Può sembrare che “cambi poco”. Invece, per molti aspetti, “cambia tutto”. In America Latina e soprattutto in Brasile, l’importante motu proprio di papa Francesco “Antiquum Ministerium”, che istituisce il ministero del catechista, è stato accolto con questo duplice sentimento. Da un lato, infatti, se c’è una Chiesa nella quale i catechisti hanno un ruolo consolidato e sono “autorità riconosciute”, questa è quella brasiliana. Accade, soprattutto ma non solo, nelle zone amazzoniche, dove la scarsità di sacerdoti rende significative le presenze di laici come punti di riferimento per le comunità (anche se si deve distinguere tra catechista, ministro della parola e guida della comunità). Per certi aspetti, dunque, il motu proprio del Papa sancisce una realtà di fatto già esistente. D’altro canto, l’istituzione formale del ministero di catechista è un passo importante, un riconoscimento che è soprattutto un dono, ma anche una responsabilità.
Il “dono” del Papa. È proprio questo l’atteggiamento con cui il documento di Francesco è stato accolto da dom Mário Antônio da Silva, vescovo di Roraima e secondo vicepresidente della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile (Cnbb). Il Sir ha infatti “scelto” questa diocesi amazzonica, la più settentrionale del Brasile, per approfondire la recente decisione del Santo Padre.
“Esprimo il mio ringraziamento a papa Francesco, che con sensibilità ha istituito questo ministero, rivolto a persone che si dedicano in gratuità, semplicità e saggezza nell’evangelizzazione – ci dice dom da Silva -. L’istituzione del ministero di catechista, per la Chiesa brasiliana, per la nostra diocesi di Roraima e anche per nostra ‘Querida Amazonia’ è davvero un grande regalo, un dono, sancisce la dedizione instancabile di tante persone, donne e uomini nell’esercizio della catechesi. È anche un riconoscimento ufficiale rispetto all’azione dello Spirito Santo, che opera attraverso doni e carismi. Direi che è un riconoscimento della viva coscienza che i nostri catechisti hanno a impegnarsi nella loro missione nelle nostre comunità”.
Aggiunge il vescovo: “Quello del catechista è un servizio vocazionale. Noi in Brasile viviamo questa realtà da molti anni, già dagli anni ottanta puntiamo a una catechesi che evangelizza e risveglia vocazioni. Il documento conferma quello che stiamo vivendo nelle nostre comunità con i nostri carissimi catechisti”. Per quanto riguarda, ora, l’attuazione pratica del motu proprio, “attraverso la Cnbb, la Chiesa brasiliana può aiutare con studi, documenti, condivisione di esperienze. Ci sono molti corsi e materiali, ultimamente si è molto insistito sull’iniziazione cristiana. Continuiamo a essere discepoli missionari, nel cammino di verità e vita”.
Una ventata d’aria fresca. Da Boa Vista, capitale del Roraima, raccogliamo la testimonianza di una catechista, Gisela Rossetti, tra le coordinatrici della Catechesi a livello diocesano: “Accogliamo con grande gioia e speranza questo documento e questo annuncio – spiega -. lo vediamo come necessario, come un riconoscimento. Certo, abbiamo altri documenti della Chiesa brasiliana che già si mettevano in questa prospettiva ministeriale, l’ultimo è il direttorio della catechesi dello scorso anno. Documenti che valorizzano la presenza dei catechisti nella missione evangelizzatrice della Chiesa. Il riconoscimento formale è molto importante, ed è giusto ribadire il legame di questa scelta con il Concilio Vaticano II e la prospettiva vocazionale di tanti uomini e donne che si dedicano alla catechesi. Penso e sento che l’istituzione del ministero sia una forma di maggiore impegno. Tale scelta ci valorizza e ci aiuta, ma al tempo stesso ci impegna, a partire dalla formazione, che va fatta con coerenza e responsabilità. Il documento parla di vita di preghiera, studio e partecipazione diretta alla vita della comunità. Quindi penso che tale riconoscimento ci aiuti a pensare a una forma effettiva e accurata di formazione e preparazione e di invio di catechisti nelle nostre comunità, al processo di discernimento. Questo documento ci dà un rinnovato vigore, è come una ventata d’aria fresca”.
Missione assunta come vocazione. Tocca a don Lucio Nicoletto, missionario fidei donum della diocesi di Padova e vicario generale della diocesi di Roraima, precisare maggiormente nei dettagli le novità del riconoscimento vaticano. “In effetti, dal punto di vista pratico, non cambia più di tanto, il Papa viene a sancire un progetto pastorale che da tanti anni c’è in Brasile. Quella del catechista è sempre stata una figura molto considerata nelle nostre comunità, sia quelle che hanno adottato la figura delle comunità ecclesiali di base, sia le altre. Diciamo che quella del catechista è sempre stata una forma ibrida che ha sempre coniugato le varie sensibilità pastorali ed ecclesiali, soprattutto nella Chiesa latinoamericana”.
Il catechista “è riconosciuto non solo come una figura effettivamente presente, ma anche affettivamente, vista la vicinanza alle persone, la prossimità certo più intensa rispetto a quella del prete, che purtroppo qui da noi è una persona che passa in fretta, perché deve celebrare in tanti posti e vive questa frustrazione di dover vivere delle reazioni molto frammentate. Invece, il catechista fa proprio da ponte, da anello di congiunzione tra il prete e la comunità, e quindi sicuramente diventa un grande punto di riferimento per tutta la comunità. La comunità ha proprio bisogno di questo, il cammino di fede passa inevitabilmente attraverso la mediazione umana, e quindi il catechista, o molto più spesso la catechista, diventa parte integrante del cammino spirituale di ogni persona. Per questo, in molti casi, tanti preti danno come indicazione la possibilità di scegliere come padrino e madrina di battesimo e di cresima il catechista o la catechista”.
In ogni caso, secondo don Nicoletto, “l’istituzione del nuovo ministero riconosce che prima di tutto la fede celebrata è frutto di una pedagogia vissuta, di una quotidianità che ha bisogno di essere accompagnata e questo cammino non può essere fatta come un servizio qualsiasi, dev’essere frutto di una missione assunta come vocazione da parte di chi la vive, sapendo come siano vive le parole di san Paolo VI: le persone attuali hanno più bisogno di testimoni che di maestri. È bello che la Chiesa riconosca come fondamentale il contributo che una persona può offrire ai fratelli e sorelle di una comunità principalmente con la sua umanità, imbevuta del suo amore per Cristo e per i fratelli, attraverso questo servizio specifico, ora riconosciuto come un ministero specifico”.
Una presenza che è nella maggioranza dei casi femminile. “Non ci dobbiamo dimenticare – avverte il missionario – che la riflessione biblica in America Latina ci ha portato a scoprire come una cosa sia la società patriarcale, un’altra cosa siano i patriarchi e le matriarche, che sono presenti anche in società non necessariamente patriarcali e matriarcali in senso stretto. La matriarca è chi viene riconosciuta come figura di riferimento, in questo caso nell’educare alla fede, di trasmettere la fede. Questo documento valorizza ulteriormente la donna dentro la vita della Chiesa. C’è qualcosa di molto forte che valorizza questa dimensione missionaria”.
(*) giornalista de “La vita del popolo”