In Guinea Conakry torna l’incubo Ebola, a cinque anni dalla precedente ondata epidemica (2013-2016) che aveva messo a dura prova la sanità nazionale e provocato la morte di 11.300 persone tra Senegal, Guinea Conakry e Sierra Leone. Il nuovo allarme di febbre emorragica (ebola virus disease) è scoppiato a fine gennaio nel Sud del Paese, ma è stato confermato soltanto domenica scorsa dalle autorità, che hanno indicato l’epicentro nella zona di N’Zerékoré.
Il paziente zero. “I casi sono sette, i morti fino a stamattina erano cinque, su tre dei quali è accertato il contagio da Ebola. Tra le vittime ci sono un uomo di 38 anni e una donna di 51. Le zone colpite sono Guecké, al Sud, il villaggio di Womey e la comunità urbana di N’Zerékoré – ci conferma al telefono Alexandre Koliè, direttore della Caritas diocesana di N’Zerékoré –. La donna che si era ammalata a Womey è morta”. Il paziente zero è un’infermiera di Gueckè, e il vettore di diffusione del virus sarebbe stata la sua cerimonia funebre, cui hanno partecipato centinaia di persone.
Nessun cordone sanitario. “In Africa i funerali sono sempre un rischio quando ci sono epidemie in corso – spiega Kolié – ed è molto difficile impedire il contatto tra le persone”. Al termine di una riunione con il Tavolo di gestione della crisi, presieduto dal ministero della Sanità, “abbiamo la conferma di altre 44 persone a rischio – prosegue Kolié –. È necessario metterle in stretta quarantena, ma per ora non possiamo farlo perché non è stata avviato nessun cordone sanitario che permetta di assistere chi deve restare in casa, e soprattutto che fornisca cibo e medicine”.
Molteplici emergenze. L’allarme Ebola va ad aggiungersi a tre emergenze sanitarie che affliggono da tempo la Guinea Conakry: il morbillo, la febbre gialla e da marzo scorso anche il Covid. Ma l’ebola virus disease è un incubo per chiunque. “Le persone sono terrorizzate dall’Ebola – spiega Adramet Barry, responsabile per la Guinea Conakry della Ong Servizio di pace Lvia, che fa parte della Focisv, da Labè –. Tutti hanno un famigliare o un conoscente morto per questo virus terribile. I sintomi sono letali: si va dal vomito alla febbre alta alle emorragie, e poi alla morte. Il contagio è velocissimo. Basta che ci si sfiori”. Il ricordo della lotta al virus del 2013 è troppo forte: “tutti lo temono e dicono che preferirebbero essere infettati dal Covid, che qui è praticamente asintomatico”.
Covid trascurato. Barry, che lavora a stretto contatto con la Comunità di Sant’Egidio, aggiunge: “siamo riusciti a tenere sotto controllo il Covid, nonostante l’allarme sia stato dato molto tardi in Guinea. A marzo 2020 c’erano le elezioni parlamentari e il referendum costituzionale, quindi la pandemia è stata trascurata dal governo. Oggi si contano una trentina di nuovi casi di coronavirus al giorno, su 2/300 tamponi effettuati”.
Progetti di sviluppo. Nel 2016 la sinergia tra i team di medici e infermieri locali, sostenuti dall’Organizzazione mondiale della sanità, era stata efficace nel debellare l’Ebola, tanto che molti di loro vennero impiegati in Congo per sconfiggere il virus nel nord Kivu. “Stavolta è stato immediatamente attivato il dispositivo sanitario anti-Ebola che era in stand by: a nostro vantaggio ora abbiamo l’esperienza”, dice il direttore di Lvia. La Ong porta avanti diversi progetti di cooperazione allo sviluppo: uno dei quali riguarda la registrazione delle nascite e il sostegno al sistema dell’anagrafe pubblica che in questo Paese della costa occidentale africana è stato creato solo di recente. “Lavoriamo anche a un progetto di imprenditoria locale per i giovani, finalizzato alla nascita di start up. Non ci siamo fermati con il Covid, speriamo di non doverlo fare ora per via dell’Ebola”, conclude Barry.
(*) redazione “Popoli e Missione”