Un dossier con dati e testimonianze per ripercorrere la storia del conflitto israelo-palestinese raccontato dalla prospettiva dei rifugiati palestinesi. Si intitola “Una vita da rifugiati. Il conflitto israelo-palestinese e la tragedia di un popolo esule”: a pubblicarlo oggi, in occasione della Giornata mondiale del rifugiato (20 giugno) è Caritas Italiana (Ufficio Medio Oriente e Nord Africa, Mona).
Nel 2021, si legge nel dossier, “la questione dell’esilio palestinese è giunta alla terza se non alla quarta generazione.
I rifugiati palestinesi, insieme ai siriani, costituiscono oggi il più grande gruppo di rifugiati a livello mondiale” e una soluzione “duratura e giusta” che ponga fine all’esilio è ancora lontana dal materializzarsi. La mancanza di risoluzione della questione arabo-palestino-israeliana ha reso l’esilio palestinese il più longevo nella storia moderna.
I rifugiati palestinesi sono tantissimi. Milioni. Le stime parlano di circa 5,6 milioni di persone distribuite tra Gaza, Cisgiordania, Gerusalemme Est, Giordania, Siria e Libano. Fra i rifugiati si contano almeno 1,5 milioni di uomini, donne e bambini che vivono nei 58 campi profughi registrati nella regione mediorientale. La loro speranza, tramandata “di generazione in generazione dai padri ai figli, dai nonni ai nipoti” è quella di fare ritorno, un giorno, alle loro case anche se queste sono state demolite o risultano essere sotto il controllo israeliano.
Ma chi sono i “profughi” palestinesi? Si considerano “rifugiati palestinesi le persone di origine araba (compresi i loro discendenti) che furono dislocate dal territorio, un tempo corrispondente alla Palestina all’epoca del Mandato britannico, nel processo che portò alla creazione dello Stato di Israele (1947-1949) e nelle tensioni successive (guerra arabo-israeliana del 1967)”.
Tre categorie. I profughi palestinesi si dividono in tre categorie principali, la più grande delle quali “è composta da coloro che furono costretti a fuggire dalle proprie case durante la guerra del 1948 e dai loro discendenti. A questa prima categoria appartengono poco più di 5,6 milioni di palestinesi che hanno trovato riparo a Gaza (1,46 milioni), West Bank (859mila), Giordania (2,3 milioni), Siria (562mila), Libano (476mila) riconosciuti come rifugiati dall’Unrwa, l’Agenzia Onu “per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente” fondata nel 1949. L’Unrwa, per mandato, si può occupare solo dei rifugiati (e dei loro discendenti) del 1948, ma non degli sfollati della guerra del 1967, la cosiddetta Guerra dei sei giorni, che invece rientrano sotto la protezione dell’Unhcr, come previsto dalla Convenzione del 1951. La guerra arabo-israeliana del 1967, infatti, non solo diede inizio all’occupazione israeliana della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, che continua fino ai nostri giorni, ma causò inoltre altri flussi di rifugiati (che si stimano tra i 350mila e i 400mila) dalle restanti parti della Palestina che erano sotto il controllo egiziano (Striscia di Gaza) e giordano (Cisgiordania). Gli “sfollati” durante la guerra del 1967 e i loro discendenti (1,24 milioni) formano la seconda maggiore categoria (quindi non riconosciuti ufficialmente come rifugiati), mentre la terza è composta da “un numero imprecisato” di palestinesi che non sono riconducibili alle due precedenti, ma che sono stati sfollati al di fuori dell’area della Palestina così come definita durante il mandato britannico.
Gli sfollati “interni” palestinesi. Ci sono, poi, due categorie principali di “sfollati interni” palestinesi, quelli che non hanno raggiunto un Paese estero. La prima categoria (415.876 persone) è composta da palestinesi (e loro discendenti) che sono stati sfollati interni dal 1948 e sono rimasti all’interno degli allora confini palestinesi. La seconda (344.599 persone) è composta da palestinesi sfollati interni nei territori occupati in seguito alla guerra del 1967. L’Unhcr, viene spiegato nel Dossier Caritas, considera anche 115.649 palestinesi nelle sue statistiche. Questo numero include 100.693 rifugiati, 13.439 richiedenti asilo e 1.459 persone classificate come “varie”. Questo gruppo comprende un misto di palestinesi sfollati nel 1948, 1967 e anche rifugiati sfollati al di fuori di questi due grandi eventi di spostamento. Questi palestinesi rientrano nel mandato dell’Unhcr, poiché sono ammissibili ai sensi della Convenzione sui rifugiati del 1951 e non rientrano nell’area geografica di operatività dell’Unrwa; per esempio, 70mila sono palestinesi in Egitto, 8mila sono palestinesi in Iraq e 6.500 in Libia.
