Oggi ricorre il settimo anniversario dell’espulsione dei cristiani di Mosul da parte dei jihadisti sunniti dello Stato Islamico. Era il 17 luglio del 2014 quando lo Stato Islamico, con un editto, comunicava ai cristiani locali che potevano restare nelle loro case solo a due condizioni: convertirsi all’islam o pagare la tassa per la religione imposta ai non musulmani. Diversamente avrebbero dovuto lasciare la città. Le milizie del califfo Al Baghdadi avevano conquistato, un mese prima, Mosul e una parte della Piana di Ninive, costringendo alla fuga verso il Kurdistan migliaia di cristiani. Il califfo Abu Al Baghdadi, venerdì 29 giugno 2014, aveva annunciato, dalla moschea di al-Nouri, la rinascita del Califfato e proclamato lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante con Mosul capitale. Con l’editto si completava la ‘pulizia’ etnico-religiosa dei cristiani e delle altre minoranze dalla città.
Da quel momento sulle case, i negozi e le proprietà abbandonate dai cristiani cominciò ad apparire la “n” di “nasrani”, i nazzareni, seguaci di Cristo. Stessa sorte per le abitazioni degli shabak e dei turkmeni, minoranze sciite, segnate dalla “r” di ‘rafidah’, cioè infedeli, perché non avevano riconosciuto l’autorità di Abu Bakr, suocero di Maometto e primo Califfo dopo la sua morte. Nella fuga, bloccate nei check point, le famiglie venivano spogliate dai miliziani dei loro ultimi averi. Nel mirino dei fondamentalisti dell’Isis anche i fedeli yazidi, di etnia curda, vittime di un vero e proprio genocidio.
“La situazione è drammatica. Mosul è sotto il controllo degli insorti. Le nostre famiglie hanno abbandonato la città. Abbiamo chiuso tutte le chiese. Sono andati via esercito regolare e polizia.
La gente ha molta paura e a decine di migliaia, musulmani e cristiani, stanno ancora uscendo dalla città per trovare rifugio nei villaggi, molti dei quali cristiani, nella pianura di Ninive.
In città ci sono persone armate, iracheni e stranieri, che girano ma non sappiamo chi siano”. Con queste parole, mons. Emil Shimoun Nona, all’epoca arcivescovo caldeo di Mosul, raccontava al Sir la caduta della seconda città irachena. “I nostri cristiani, circa 1.000 famiglie, sono andati via. La chiesa dello Spirito Santo è stata saccheggiata. Circa 50 fondamentalisti hanno portato via tutto. Altri armati hanno occupato, preso o incendiato diverse abitazioni”. Profanate o distrutte anche statue, cimiteri e altri luoghi di culto. Dopo pochi giorni, nella notte tra il 6 e il 7 agosto del 2014, i jihadisti dell’Isis invasero completamente la Piana di Ninive, occupando case e villaggi costringendo ad una nuova fuga, sempre verso Erbil, oltre 120mila cristiani.
A distanza di sette anni, e nonostante la sconfitta militare dello Stato Islamico, la condizione dei cristiani di Mosul e della Piana di Ninive resta ancora difficile. Nei villaggi della Piana di Ninive, secondo statistiche di Aiuto alla Chiesa che soffre, sono rientrate 9176 famiglie (45,53% del totale), prima del 2014 erano oltre 20mila. “A Mosul – dice al Sir l’arcivescovo caldeo della città, mons. Michaeel Najeeb – sono rientrate solo 60 famiglie cristiane, prima dell’invasione dell’Isis erano 6000”. Un numero esiguo rispetto a quello di altre componenti, come quella sciita, che invece dimostra maggior coraggio nel tornare ad occupare luoghi e spazi anche dei villaggi distrutti dall’Isis e dalle campagne militari condotte per la loro liberazione. Ritorno reso ancora più difficile da tutta una serie di espropriazioni illegali subìte da tante famiglie di cristiani che avevano abbandonato la città e il Paese per sfuggire alla violenza. Criminali e truffatori si sono in questo modo appropriati di case e terreni rimasti incustoditi prevedendo che i legittimi proprietari non sarebbero tornati facilmente. Per tentare di porre fine a queste violazioni Muqtada al Sadr, capo della formazione politica sadrista rappresentata in Parlamento, ha promosso ad inizio di quest’anno un Comitato incaricato di raccogliere e verificare reclami riguardanti i casi di esproprio abusivo di beni immobiliari dei cristiani.
“La speranza – aggiunge l’arcivescovo – è che la visita di Papa Francesco, proprio a Mosul, lo scorso 7 marzo, possa aiutarci a ricostruire la speranza e a tornare per ricostruire ciò che Daesh ha distrutto”.
La tutela dei cristiani in Iraq è stato anche uno dei temi dell’udienza di Papa Francesco al premier iracheno Mustafa Al-Kadhimi, lo scorso 2 luglio. Come riferito dalla Sala Stampa vaticana, durante “i cordiali colloqui, è stata rilevata l’importanza di tutelare la presenza storica dei cristiani nel Paese con adeguate misure legali e il significativo contributo che essi possono apportare al bene comune, evidenziando la necessità di garantire loro gli stessi diritti e doveri degli altri cittadini”.