“Sono molto contento che l’incontro tra papa Francesco e il grande ayatollah Al-Sistani, nella città di Najaf, possa avere luogo. Personalmente ho fatto tutto il possibile perché si potesse realizzare. Sarà l’abbraccio tra due uomini di pace”. Sono parole di gioia, speranza e soprattutto di grande attesa quelle che da Baghdad esprime al telefono padre Amir Jaje, domenicano, consigliere per il dialogo con l’islam nel Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso all’indomani della conferma da parte della Santa Sede dell’incontro a Najaf del Santo Padre con l’ayatollah Al-Sistani. Tra i fondatori del Consiglio iracheno per il dialogo interreligioso, padre Amir Jaje si è speso in questi mesi come mediatore tra il Vaticano e Najaf ed elenca oggi almeno due motivi che fanno dell’incontro di Najaf una tappa storica. “Al-Sistani ha giocato un ruolo molto importante durante la guerra civile in Iraq come pacificatore”, ricorda il domenicano, “quando ci furono le esplosioni dei due mausolei, chiese con forza di non cedere alla tentazione della vendetta. È stata quindi una voce di sicurezza per tutto l’Iraq. Papa Francesco arriva qui come messaggero di pace. E’ quindi importante che possa incontrare questo uomo anziano che ha giocato un ruolo decisivo per la pace in questo Paese”.
La seconda ragione?
Il loro incontro lancerà un messaggio di pace e dialogo a tutti i leader religiosi iracheni musulmani. Vedere che il loro capo religioso si incontra con papa Francesco incoraggia il clero ad incamminarsi più decisamente nel cammino della pace, a prendere le distanze da ogni discorso di odio e svolgere un ruolo di mediatori. È molto importante formare, in questo momento, leader religiosi che non incitano alla violenza.
L’incontro avverrà poi a Najaf. Cosa rappresenta per il mondo sciita questa città?
Najaf può essere considerata come il Vaticano degli sciiti nel mondo. Innanzitutto, perché a Najaf si trova il mausoleo dell’imam Alì che può essere considerato come il cuore pulsante dell’Islam sciita. È poi il luogo dove si forma il clero sciita, tutti gli ayatollah sono passati e devono passare per Najaf. Ma c’è anche una questione più politica da considerare e cioè la rivalità – forse sarebbe meglio chiamarla una guerra non dichiarata – tra la scuola di Al-Sistani e la scuola rappresentata all’imam Khomeini che propone una visione teocratica della gestione dello stato. Al-Sistani non è mai stato d’accordo con questa visione e, anzi, ha lavorato per una separazione dello Stato dall’ambito religioso. E quando nel 2019 i giovani scesero in piazza per chiedere riforme e cambiamenti significativi volti soprattutto a ridare la sovranità agli iracheni, Al-Sistani li sostenne. Venendo qui, Papa Francesco incoraggia gli iracheni a scegliere la vita e non il settarismo religioso.
Cosa si attendono oggi gli iracheni?
Gli iracheni vedono in Papa Francesco un messaggero di pace. E quindi aspettano che chieda ai responsabili politici e religiosi di scegliere l’Iraq per gli iracheni, di schierarsi contro il settarismo religioso, che ha in questi anni distrutto il Paese. I giovani soprattutto vogliono essere – prima ancora che musulmani, cristiani, yazidi – cittadini iracheni. In questo senso anche l’incontro interreligioso che si terrà sempre sabato 6 marzo nella piana di Ur, è importante. Il papa, arrivando nella città di Abramo, dirà agli iracheni di oggi: siete tutti fratelli, figli di un unico padre e quindi prima ancora di essere divisi dalle religioni, figli di questa terra e fratelli tra voi. Quello che ci aspettiamo da papa Francesco è un messaggio di fraternità.
Chi è Al-Sistani?
Come dicevo prima, Al-Sistani è un uomo di pace. Ha giocato un ruolo importante anche per i cristiani iracheni. Quando nel 2004 le chiese cristiane furono attaccate, subito ha fatto una dichiarazione per condannare con una Fatwa questi attacchi dicendo che è vietato versare il sangue dell’uomo. È pertanto un leader che incoraggia a vivere come iracheni, che non vuole mischiare la politica nella religione e si presenta non come capo politico ma come capo spirituale.
Sarà firmato anche a Najaf un Documento come quello di Abu Dhabi?
Personalmente auspicavo un Documento ma mi è stato detto che non c’è stato abbastanza tempo per redigere un testo comune che richiede molto lavoro prima di una firma finale. Ci sarà pertanto un incontro fraterno, breve, ma simbolicamente molto importante. Ma non ci sarà un testo. In effetti bisogna considerare che il Documento di Abu Dhabi è il risultato finale di un lungo lavoro. Ci sono voluti mesi, se non addirittura anni, di preparazione prima di arrivare alla redazione del testo e due incontri: uno del Grande Imam al Tayyeb direttamente in Vaticano ed un altro ad al-Azhar. Incontri che hanno poi portato alla firma finale del Documento. Quello allora che si svolgerà a Najaf, può essere considerato una prima tappa che speriamo, poterà un giorno alla firma del documento. Sarebbe un atto importante che dice al mondo che sunniti e sciiti hanno firmato lo stesso Documento.
Che impatto allora può la visita di papa Francesco per tutto il Medio Oriente?
Sono viaggi che ci ricordano la figura di San Francesco di Assisi, che è andato lui stesso verso i musulmani incontrando anche il sultano. Già allora il Santo di Assisi ha voluto mostrare al mondo del suo tempo, mondo accecato dall’odio e dalla violenza, che siamo fratelli prima ancora che musulmani o cristiani. La visita a Najaf e l’incontro interreligioso ad Ur alla presenza di tutti i capi religiosi del paese, musulmani, sunniti e sciiti, cristiani, yazidi ed ebrei, vogliono lanciare lo stesso messaggio di Francesco di Assisi e cioè che siamo tutti i figli di Abramo, fratelli tra noi, insieme su questa terra, per aiutare l’Iraq e i paesi vicini del Medio Oriente, a rialzarsi in piedi.