Condizioni di vita. Il quadro di insieme delineato dal Dossier Caritas mostra una situazione drammatica con i rifugiati palestinesi “vittime delle guerre in Terra Santa, vittime delle politiche israeliane, vittime delle lacune del diritto internazionale e ancora vittime delle nazioni in cui sono accolti come ospiti indesiderati. Nazioni che sono a loro volta vittime di guerre, crisi e povertà che ne scuotono l’equilibrio sociale. E purtroppo la redenzione del popolo palestinese, sofferente da oltre 70 anni, sembra ancora molto lontana all’orizzonte”. Lo testimoniano le condizioni di vita nei campi profughi segnate da povertà e insicurezza alimentare, da una formazione scolastica precaria, da assistenza sanitaria che non copre il fabbisogno, da disoccupazione. Se si considera che la popolazione rifugiata palestinese è giovane – circa il 25,5% di tutti i rifugiati registrati ha infatti meno di 15 anni – si comprende la drammaticità del problema.
Ostacolo principale. L’ostacolo principale, rimarca il Dossier Caritas, rimane l’assoluta mancanza di volontà politica di risolvere la situazione all’origine della questione dei rifugiati palestinesi nel rispetto di quanto stabilito dal diritto internazionale. “La situazione – si legge nel Dossier – si è aggravata durante gli anni del processo di pace in Medio Oriente (1991-2000) e, in particolare, con gli Accordi di Oslo (1993-95). Da allora la soluzione della questione dei rifugiati, pur continuando a essere riconosciuta come una responsabilità internazionale e, in modo particolare, delle Nazioni Unite sin dalla fine degli anni Quaranta, ha iniziato a essere trattata come una questione che deve essere risolta nell’ambito dei negoziati tra israeliani e palestinesi. L’asimmetria di potere tra le due parti, insieme alle irrisolte ambizioni territoriali di Israele sul territorio che dovrebbe diventare lo Stato della Palestina, rende impossibile qualsiasi soluzione concernente la questione dei rifugiati”.
Le proposte. Nel dossier la Caritas Italiana, lancia 5 proposte dirette alla comunità internazionale e al governo italiano per una soluzione del problema dei rifugiati palestinesi:
“rispetto del diritto internazionale; l’Italia e gli altri Stati Ue riconoscano ufficialmente lo Stato di Palestina; stop alla vendita di armi, anche dall’Italia; finanziare la pace; non solo odio. Cambiare l’approccio comunicativo”.
“In Palestina – rimarca il Dossier – serve un’azione diplomatica di pace e di rispetto del diritto internazionale che non è più rimandabile. I palestinesi sono ancora oggi la più ampia comunità di apolidi al mondo: persone senza uno Stato sovrano ufficialmente riconosciuto che tuteli i propri diritti e sia caricato dei doveri necessari, di fronte ai propri cittadini e alla comunità internazionale”. Per Caritas Italiana
“è ora più che mai necessario che altri Paesi, tra cui l’Italia in primis, si uniscano alla Svezia e alla Città del Vaticano nel riconoscere lo Stato di Palestina, come base per la soluzione del futuro dei rifugiati palestinesi”.
“Un valido deterrente all’alimentazione dei conflitti, e quindi alla ‘creazione’ dei rifugiati, riguarda l’abolizione della vendita di armi, e nello specifico a israeliani e palestinesi, parti in conflitto fra loro”, per questo Caritas chiede “la sospensione immediata di tutte le forniture di armamenti a Israele e di revocare tutte le licenze per armi in corso”. Stop alle armi e finanziare la pace per garantire il ritorno dei rifugiati palestinesi alle loro terre, è la proposta Caritas, un processo corale che deve coinvolgere tutta la comunità internazionale. Processo che deve rifuggire anche dalla narrazione di odio che riguarda i rifugiati palestinesi e i due popoli in conflitto da oltre 70 anni. Nonostante tutto, conclude Caritas Italiana, “la speranza di coesistenza pacifica sembra non essere ancora perduta. Ma ha bisogno di essere sostenuta, diffusa e ascoltata. Ha bisogno di fiorire nelle persone, nelle comunità e di sbocciare così, nei rispettivi governi di Israele e Palestina”.