C’è una battaglia in atto anche dentro l’immensa galassia dell’islam tra chi si percepisce “più puro” degli altri e rivendica per sé il ruolo di difensore di un islam autentico. Non è facile muoversi in questo contesto. Difficile anche prendere le distanze, fare dichiarazioni. Insomma, nel mondo dei “puri”, il “nemico” da sconfiggere non sono solo gli Stati Uniti, ma anche “chi scende a compromessi e si abbassa a forme di conciliazione seppur temporanee coi nemici della fede”. Abbiamo chiesto a Paolo Branca, docente di lingua araba e islamistica all’Università Cattolica di Milano, di spiegarci cosa sta succedendo nello scacchiere “islamico-sunnita” dove letteralmente è scoppiata la crisi afghana. Alla ricerca di spiragli di dialogo, lo studioso è tassativo: prima ancora di avviare dialoghi e negoziati, è “essenziale in questo momento che prosegua l’attività delle Ong, non soltanto nelle grandi città, ma ovunque”.
Professore, con l’attentato del 26 agosto all’aeroporto di Kabul, è apparsa una nuova entità nello scacchiere islamico della Regione: l’Isis del Khorasan. Ma chi sono e che tipo di islam praticano?
Il Khorasan è un’antica provincia dell’Iran nord-orientale (oggi divisa fra Iran, Pakistan e Afghanistan). Con le loro bandiere nere su cui era scritto “Non c’è altro dio che Allah e Maometto è il Suo Inviato”, proprio la dinastia degli Abbasidi venne a scalzare quella degli Omayyadi, accusati di essere indegni di guidare i musulmani perché settari e ‘imborghesiti’. Che movimenti ispirati alla medesima ideologia (laica o religiosa) e miranti al medesimo scopo (es. l’abbattimento del sistema tramite una rivoluzione) si suddividano in sottogruppi discordi su analisi e tattiche è cosa assai comune. In tutti si nota una grande rilevanza di fattori simbolici legati alla storia: Isis (Islamic State of Iraq and Syria) si riferiva non a caso alle due sedi principali del califfato ‘classico’: quello di Damasco (fino al 750 d.C) e quello di Baghdad (fino al 1258), paesi ormai in cui il vuoto di potere dei rispettivi governi dava l’occasione di ricostituire un potere islamico centrale e velleitariamente universale proprio dove era effettivamente esistito per secoli.
Perché hanno attaccato l’aeroporto di Kabul. Che messaggio hanno voluto lanciare? Quale uso del terrorismo fanno? Quale scopo perseguono?
Ritengono i Talebani troppo morbidi e sostanzialmente dei traditori che stanno lasciando partire i ‘collaborazionisti’ degli occidentali. Vogliono essere percepiti come i puri e i duri difensori dell’islam sunnita autentico contro chi scende a compromessi e si abbassa a forme di conciliazione seppur temporanee coi nemici della fede.
Talebani e Isis-K sono entrambi espressione dell’islam sunnita. Ma in che cosa differiscono?
Come leninisti, trotskisti, maoisti e via dicendo ognuno considera se stesso più ortodosso e gli altri una sorta di ‘eretici’ con cui si mostrano talvolta più intransigenti che verso i nemici dichiarati.
Che ruolo può giocare a questo punto Al-Azhar?
Purtroppo, le istituzioni religiose anche di prestigio dei paesi islamici dipendono tutte da un Ministero degli Affari Religiosi, quindi sono pilotati dai vari regimi e la loro indipendenza e credibilità ne viene spesso compromessa.
Se Isis-K è espressione di un terrorismo efferato, vuol dire a questo punto che con i talebani è possibile dialogare? Come si “dialoga” con questo mondo? Lei che è un profondo conoscitore del mondo islamico, quale atteggiamento consiglia al mondo politico e diplomatico occidentale?
Veramente i colloqui coi Talebani sono in corso da anni, certo la proibizione della promiscuità nelle università e il divieto della musica non fanno ben sperare, ma l’intenzione dichiarata di formare un governo di coalizione anche con altre forze politiche, se mantenuta, lascia uno spiraglio. A loro ricorderei che nelle fonti islamiche stesse non esiste un’unica tendenza: nella biografia di Maometto si dice ad esempio che il Profeta prese sulle spalle la giovane moglie Aisha perché potesse vedere meglio gli abissini che cantavano e danzavano nella città di Medina. Inoltre, è essenziale che prosegua l’attività delle Ong, non soltanto nelle grandi città, ma ovunque con gemellaggi e si diffonda la capacità di coltivazioni alternative a quella dell’oppio (vietato dall’islam come l’alcol perché sostanza nociva) e modalità per sfruttare adeguatamente le enormi ricchezze minerarie del Paese.
C’è un silenzio degli islamici europei sulla crisi afghana. Perché? E cosa invece può fare l’islam europeo in queste situazioni di crisi?
Che i semplici musulmani non ne parlino volentieri, lo capisco. Quanto più sono integrati tanto meno gradiscono di doversi esprimere se non giustificare ad ogni attentato. Tra i gruppi organizzati ve ne sono di vario orientamento. Alcuni condividono le posizioni di movimenti radicali dei Paesi d’origine, ma altri sono più propensi al confronto e alla collaborazione anche con fedeli di altre religioni. Il documento di Abu Dhabi e l’Enciclica Fratelli Tutti dovrebbero esser maggiormente valorizzati sia da noi che da loro, insieme ai non pochi cristiani del Medio Oriente che sono qui (penso ai 15mila copti ortodossi di Milano) dei quali quasi non percepiamo la presenza.