“Seguo con apprensione la situazione che si è generata con il conflitto nella regione del Tigray, in Etiopia, sapendo che la sua portata abbraccia anche la vicina Eritrea. Al di là delle differenze religiose e confessionali, ci rendiamo conto di quanto sia essenziale il messaggio della ‘Fratelli tutti’, quando le differenze tra etnie e le conseguenti lotte per il potere sono erette a sistema”. Così, il 24 giugno scorso, Papa Francesco ricordava ai partecipanti all’assemblea della Riunione delle opere per l’aiuto alle Chiese Orientali (Roaco) la sanguinosa guerra civile nel Tigray, regione settentrionale dell’Etiopia, tra l’esercito federale etiope e le milizie legate al Fronte di liberazione del Tigray (Tplf), cominciata a novembre 2020.
Uccisioni di massa, stupri e pulizia etnica. In quel periodo il governo di Addis Abeba, guidato dal premier Abiy Ahmed Ali aveva inviato truppe nel Tigray per rimuovere il Tplf, il partito al potere nella regione. Abiy, vincitore del Premio Nobel per la Pace nel 2019, aveva dichiarato che l’operazione militare era avvenuta in risposta agli attacchi delle forze tigrine contro i centri dell’esercito federale nella regione. Accusa respinta dal Tplf per il quale il governo federale e la vicina Eritrea avevano lanciato un “attacco coordinato” contro il Tigray. Da allora i combattimenti hanno visto migliaia di persone uccise, tra cui almeno 12 operatori umanitari, gli ultimi tre di Medici senza frontiere (Msf) assassinati a fine giugno, 2 milioni di sfollati e poi segnalazioni di violenze, stupri di gruppo e uccisioni di massa di civili. Il 28 giugno scorso, le forze del Tplf hanno ripreso il controllo del capoluogo Macallè e le truppe governative hanno lasciato la regione, dopo un cessate il fuoco unilaterale da parte di Addis Abeba. Abiy ha spiegato che l’esercito federale si è ritirato da Macallé perché aveva raggiunto i suoi obiettivi. Dichiarazione respinta dai tigrini che a loro volta parlano di “vittoria militare”. Dai rifugiati e da osservatori internazionali giungono anche notizie di atrocità compiute dalle forze etiopi con episodi di pulizia etnica e di saccheggi e distruzioni. Resta da capire se il ritiro delle forze etiopi, con quelle alleate eritree, riguarda solo Macallé o l’intera regione. Dall’area arrivano notizie di truppe eritree ancora presenti sul terreno a combattere. Soldati di Asmara sono segnalati dagli operatori umanitari in tutta la regione.
Rischio carestia. L’Unicef stima che almeno 56 000 bambini nel Tigray necessiteranno di cure per grave deperimento nel 2021. Di questi, 33000 non riceveranno cure se non sarà garantito un accesso senza impedimenti. A lanciare il grido di allarme di carestia imminente nel Tigray sono anche l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) e il Programma alimentare mondiale (Wfp). Secondo l’Ipc (Classificazione integrata della sicurezza alimentare), iniziativa globale costituita da 15 tra agenzie dell’Onu, organizzazioni regionali e ong internazionali, nella regione del Tigray più di 350.000 persone versano già in condizioni catastrofiche. Oltre il 60% della popolazione, pari a oltre 5,5 milioni di persone, è alle prese con elevati livelli di insicurezza alimentare acuta. Di questi, 2 milioni di persone si trovano al livello di insicurezza alimentare acuta cosiddetto di “emergenza” e, in assenza di interventi urgenti, potrebbero rapidamente precipitare al limite dell’inedia.
Dove sono i cosiddetti Paesi civili? Fonti locali che per motivi di sicurezza intendono restare anonime, interpellate dal Sir, confermano: “Ci sono eritrei che non si sono ritirati. Si travestono anche da civili e creano problemi. Quando scoperti vengono uccisi. È una situazione da film dell’orrore”. Le fonti denunciano anche “lo stazionamento di truppe federali etiopi su ogni strada e sentiero di accesso al Tigray. Il ritiro deciso dal premier Abiy – affermano – è una mossa per dare al mondo un segnale della sua buona volontà e costringere così il Tplf a uscire dal suo familiare terreno di battaglia, dove è invincibile”. Contestualmente al ritiro le truppe etiopi “stanno facendo saltare i ponti e i luoghi più strategici e stanno bloccando tutte le fonti di sopravvivenza, non solo gli aiuti umanitari: elettricità ed acqua. Bloccato anche l’accesso a qualsiasi tipo di carburante come benzina, diesel, kerosene”. Nemmeno la minaccia di sanzioni internazionali sembra fermare i governi di Addis Abeba e Asmara, “forti del sostegno di Cina, Russia e Turchia che li riforniscono anche di armi” denunciano le fonti che non esitano a parlare di “sterminio”. “Qui ci sono 6 milioni di tigrini uccisi quotidianamente tramite armi, fame, sete, stupri e ignoranza. Le scuole sono chiuse da 2 anni”.
“Dove sono i paesi che si definiscono civili? Perché non parlano?”
“La politica e la diplomazia possono avere il sopravvento sulla vita di milioni di persone innocenti? È preferibile morire – dicono le fonti senza mezzi termini – che essere parte di questo sistema disumano. Ci sarà qualcuno che ha il coraggio di raccontare i fatti prima che sia troppo tardi?”. E poi l’immagine più drammatica:
“Quando tacciono le armi regna un silenzio irreale, angosciante. Neppure il latrare di un cane, il fischio di un uccello, nessun rumore di attività e presenza umana. Solo il pianto dei bimbi. I loro singhiozzi sono gli unici suoni che spezzano questo silenzio assordante. E la comunità internazionale tace…”