Due milioni di contagi accertati, che vengono raggiunti proprio in questi giorni. Soprattutto, circa 175mila morti (al terzo posto dopo Stati Uniti e Brasile), con un rapporto tra persone risultate positive e decedute che non ha uguali al mondo, e un numero di decessi quotidiani che supera costantemente il migliaio, da settimane. Il Messico non ha, in questi mesi, conosciuto una prima e seconda ondata, come accaduto quasi ovunque, ma un’unica e ininterrotta emergenza, gestita in modo inadeguato dalla politica, a cominciare dal presidente, il populista di sinistra Andrés Manuel López Obrador, che in modo simile al populista di destra Jair Bolsonaro, presidente del Brasile, ha fin da subito minimizzato gli effetti della pandemia (aveva garantito, ancora agli inizi del contagio, che i poveri non sarebbero stati colpiti), non indossando mai la mascherina, fino a essere egli stesso contagiato. I numeri dei decessi, del resto, fanno intuire che i contagi effettivi siano stati molti di più di quelli dichiarati. Dentro a questa emergenza, la campagna vaccinale procede molto a rilento.
Durissimo anche il prezzo pagato dalla Chiesa messicana: secondo il più recente rapporto del Centro cattolico multimediale, che fa il punto della situazione circa due volte al mese, erano 194 al 31 gennaio le vittime del Covid-19 tra vescovi (5), sacerdoti e religiosi (172), diaconi (10) e religiose (7). 24 in tutto i vescovi contagiati, tra cui due cardinali che si trovano ancora ricoverati in ospedale, dopo aver trascorso alcuni giorni in situazione critica: Norberto Rivera Carrera, arcivescovo emerito di Città del Messico e Juan Sandoval Íñiguez, arcivescovo emerito di Guadalajara.
Alla situazione sanitaria si accompagna la preoccupazione per la crisi economica e occupazionale: si stimano 19 milioni di poveri provocati dalla pandemia. È per questo che la Caritas messicana sta implementando le proprie iniziative e in particolare il progetto “Familias sin hambre” (“Famiglie senza fame”), raccogliendo anche fondi per acquistare bombole d’ossigeno, di cui c’è assoluto bisogno, soprattutto nelle grandi città. Il Sir ne ha parlato con mons. Gustavo Rodríguez Vega, arcivescovo di Yucatán e presidente della Caritas messicana, anch’egli contagiato qualche settimana fa e da poco guarito. “Ma ho avuto pochi sintomi, per fortuna il Covid si è manifestato in forma lieve”, dice.
Eccellenza, in cosa consiste il progetto “Familias sin hambre”?
È stato avviato dieci mesi fa, quando la pandemia ha iniziato a far sentire i suoi effetti nella società messicana. Ma lo scorso 4 febbraio, in occasione della prima Giornata della Fratellanza universale, abbiamo voluto rilanciarlo. Da allora, sono state ricevute più di 43 mila chiamate da persone che hanno richiesto un qualche tipo di servizio che va dal supporto psico-emotivo e spirituale alla fornitura di qualche tipo di aiuto. Grazie alla generosità di molti, sono state consegnate 27.794 dispense alimentari, che rappresentano oltre 2.700 tonnellate di cibo in tutti i 32 Stati messicani, che si traducono in un aiuto di 54.158.800 pesos. A questi aiuti si aggiunge la distribuzione di apparecchiature mediche, mascherine, kit d’igiene. Inoltre, altre azioni sono consistite nel sostegno alle cucine comunitarie, in azioni umanitari nelle case dei migranti, in formazione e creazione di orti familiari e comunitari, nella creazione di reti di vicinato solidali nelle parrocchie.
State anche procurando ossigeno?
Sì, nel rilanciare il progetto, puntiamo anche a raccogliere somme per acquistare compressori e bombole d’ossigeno. In questo momento servono soprattutto a Città del Messico, la capitale è al collasso dal punto di vista sanitario, c’è grande preoccupazione. Tantissima gente arriva continuamente negli ospedali, ma tutte le camere sono occupate. Nelle ultime due settimane i numeri del contagio sono un po’ scesi, ma restano in ogni caso altissimi, soprattutto nelle grandi città.
Un’altra emergenza è quella occupazionale…
Sì, stiamo finanziando borse di lavoro e manteniamo un dialogo costante con gli imprenditori, le università, con le altre Chiese non cattoliche. Per questo abbiamo promosso il progetto “Yo quiero trabajar” (“Io voglio lavorare”).
Di sicuro, invece, in questi mesi non si sono fermati i grandi cartelli e i gruppi criminali. Ce lo può confermare?
È così. La violenza non è cessata ed è anzi aumentata, per esempio nel centro del Paese e in particolare nello Stato del Guanajato. Più a nord, nel Tamaulipas, al confine con gli Stati Uniti, nei giorni scorsi sono stati trovati massacrati 19 migranti, probabilmente del Guatemala. Un fatto gravissimo. Anche a nome della rete continentale Clamor siamo intervenuti perché questo fatto non cada nel dimenticatoio, come era accaduto nel 2013, a proposito della strage di San Fernando, compiuta sempre contro dei migranti. Quanto ai gruppi criminali, sembra che si siano inseriti anche negli aiuti per il Covid-19 e in particolare nella produzione dell’ossigeno. Non si può dire con sicurezza, non esistono prove, ma se così fosse sarebbe un fatto gravissimo.
Quali le sue speranze per i prossimi mesi?
La grande speranza è legata ai vaccini, senza dubbio. Purtroppo, la campagna è iniziata tardi e prosegue molto lentamente. Se si andasse avanti con questo ritmo, ci metteremmo dieci anni a vaccinare tutta la popolazione. Speriamo che ci sia un cambio di ritmo. Insieme a questo è essenziale continuare a informare sull’uso dei dispositivi di protezione e sul distanziamento. Un’opera educativa alla quale non ha partecipato il presidente López Obrador, che non ha mai indossato la mascherina, ha dato un cattivo esempio.
*Giornalista de “La vita del popolo”