Stato di anarchia, retate e uccisioni sommarie, gente in fuga nella giungla. Campi abbandonati. Chiese e monasteri deserti. Quello che si temeva, è diventata realtà: in Myanmar è guerra civile, tra l’esercito della giunta militare (conosciuto con il nome di “Tatmadaw”) e le forze di resistenza popolare. Le situazioni più critiche si registrano negli Stati del Kachin, Kayah e Karen dove il colpo di Stato del 1 febbraio ha riacceso conflitti e ferite mai del tutto sanate. “Da quando la guerra è arrivata in città nello Stato di Kayah, dal 21 maggio, nessun luogo è sicuro, specialmente nelle zone di combattimento”, scrive al Sir padre Francis Soe Naing, dalla diocesi di Loikaw. “Le persone fuggono ogni giorno lasciandosi alle spalle le proprie case e i propri averi”.
A farne le spese è anche la chiesa locale. “La conseguenza è che 7 parrocchie della diocesi di Loikaw (Deemoso, Dongankha, Tananukwe, Donganrao, Domyalay, Kayantharya e Loilemlay) sono completamente abbandonate. Tranne i militari e le forze della KPDF (Kareni People’s Defense Force), non è rimasto più nessuno. Anche preti e suore sono andati via. Le chiese e le case sono deserte”. Nelle 7 parrocchie si contava una popolazione cattolica di 24.753 persone (oltre 5mila famiglie). Qui operavano 15 sacerdoti, 2 fratelli religiosi, 24 suore. 11 sono le chiese, 19 cappelle, 7 case del clero e 7 conventi. “Ora sono completamente deserte”.
Sulla loro pagina Facebook, anche i gesuiti del Myanmar lanciano una drammatica denuncia. “Senza una ragione apparente, i soldati hanno ucciso a colpi di arma da fuoco un volontario nel pre-seminario maggiore di Loikaw, in Myanmar, e hanno perquisito ogni stanza del seminario”. La gente che non si sentiva al sicuro nelle proprie case, è arrivata nei conventi e nel seminario per trovare rifugio, ma “i soldati hanno ucciso una persona innocente e i preti non hanno potuto fare nulla per impedire ai terroristi di farlo”. Nel dare la notizia, i gesuiti aggiungono un post-scriptum inquietante: “I soldati (senza permesso) hanno anche mangiato il cibo che l’uomo ucciso ha cucinato per gli sfollati”.
“Il Myanmar è ora in uno stato di anarchia”, scrive padre Francis da Loikaw. Dall’inizio del colpo di Stato il 1 febbraio, più di 800 civili innocenti sono stati uccisi in vari modi. “Quanti cadaveri sono necessari perché le Nazioni Unite agiscano?”, ha richiesto un manifestante adolescente di fronte all’ufficio delle Nazioni Unite a Yangon. “Il sangue chiede giustizia e pace”, aggiunge il sacerdote di Loikaw. “Senza un intervento internazionale, il Myanmar diventerà presto un cimitero”. La Chiesa cattolica di Loikaw sta aiutando gli sfollati interni. “Siamo preoccupati che l’esercito birmano possa usare la politica dei ‘Quattro tagli’: tagliare l’accesso a cibo, fondi, informazioni e reclutamento. La strada nella parte meridionale dello stato di Kayah e l’accesso alle reti mobili e Internet in alcune aree sono già interrotti. Un’altra preoccupazione riguarda l’imminente fame. Ora è il momento della coltivazione. La maggior parte della nostra gente vive di agricoltura. Se i combattimenti dovessero continuare, si morirebbe anche di fame”.
Domenica 30 maggio, nella solennità della Santissima Trinità, in tutte le cattedrali e parrocchie del Myanmar si è levata una speciale preghiera per la pace in Myanmar. A lanciare l’iniziativa è stato il cardinale Charles Bo, presidente dei vescovi birmani che dalla cattedrale di Yangon ha lanciato l’ennesimo grido di dolore: “Negli ultimi quattro mesi, questa nazione ha subito enormi sofferenze. Anche ora le persone di Mindat (nello Stato del Chin, n.d.r.) e Loikaw (nello Stato del Kayah, n.d.r.) sono ammucchiate nella giungla dopo che la violenza li ha costretti a fuggire. In migliaia sono sfollati feriti e affamati. Di fronte alle sofferenze e alle lacrime del nostro popolo, quale può essere il messaggio della Santissima Trinità? La Trinità insegna un grande concetto: il vero potere è l’Amore. Non la dominazione”. L’arcivescovo ha però voluto lanciare anche un messaggio di speranza. “Sono momenti bui”, ha detto. “Nei momenti bui della storia, la Trinità è intervenuta direttamente nell’umanità. Il Dio d’Israele chiamò Mosè a liberare il suo popolo dalla schiavitù soffocante in Egitto. Dio è il Liberatore delle vittime dell’oppressione. Dio opera attraverso di noi. Come ci ha esortato il Papa: proprio quando sembra che il male vinca, dobbiamo mantenere la fede e l’unità e rispondere alle vittime del male. Sì, quando il male ci minaccia, la risposta non è il silenzio, non è il ritiro nella nostra salvezza. Gesù dice ai suoi discepoli: Andate. Dobbiamo andare laddove la violenza ha spezzato le famiglie in questo paese, ha versato sangue, ha costretto migliaia di persone a fuggire nelle giungle”. Anche oggi, ha quindi detto il cardinale, i cristiani sono chiamati a “rimuovere le catene dei prigionieri incatenati ingiustamente”, a condividere “il cibo con tutti coloro che hanno fame” e “la casa con i poveri e i senzatetto”. “Questo porterà guarigione alla nazione”. Domenica 30 maggio, si sono levate preghiere per il Myanmar anche nelle Filippine e dalla Cambogia, padre Bruno Cosme, amministratore apostolico della prefettura di Kompong Cham ha espresso parole di vicinanza e solidarietà in un video messaggio ripetendo quanto ha detto il cardinale Bo: “la pace è possibile, la pace è l’unica via”.