Tokyo – “O Dio, nostro Padre. preghiamo con speranza e fiducia in Te, che effondi la tua infinita misericordia su tutti gli uomini. Ti preghiamo per coloro che stanno ancora soffrendo a causa del Grande Terremoto del Giappone orientale. Illumina i cuori di coloro che ancora sono afflitti e vivono nell’angoscia di un disastro nucleare. Ti preghiamo di sostenerli affinché non perdano la speranza. A coloro che sono morti, dona la pace eterna. A noi concedi di poter testimoniare che Cristo, che ha portato la sofferenza di tutti gli uomini, è sempre con noi”.
Con questa preghiera predisposta dalla Conferenza episcopale del Giappone, la comunità cattolica nipponica, su invito dei Vescovi, oggi alle 14:46 (le 6,46 italiane), dopo un minuto di silenzio, si è unita spiritualmente per commemorare il 10° anniversario del terremoto dell’11 marzo 2011, il quarto più grande nel mondo dal 1900 e la cui magnitudo 9,0 della scala Richter è stata la più forte mai registrata in Giappone.
L’epicentro fu localizzato al largo della costa orientale dell’arcipelago colpendo in particolare le prefetture di Iwate, Ibaraki e Miyagi situate nella regione di Tohoku e provocando il violento tsunami che causò migliaia di morti, inghiottì case, campi, automobili, provocò incendi e danneggiò le centrali nucleari di Fukushima.
Nella preghiera di commemorazione sono state ricordate le vittime del disastro il cui bilancio a 10 anni di distanza è ancora incerto. L’ultimo dato aggiornato, risalente al febbraio scorso, arriva dall’Agenzia nazionale di polizia che ad inizio febbraio registrava un numero di morti pari a 15.900 in 12 prefetture ed un numero di persone scomparse salito a 2.525 in 6 prefetture. Sempre un mese fa, l’ultima identificazione di un corpo, quello di una donna.
Più del 99% dei deceduti e dei dispersi si sono concentrati nelle tre prefetture di Iwate, Miyagi e Fukushima e più del 90% delle morti sono state per annegamento. A perdere la vita sono stati in maggioranza persone anziane di cui circa il 70% con più di 60 anni.
Quest’anno a causa del protrarsi della pandemia non si è potuta celebrare la prevista Messa commemorativa che si sarebbe dovuta svolgere nella cattedrale di Sendai ed a cui avrebbero dovuto partecipare tutti i Vescovi delle 16 diocesi del Giappone. La celebrazione è stata invece presieduta in solitudine dal vescovo emerito mons. Martin Tetsuo Hiraga.
Ripercorriamo quei momenti attraverso la testimonianza di padre Shiro Komatsu segretario amministrativo della diocesi di Sendai che accoglie le prefetture più colpite dal disastro. Nelle sue parole l’indelebile ricordo di quelle drammatiche giornate.
“Subito dopo le prime scosse ci fu un black out dell’energia elettrica – racconta al Sir il sacerdote – e ci vollero due giorni per ripristinarla. E solo allora ci rendemmo conto conto del disastro provocato dallo tsunami”.La diocesi di Sendai, dal 2020 in attesa della nomina del nuovo vescovo, si estende su un territorio di circa 46.000 km² con una popolazione di poco superiore a 6.740.000 persone e comprende quattro prefetture, le più colpite dal disastro del 2011. I cattolici sono circa 10 mila e rappresentano più o meno lo 0,14% della popolazione, distribuito su 53 parrocchie con circa 25 sacerdoti tra diocesani e religiosi.
“Non appena tornata l’elettricità e riabilitate le linee telefoniche iniziammo subito a ricevere molte telefonate. Il problema era che non riuscivamo a metterci in contatto con le parrocchie situate nelle zone più vicine all’epicentro né avevamo la possibilità di poterle visitare. Ci sono voluti ben 14 giorni prima di riuscire ad avere notizie dalle quali capimmo subito il quadro della situazione della diocesi.”
Nel ricordare quei momenti pieni di angoscia, padre Komatsu sottolinea come tuttavia abbia sperimentato la provvidenza e la vicinanza di Dio attraverso la solidarietà ed il supporto concreto di tutta la comunità cattolica. “Durante queste due settimane di attesa – continua il sacerdote – raggiunsero la nostra diocesi l’allora vescovo di Niigata, e attualmente arcivescovo di Tokyo, mons. Kikuchi, e l’allora vescovo di Saitama mons. Taji Tani per informarci a nome della Caritas Japan che sarebbero presto arrivati numerosi volontari e supporti economici dalle altre diocesi del Giappone ed anche dall’estero”.
