontare i loro 20 anni da quel giorno di lutto e far conoscere la storia che sta dietro i numeri dei figli dell’11 settembre. Robin ricorda l’imbarazzo della prima festa del papà celebrata nella sua scuola. Gli insegnanti chiedevano di preparare un biglietto per il genitore, ma lei di quel genitore aveva solo una foto e le memorie degli altri. Quel giorno Robin ha deciso di fingere e ha creato un biglietto a forma di camicia da un foglio di carta viola e ha scritto i suoi auguri ad un padre sconosciuto. Ogni anno, un biglietto è stato il suo modo di tenerlo in vita.
Tuesday’s children è stata una rete di supporto fondamentale per Robin perché ha saputo accompagnarla lungo il percorso della sua vita attraverso esperti in traumi, ma anche con tutor per la scuola e il lavoro. Negli anni l’organizzazione ha esteso la sua rete a tutte le vittime di terrorismo, di omicidi di massa o di guerre perpetrate dopo l’11 settembre. Incontri individuali, campi scuola, sedute di supporto sono alcuni degli strumenti che hanno restituito dignità a chi è sopravvissuto.
Daniel e Michael sono due gemelli. Avevano 11 anni il giorno in cui il padre scomparse nel crollo della Torre Nord. Ricordano il pellegrinaggio assieme alla madre negli ospedali, nelle sedi dei vigili del fuoco per ritrovarne il corpo. Di lui sono rimasti gli occhiali e il cellulare argentato, che oggi sono conservati nel Museo-Memoriale dedicato all’11 settembre. Ricordano che in questa straziante ricerca, i soccorritori chiedevano calzini asciutti per continuare a scavare tra le macerie bagnate e fumanti. Hanno lanciato un’azienda di calze e il 10% dei loro profitti va proprio a Tuesday’s children perché il lavoro di accompagnamento di cui hanno anche loro beneficiato, continui per altri.
Leah invece è nata un mese dopo la morte di suo padre, un passeggero del secondo aereo che ha colpito la Torre Sud del World Trade Center. Essere identificata come la bambina dell’11 settembre è stato sempre scomodo e imbarazzante, perché chi lo scopriva non sapeva mai come trattarla.
“Ognuno affronta la perdita in un modo diverso e non c’è un giorno in cui tu puoi davvero dire addio a tutto. È un po’ come la lavatrice quando si blocca nella centrifuga”,
racconta nel blog. Sta studiando come educatrice della prima infanzia e nel tempo libero supporta l’organizzazione della madre che si occupa dell’istruzione delle ragazze in Afghanistan e che intende continuare nonostante il ritiro delle truppe Usa. La sua guerra contro la sofferenza continua su quel fronte.