“C’è un grido dell’umanità che ci tocca in modo particolare ed è quello che si alza laddove c’è disunità. Disunità in famiglia, disunità tra le Chiese e fra i popoli. Disunità anche causate spesso e tante volte da conflitti e guerre. Perché questa è l’essenza del nostro carisma: ricomporre l’unità laddove si è spezzata e rendere questo mondo più armonioso e più in pace”. Margaret Karram è la seconda presidente del Movimento dei Focolari dopo la morte della fondatrice Chiara Lubich. Succede a Maria Voce ed è stata votata in Assemblea il 31 gennaio scorso. Araba, cristiana-cattolica, nata ad Haifa, in Terra Santa, 59 anni fa, si è laureata in Ebraismo all’Università ebraica di Los Angeles, negli Stati Uniti. Parla arabo, ebraico, italiano, inglese. Un curriculum vitae che rispecchia il popolo, variegato e complesso, dei Focolari: diffuso in 182 paesi del mondo, al Movimento aderiscono oltre 100mila membri attivi e un milione e mezzo di aderenti. Tra loro anche persone di varie Chiese e comunità cristiane, seguaci delle grandi religioni mondiali, uomini e donne di convinzioni non religiose.
Margaret Karram, il Papa, incontrandovi dopo l’Assemblea, vi ha incoraggiato ad essere “testimoni di vicinanza con l’amore fraterno che supera ogni barriera e raggiunge ogni condizione umana”. Quale sfida vi interpella di più, come seguaci di Chiara?
Le sfide sono tante e molteplici. Mi sembra però che quella della prossimità sia la più importante e la più impegnativa. La pandemia ha cambiato tutta la nostra vita e da vari punti di vista. Ci ha insegnato quanto sia importante oggi essere vicini alle persone, soprattutto a quelli che soffrono. Spesso i dolori sono inconsolabili. Molte persone hanno perso i propri cari. È aumentata la povertà. Nella Enciclica “Fratelli Tutti”, risuona l’invito di Papa Francesco a diventare prossimi gli uni degli altri. C’è una frase di Chiara che mi è di ispirazione: “l’amore è qualcosa d’attivo, d’attivissimo. Domanda di non vivere più per se stessi, ma per gli altri. E ciò richiede sacrificio, fatica. Domanda a tutti di trasformarsi da uomini pusillanimi ed egoisti, concentrati sui propri interessi, sulle proprie cose, in piccoli eroi quotidiani che, giorno dopo giorno, sono al servizio dei fratelli, pronti a donare persino la vita in loro favore”.
Nonostante imperversi la pandemia, i conflitti nel mondo non si sono placati. La pace è una condizione fragilissima. Come si costruisce la fraternità? Dove nasce la vera pace?
Anche Chiara a Trento ha sentito il rumore delle bombe. È corsa nei rifugi. Ha camminato tra le macerie. Ha visto la sua casa distrutta e la gente che moriva. Ha pianto, asciugato lacrime e consolato. Chiara ha visto la durezza e la crudeltà della guerra. Ha vissuto la povertà ed ha voluto risolvere i problemi sociali della sua città. Di fronte all’orrore della guerra, Chiara si è lasciata interpellare e oltre a pregare, ha preso il Vangelo in mano e con le sue prime compagne lo ha vissuto sul serio, partendo dal testamento di Gesù: “che tutti siano uno”. Sono convinta che la pace nasca prima di tutto nel cuore di ciascuno di noi. Solo se abbiamo la pace nel cuore possiamo agire, essere attenti a chi ci sta vicino, aprirci all’umanità attorno a noi. Solo così possiamo costruire una fraternità e una pace duratura. Altrimenti, sono solo parole e la pace, un’utopia.
Lei è araba, palestinese. Che posto ha il Medio Oriente nel suo cuore? Quale vocazione ha la Terra Santa per il mondo di oggi?
Il Medio Oriente ha un posto privilegiato nel mio cuore. Lo è perché è la mia patria. E lo è anche per i tanti dolori che questi popoli hanno vissuto e continuano a vivere tutt’ora. Il focolare si aprì a Gerusalemme per la prima volta nel 1977, anno in cui Chiara ricevette il Premio Templeton per il progresso delle religioni. Il Movimento arrivò lì, con l’intenzione di dare un contributo al dialogo tra persone diverse. Abbiamo avuto negli anni tante occasioni di incontro che ci hanno aiutato a conoscerci a vicenda, rompere tanti muri e a vederci, al di là dei pregiudizi, non più nemici ma figli della stessa terra. È uno sforzo che continua ancora oggi. Insieme ai cristiani, tanti ebrei e musulmani hanno aderito allo spirito del carisma. La Terra Santa ha la vocazione di ricordarci continuamente la sorgente della nostra vita cristiana e per la sua composizione e le ferite della storia, ha anche la vocazione di poter essere per il mondo un esempio della possibilità di ricomporre l’unità tra le diversità.
Il Movimento dei Focolari è forse una delle pochissime espressioni della Chiesa dove la presidente, per statuto, sarà sempre una donna. Le donne stanno ancora cercando un loro posto non solo nella Chiesa ma anche nella società. Voi, dei Focolari, che esperienza avete in questo senso?
E’ una domanda che richiederebbe tanto tempo. Vorrei però dire che la questione femminile non riguarda soltanto le donne ma riguarda lo sviluppo sano, giusto e onesto di tutta la società. Papa Francesco più volte ha sottolineato l’importanza di coinvolgere maggiormente le donne nei processi di discernimento e di decisioni. Mi sembra che stia avvenendo anche all’interno della Chiesa e nella governance vaticana. Chiara era una donna di Dio, una donna libera, appassionata e coraggiosa. E una volta disse: “la donna ha la particolare capacità di saper amare e saper soffrire. Sa raccogliere dal cielo il più grande carisma che esiste: la carità, che supera tutti i carismi perché la carità resterà anche nell’altra vita. È la carità che bisogna portare nel mondo”.
Pur essendo numerosi, la vostra è una presenza silenziosa. Come definirebbe oggi il “popolo di Chiara” e, guardando al futuro, quale nota dovrà caratterizzarvi sempre di più?
Ricordo che al funerale di Chiara, un monaco buddista aveva detto: “Chiara non appartiene solamente a voi cristiani. Ora lei e il suo ideale sono eredità dell’umanità intera”. Veramente il Movimento si è diffuso dappertutto e tra persone di religioni diverse, tra cristiani di varie chiese, e persone di convinzioni non religiose. Il fatto di essere silenziosi non mi mette in discussione. Non è un caso che il Movimento sia chiamato “Opera di Maria” perché Maria con il suo silenzio ha agito nell’umanità. Anche Chiara diceva sempre che lo spirito del Movimento non sta tanto nel fare le cose ma nel testimoniare con la vita. Alla domanda di come definirei il “popolo di Chiara”, risponderei con un’immagine che Chiara stessa ha dato del Movimento. È l’immagine di una Madonna risalente al Medioevo che con il suo manto avvolge castelli e chiese, artigiani, monaci, vescovi e madri di famiglie, ricchi e poveri. Qualcosa di simile può dirsi del nostro Movimento: l’Opera è come quel mantello che raccoglie brani di Chiesa e di umanità, che ha ricevuto da Dio il dono di fare di loro una famiglia. È un dono, un carisma, che è appunto far somigliare l’Opera a Maria nella sua funzione materna e unificante.