I primi volontari della Caritas furono inviati immediatamente nelle otto parrocchie situate nelle aree più danneggiate, Miyagi, Itawe, e Fukushima, dove fecero base per svolgere tutte le attività di supporto per aiutare i superstiti.
“Il nostro compito principale fu quello di stare accanto alle persone attraverso gesti concreti, – spiega p. Komatsu – dallo svuotamento delle loro case allagate al liberarle dai detriti, alla ricerca di oggetti personali e di prima necessità sepolti sotto le macerie. Altri si occuparono di operazioni più complesse. Era la prima volta che mi trovavo a gestire così tante persone, ma vedevo come pian piano, giorno dopo giorno, riuscivamo a svolgere i compiti affidatici.”
Il lavoro dei volontari cattolici cambiò quando gli sfollati vennero trasferiti dalle palestre e dai luoghi di primo soccorso agli alloggi provvisori appositamente edificati. Da quel momento la loro attività divenne un’attività di accoglienza e animazione: “Cominciammo a visitare questi alloggi per stare con le persone per parlare con loro, per prendere un tè insieme, per cantare e condividere, per quanto possibile, piccoli momenti di serenità”.
Per sostenere i volontari, distribuiti in otto parrocchie della diocesi, la Conferenza episcopale inviò settimanalmente 10 suore dei diversi ordini religiosi. Non solo. Per favorire una presenza costante delle attività liturgiche vennero inviati anche sacerdoti in numero sufficiente a coprire tutte le 53 parrocchie presenti nelle quattro prefetture con particolare attenzione alle aree più colpite.
“È importante ricordare che tutte le attività esercitate dai nostri volontari nei confronti della popolazione si sono svolte senza alcun riferimento o dichiarazione esplicita alla nostra fede cattolica. Un atteggiamento prudente – spiega p. Komatsu – adottato per non ripetere quanto accadde nel 1999 quando, in seguito al terremoto, i nostri volontari, anche in quel caso attivi sul territorio, vennero ingiustamente accusati di proselitismo perpetrato in situazioni di fragilità psicologica ed emotiva”.
Nel 2011 quindi la presenza cattolica tra i sofferenti è stata capillare ma discreta, quasi nascosta, ma comunque capace di produrre frutti. “Ma la cosa bella – prosegue tra il meravigliato e il divertito – è che, passata la fase critica, quando i volontari hanno lasciato la regione, a presidiare il territorio sono rimaste le nostre parrocchie, le quali, mettendo a disposizione le loro sale, sono divenute i principali luoghi di accoglienza per la popolazione. Le persone liberamente e spontaneamente venivano per riunirsi, stare insieme, ritrovarsi e sentirsi accolte”.
Delle 53 parrocchie della diocesi circa 30 sono state danneggiate dal terremoto ed una è stata completamente distrutta, ma sono state tutte ristrutturate grazie alla generosità dei fedeli non solo giapponesi.
Infine, padre Komatsu, parla di quello che lui definisce “un piccolo miracolo personale”. Un incontro inaspettato, avvenuto durante l’attività di volontariato, cui stava prendendo parte nella città della costa di Miyagi, luogo nel quale aveva vissuto da bambino. Tra gli sfollati ha ritrovato la sua maestra di asilo. La donna aveva perso tutto ma era riuscita a recuperare, proprio attraverso i nostri volontari, alcuni oggetti a lei cari tra i quali una fotografia con i suoi alunni. “Sul retro della foto, ho letto i tanti ‘grazie’ dei genitori alla maestra e un solo ‘mi dispiace’. Era quello di mia madre che si scusava per il figlio indisciplinato e ribelle. Insomma, dopo quarant’anni avevo rincontrato la mia maestra e in un certo senso anche la mia mamma deceduta solo tre anni prima”.
Prima del saluti, il segretario della diocesi chiede di poter approfittare dello spazio offerto dal Sir per ringraziare il mondo cattolico italiano per la vicinanza e l’aiuto offerto alla popolazione della diocesi di Sendai, “segno tangibile – afferma convinto – della cattolicità della Chiesa”.