Non piove da mesi, in un Paese già flagellato dalla pandemia e in grave crisi economica e sociale. Il Messico sta vivendo, da settimane, la maggiore siccità degli ultimi decenni. Una situazione che coinvolge, secondo la Commissione nazionale dell’acqua (Conagua), l’84% del territorio nazionale e 1.295 municipi, soprattutto nel nord e nel centro del Paese, ma anche lungo le coste del Golfo del Messico, nel Veracruz. Un problema storico, che quest’anno tocca però un livello visto poche volte (vengono citati i precedenti del 1996 e del 2011), a causa dei cambiamenti climatici e dell’inadeguata gestione dell’acqua.
Secondo il rapporto sul clima della Conagua, “il 31 marzo, gli Stati messicani con oltre il 70% dei loro territori con siccità da grave a estrema (da G2 a G3) erano Sinaloa (99,9%), Durango (97,7%), Michoacán (90,2%), Queretaro (85,9%), Colima (82,3%), Sonora (79,3%) e Zacatecas (71,5%)”. Inoltre, “dal 1° gennaio all’8 aprile di quest’anno sono stati registrati 3.376 incendi boschivi in 29 Stati, interessando un’area di 98.839 ettari”.
Incalcolabili i danni economici, su agricoltura e allevamenti, e quelli ambientali. “Le zone con la peggiore situazione – spiega da Città del Messico al Sir Juan Pablo Quinones Peña, sociologo e docente in Studi regionali per l’istituto di ricerca José María Luis Mora -, sono a nordovest, al nord, ai confini con gli Usa (Chihuahua e Coahuila), al centro (Guanajuato e Queretaro), ma anche a ovest, nel Veracruz”. Qui, lungo alcune coste più basse e paludose, si è prosciugata l’acqua del mare, provocando una moria di pesci. Accanto alla mancanza di precipitazioni, dovuta al cosiddetto fenomeno della Niña, provocato dal raffreddamento delle acque del Pacifico nei primi mesi dell’anno, la situazione è resa problematica dallo scarso livello dell’acqua nei bacini artificiali, che sono numerosissimi in Messico e spesso fungono da “serbatoio” d’acqua dolce per le attività agricole.
Quasi vuoti anche i bacini artificiali. Spiega infatti Quinones, che dal 2010 conduce ricerche sulla gestione dell’acqua in Messico: “La siccità è un fenomeno abituale, molto studiato fin dagli anni Quaranta del secolo scorso. Rispetto alla media, però, la siccità è aumentata del 30-40%, anche se in modo diseguale sul territorio. Ma si sta assistendo allo scarso riempimento dei bacini, che sono importanti, oltre che per l’irrigazione, anche per far fronte ai frequenti incendi. Mediamente nei laghi artificiali c’è un calo di portata del 20%. In Messico ci sono 6mila dighe, in molti casi parecchio datate”. Alcune delle dighe più grandi, nel Nord del Paese, sono in questo momento sotto il 25% della loro portata.
A soffrire sono le produzioni agricole, in un momento difficile per l’economia anche a causa del Covid-19. “Negli Stati del Nordest esistono molti piccoli produttori, che già lo scorso anno hanno subito un calo del 3% della produzione, cui si aggiunge quest’anno un altro 6%”. Anche se la siccità, come accennato, esiste in varie zone del Messico da decenni, non c’è dubbio che il cambiamento climatico e il riscaldamento globale stanno avendo un ruolo chiave nell’aggravamento del fenomeno. “L’aumento della temperatura è chiaramente percepibile, in pratica da quattro stagioni si è passati a due”. Così, alla lunga stagione secca, fa seguito, negli ultimi mesi dell’anno, una serie di tempeste tropicali i cui effetti sono tristemente noti.
Responsabilità umane. Ma anche volendo prescindere dai mutamenti climatici di largo respiro, secondo l’esperto le responsabilità umane, di carattere politico, sociale, urbanistico, economico, sono evidenti. “Anzitutto, va sottolineato il degrado del territorio, spesso teatro di conflitti e in mano alle bande criminali. Tutto questo impedisce una costante custodia dell’ambiente. In secondo luogo, cala la qualità dell’acqua, che spesso è inquinata. Un altro fattore è la crescita dell’urbanizzazione. Pensiamo a cosa significa approvvigionare d’acqua una metropoli da oltre venti milioni di abitanti come Città del Messico”.
La cattiva gestione dell’acqua potabile si avverte soprattutto nel nord del Paese, e un’altra causa della dispersione della risorsa è il suo utilizzo o per monoculture invasive o per alcuni tipi di industria, come quelle della birra e delle bibite, molto fiorenti in Messico.
Ricapitolando, conclude Quinones, “si può dire che l’attuale siccità ha molte cause: i mutamenti climatici, uno stile economico e di vita che non custodisce le risorse ambientali, le scelte politiche e la cattiva gestione delle strutture”. Non manca, tuttavia, qualche speranza in un’inversione di tendenza: “E’ in corso d’approvazione, in Parlamento, la nuova legge sulla gestione dell’acqua. E stanno sorgendo, nel Paese, vari movimenti in difesa della terra e dell’acqua”. Un processo, quest’ultimo, nel quale è coinvolta anche la Chiesa.
È nata infatti da poche settimane la sezione messicana della Remam, la Rete ecclesiale ecologica mesoamericana, sorta nel 2019 sull’esempio della Rete ecclesiale panamazzonica (Repam). La Remam del Messico sarà “una voce chiara e coraggiosa, a partire dal Vangelo”, per difendere l’ambiente e soprattutto le popolazioni più povere, svantaggiate dagli attacchi alla casa comune, è stato evidenziato nel corso della sua presentazione. La Remam coordinerà iniziative per documentare le situazioni che minacciano la salvaguardia dell’ambiente, condividerà esperienze e buone pratiche, creerà banche dati e approfondimenti informativi. Queste proposte dovrebbero aiutare a proteggere i leader ambientali che difendono la vita e il territorio, di fronte a crescenti minacce come discariche illegali di rifiuti tossici, mega progetti minerari e idroelettrici, accaparramento di terreni per piantare monocolture, difficoltà di accesso all’acqua potabile, inquinamento delle spiagge, conflitti socio-ambientali.
(*) giornalista de “La vita del popolo”