Attaccano i villaggi nel deserto del Niger occidentale, al confine con il Mali. Bruciano le case e massacrano centinaia di donne, uomini e bambini innocenti senza pietà. L’ultimo attacco, compiuto da movimenti jihadisti, è avvenuto domenica 21 marzo e si è svolto con una dinamica spietata, pianificata nei minimi dettagli: centinaia di uomini in moto hanno circondato i villaggi di Intazayene, Bakorate e Wistane nel dipartimento di Tillia nella regione nigerina di Tahoua, che vive una insicurezza crescente. Hanno aperto il fuoco a bruciapelo su nomadi tuareg che svolgevano la loro serena routine quotidiana: gli uomini con i cammelli, le donne e i bambini alle fonti per rifornirsi d’acqua. Sono già 137 le vittime accertate, compresi 22 bambini tra i 5 e i 17 anni. “Con i feriti gravi si arriverà quasi certamente a 150. Sono stati trucidati in maniera violenta: hanno aperto il fuoco sulle persone che lavoravano nei campi o accanto ai punti d’acqua, mentre badavano agli animali che si abbeveravano”. A parlare al Sir da Niamey, capitale del Niger, è Alessandra Morelli, rappresentante dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr): dal 2017 coordina uno staff di 400 persone che aiutano sfollati e rifugiati in un territorio complesso e strategico. La loro azione spazia dal Niger al Burkina Faso e al Mali, dal Mediterraneo centrale e Libia fino al bacino del lago Ciad, che da 6 anni vede flussi di nigeriani del nord in fuga dagli attacchi di Boko haram.
Un terrorismo transfrontaliero di matrice jihadista. Alessandra Morelli ha una esperienza trentennale in zone di conflitto ed è sopravvissuta ad un grave attentato con autobomba a Mogadiscio nel febbraio del 2014, di cui porta ancora i postumi. Nonostante ciò continua la sua azione appassionata accanto a sfollati e rifugiati, nelle peggiori crisi umanitarie. Da un paio di anni in questi territori sembra si siano installate anche milizie della provincia dell’Africa occidentale dello Stato islamico (Iswap), un terrorismo crossfrontaliero che si muove dal Mali.
Nel Sahel centrale, compreso il Niger, la dinamica è quella “di crearsi spazi operativi bruciando villaggi e allontanando la gente per continuare ad operare”, spiega Morelli. Lo scopo?
“Destabilizzare la zona e dimostrare che il governo nigerino non ha il controllo sul territorio”.
L’ultimo attacco è avvenuto un mese dopo l’elezione del nuovo presidente Mohamed Bazoum, candidato del partito di governo e successore del presidente uscente Mahamadou Issoufou. Secondo la capo missione dell’Unhcr probabilmente “è un messaggio al governo”.
Un convoglio Onu si sta recando a Tahoua. Le agenzie dell’Onu stanno monitorando la situazione e i movimenti delle persone in fuga dalla regione di Tahoua. E’ appena partito un convoglio con rappresentanti dell’Unhcr, dell’Unicef, del Wfp e del governo che farà una prima analisi dei bisogni umanitari. “Svolgiamo tutto con estrema delicatezza e attenzione – precisa Morelli – per evitare di trovarci in mezzo ad una imboscata”. La regione di Tahoua è immensa, ci sono pochissime strade, per i militari è difficilissimo rintracciare persone che si muovono in moto. Inoltre da lì “le informazioni arrivano con il contagocce perché sono zone remote e isolate, con telecomunicazioni molto precarie”. L’Unhcr ha però già notizia di oltre 600 persone che stanno attraversando la frontiera per cercare riparo in Mali. Le regioni nigerine di Tahoua e Tillaberi, che confinano con Burkina Faso e Mali, ospitano attualmente 204.000 rifugiati e sfollati interni.
Dinamiche che si ripetono. A gennaio 2021 ci sono stati attacchi simili nella regione occidentale di Tillaberi, a Tchombangou e Zaroumdareye. Due giorni prima era passata una pattuglia delle forze militari nigerine, l’attacco è avvenuto il giorno dopo. “La dinamica è la stessa – dice Morelli -. Osservano il movimento delle truppe e quando se ne vanno attaccano”. Questo è il secondo massacro contro civili nell’arco di una settimana. Il 15 marzo, gruppi armati hanno ucciso almeno 58 persone, compresi 6 bambini, di ritorno dal mercato nel dipartimento di Banibangou, nella regione di Tillaberi, vicino al confine con il Mali.
Una delle peggiori crisi umanitarie. Niger, Burkina Faso e Mali sono oggi epicentro di una delle crisi umanitarie a crescita più rapida. La regione sta già ospitando quasi tre milioni di rifugiati e persone sfollate all’interno del proprio Paese a causa di conflitti. “Il 50% sono rifugiati e l’altro 50% sono sfollati interni – puntualizza Morelli -. Questo significa che c’è un enorme problema di sicurezza”. Nonostante ciò il governo nigerino continua a mostrare grande apertura e generosità alle persone che fuggono dalla violenza nelle regioni del Sahel e del Lago Ciad. La presenza delle maggiori agenzie Onu e di molte organizzazioni non governative lo dimostra.
L’appello del Papa e la presenza della Cei. Il 24 marzo anche Papa Francesco ha lanciato un appello per il Niger, pregando “per le vittime, per le loro famiglie e per l’intera popolazione”, chiedendo che “la violenza subita non faccia smarrire la fiducia nel cammino della democrazia, della giustizia e della pace”. Per chi lavora sul campo
“le parole del Papa hanno un valore immenso di speranza”,
commenta la capo missione Unhcr, che collabora anche con Caritas italiana nella programmazione dei corridoi umanitari. A gennaio ha incontrato a Niamey con il vescovo di Acireale monsignor Nino Raspanti, vice presidente della Cei, per la verifica delle iniziative avviate in questi anni, tra cui un progetto di borse di studio per minori realizzato insieme ad Intersos.