Pakistan, 10 anni dalla morte di Shahbaz Bhatthi. Il fratello Paul: “Il suo sacrificio ha portato tanti frutti”

A 10 anni dall'assassinio a Islamabad, in Pakistan, del ministro per le Minoranze religiose Shahbaz Bhatti, parla al Sir il fratello Paul Bhatti

Una persona integra, determinata, coerente fino alla morte con la propria fede e il proposito di lottare contro le ingiustizie e le discriminazioni religiose. Oggi ricorrono dieci anni dalla morte di Shahbaz Bhatti, il ministro cattolico pakistano per le Minoranze religiose, ucciso a Islamabad il 2 marzo 2011 da un gruppo di talebani per aver parlato contro la legge sulla blasfemia e aver difeso con coraggio Asia Bibi, la cristiana condannata a morte in base a false accuse e liberata nel 2018 dopo lunghi anni in carcere. Fu ucciso in strada da un gruppo di talebani, fatto uscire dalla sua automobile e crivellato con 30 colpi. I quattro assassini in seguito sono stati arrestati, uno è morto in carcere, gli altri 3 sono stati uccisi durante una incursione della polizia.

Shahbaz Bhatti era nato il 9 settembre 1968, in una famiglia cristiana di sei fratelli, originaria del villaggio di Kushpur. Dopo aver completato gli studi, ha intrapreso la carriera politica nel Pakistan People’s Party. Ha lavorato a stretto contatto con Benazir Bhutto, fino al momento dell’assassinio della leader pakistana. Bhatti fu il primo cattolico a ricoprire l’incarico di Ministro per le Minoranze religiose.

Shahbaz Bhatti – foto: P.Caiffa/SIR

Un ricordo. Lo incontrai personalmente nel suo ufficio di Islamabad nel novembre 2010, pochi mesi prima della sua morte, insieme ad alcuni colleghi italiani. Era stato ucciso da poco Salman Taseer, governatore del Punjab, anche lui accusato dai fondamentalisti islamici di aver difeso Asia Bibi. “Questa legge, con false accuse di blasfemia, ha già fatto troppe vittime”, ci disse. Era però consapevole di essere lui “il bersaglio più alto” degli estremisti. Riceveva continue minacce, telefonate.

Paul Bhatti

“Sapeva di correre dei pericoli, io gli dicevo di evitare i rischi ma non mi ascoltava”,  ci racconta oggi il fratello maggiore Paul Bhatti, medico specializzato in chirurgia pediatrica. Vive tra Treviso e Islamabad, dove qualche anno fa ha ricoperto la medesima carica governativa. “Mio fratello era molto determinato e testardo – prosegue -. Quando aveva in mente qualcosa era difficile fargli cambiare idea. Questo lo ha portato fino alla morte e questo ci fa stare male. Ma dall’altro lato ci fa capire come la sua fede l’abbia portato ad essere un esempio, attraverso quella che chiamava la sua ‘via crucis’”. Oggi Paul Bhatti è presidente di All Pakistan Minorities, una organizzazione per la difesa e la promozione dei diritti delle minoranze che oltre all’azione politica svolge attività di solidarietà, crea opportunità di lavoro. Anche la sua vita è stata stravolta dopo l’assassinio del fratello: prima lavorava in ospedale ora è medico di base e porta avanti a suo nome la stessa causa, anche a livello internazionale.

“Shahbaz combatteva contro ogni tipo di ingiustizia sociale e lottava contro l’estremismo, il terrorismo e l’integralismo – afferma Bhatti -.

Aveva fatto riforme e cambiamenti di legge che hanno dato grandi frutti per l’integrazione delle persone emarginate”.

Ad esempio era riuscito a far introdurre una quota del 5% da riservare alle minoranze nel mondo del lavoro, nei concorsi pubblici e nelle scuole: “Questo ha cambiato molto la vita delle persone. Inoltre il Senato pakistano prima era chiuso alle minoranze, lui ha fatto la riforma e ora ci sono anche rappresentanti di altre religioni”.

Tanti cambiamenti positivi. Shahbaz è stato anche “il primo a promuovere il dialogo tra le religioni perché diceva che tutte le differenze vanno superate in questo modo”. Per cui, a distanza di dieci anni, anche se nel Paese asiatico ci sono ancora tanti problemi politici, instabilità e povertà, “c’è maggiore sensibilità nei confronti del dialogo interreligioso, sono nate centinaia di organizzazioni”. E’ stata istituita anche una festività apposita l’11 agosto, il “Minorities day”,  per ricordare che sono parte integrante del Paese. Le ideologie e i radicalismi non sono ancora spariti, la legge sulla blasfemia non è stata ancora abolita, eppure Bhatti è fiducioso perché intravede dei cambiamenti nella società.

I frutti del suo sacrificio. “Guardo con orgoglio e soddisfazione alle tantissime persone emarginate che siamo riusciti ad integrare nella società – sottolinea -. Tanti ora vedono riconosciuti i loro diritti. E poi continuiamo a promuovere spazi per il dialogo locale e con le autorità internazionali”. Anche se i tempi saranno lunghi e forse bisognerà aspettare un cambio generazionale, continua a sognare anche lui “una società più pacifica e armonica”. “Il suo sacrificio ha portato molto frutto – concorda -. Il mondo in cui viviamo non si può cambiare da un momento all’altro ma è aumentata la sensibilità anche a livello internazionale. Ora si ricordano di lui in tanti Paesi e questa è una grande soddisfazione”.

Riguardo alla legge sulla blasfemia, in vigore dal 1986, Bhatti registra una “effettiva diminuzione dei casi”. “Quando ero al governo – ricorda -, ogni mese c’erano violenze contro i cristiani. Ora molto meno e se ci sono si risolvono in maniera meno cruenta. Ci sono ancora casi di conversione a Karachi, ed è sempre un trauma vedere le persone maltrattate, ma già si intravedono elementi positivi”.

“Ci vorrà tempo per cambiare l’opinione pubblica ma prima o poi, sicuramente, anche la legge sulla blasfemia cambierà”.

La legge, usata per vendette e ritorsioni, colpisce sia le minoranze religiose (i cristiani sono il 2% di 180 milioni di abitanti, il 95% sono musulmani, il restante 3% indù, buddisti o fedeli di altre religioni), sia i musulmani.

Ferma la causa di canonizzazione. Ha subito invece una battuta d’arresto il processo diocesano di canonizzazione che era stata aperta dall’allora vescovo di Islamabad-Rawalpindi Anthony Rufin, morto nel 2016. “La causa è ferma da 5 anni perché l’iniziativa dovrebbe ripartire dalla diocesi e la pandemia certo non facilita. Che mio fratello sia un martire non ci sono dubbi – conclude Bhatti -. Certo a me farebbe piacere che proseguisse perché lo merita. Ma il suo valore, in ogni caso, non viene meno”.

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