“Quella che stiamo vivendo qui, adesso, è un’ora di grazia! Non è una pia illusione, né fuga romantica in una religione rassicurante o in una consolazione a buon mercato. ‘Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un Figlio’: questa è la certezza dei cristiani. La notte, qualunque notte, non è l’ultima parola sulla storia nostra e dell’umanità. Se Colui che è Luce da Luce è nato di notte, allora anche la notte appartiene al giorno, anzi, la notte diviene natalizia, cioè diviene luogo di una nuova e possibile nascita”.
Così, in una Betlemme priva di pellegrini e blindata per la pandemia, ma lo stesso piena di luci e decorata a festa, il patriarca latino di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, ha ribadito la centralità del Natale nella vita di ogni cristiano. Quella celebrata a mezzanotte a Betlemme, è stata la sua prima messa natalizia da Patriarca. Presenti i consoli generali di Italia, Spagna, Belgio e Francia, le quattro nazioni di tradizione cattolica da sempre vicine alla Terra Santa. Non c’era, a causa delle restrizioni per il Covid-19, il presidente palestinese Abu Mazen, assenza prevista e annunciata dallo stesso patriarca al suo primo impegno pubblico dopo essere stato, anche lui, contagiato dal Coronavirus.
Nonostante le restrizioni, la vigilia di Natale è stata vissuta nel rispetto delle tradizioni: l’incontro, alle 11 in Patriarcato a Gerusalemme, con padre Amjad Sabbara, parroco della chiesa latina locale e poi in corteo fino a Betlemme. Un percorso segnato da alcune tappe, la prima al convento greco-ortodosso di Mar Elias, per un incontro con una rappresentanza ridotta della parrocchia di Beit Jala. La seconda sosta alla Tomba di Rachele dove Pizzaballa ha incontrato il parroco della chiesa latina di Betlemme, padre Rami Asakrieh, e il sindaco di Beit Sahour. Quindi l’ingresso a Betlemme con la tradizionale accoglienza del sindaco Anton Salman e degli scout al suono delle cornamuse. Davanti alla Basilica della Natività, il patriarca è stato accolto dai rappresentanti delle comunità cristiane che vi risiedono, secondo le regole dello Status Quo: la fraternità francescana, la comunità greco-ortodossa e quella armena. Ma le vere e proprie celebrazioni natalizie hanno preso il via, nella chiesa di Santa Caterina, con la recita dei Primi Vespri, cui ha fatto seguito la processione quotidiana del pomeriggio alla vicina Grotta della Natività. Poi il silenzio fino alla messa di mezzanotte presieduta dallo stesso Pizzaballa.
Nell’omelia il patriarca non ha voluto “accordare la (sua) voce a quella di quanti sanno ben descrivere la notte”.
“Io devo, voglio, dare voce alla profezia, farmi eco del Vangelo, comunicarvi la grazia di quest’ora”.
Il patriarca non ha nascosto la difficoltà del momento presente: “Ci sentiamo tutti ottenebrati, stanchi, sfiniti, oppressi da troppo tempo sotto il giogo pesante di questa pandemia che sta bloccando le nostre vite, sta paralizzando i rapporti, sta mettendo a dura prova la politica, l’economia, la cultura, la società. Antiche debolezze strutturali si sono amplificate e non sembrano profilarsi all’orizzonte soluzioni chiare e condivise. Anche chi ci governa brancola nel buio”. Ma “noi cristiani sappiamo che al fondo delle nostre crisi, dentro le nostre oscurità, in mezzo alle nostre debolezze è nato un bambino che è un Dio potente e con lui è cominciata una nuova storia di fiducia e di speranza, di rinascita e di risurrezione”.
La pandemia, ha aggiunto, “ci chiede di immaginare un mondo diverso, fatto di nuovi rapporti solidali e fraterni, dove il possesso sia sostituito dal dono e la ricchezza di pochi divenga bene per tutti. Ci siamo accorti, in questa tragedia, che siamo tutti connessi, e che siamo responsabili gli uni degli altri: La Chiesa, Corpo di Cristo, lo ha sempre saputo: il Salvatore che oggi è nato faccia rinascere anche noi alla consapevolezza che siamo tutti figli e perciò tutti fratelli, come ci ricorda il santo Padre e che per questo l’amore è l’unica vera via di salvezza”. Dal patriarca latino di Gerusalemme è giunto anche il ricordo dei drammi della Terra Santa:
“qui viviamo in una terra che ha come vocazione propria la pluralità e l’apertura al mondo, ma assistiamo continuamente ad atteggiamenti opposti. Anziché essere inclusivi siamo sempre più esclusivi: anziché riconoscerci l’un l’altro, ci neghiamo l’un l’altro”.
Il pensiero di Pizzaballa è rivolto “ai nostri fedeli che vivono in Palestina: come per Maria e Giuseppe, anche per loro sembra non esserci posto nel mondo, continuamente invitati, prima di poter vivere con dignità a casa loro, ad attendere un futuro sconosciuto e continuamente rimandato”. Rimane la certezza che “con il Natale di Cristo Dio stesso è entrato nel mondo orientandone il cammino verso un futuro di gioia e di pace. Nel mezzo delle nostre paure, noi vogliamo afferrare la mano che Cristo ci offre per un rinnovato cammino di fiducia, di speranza e di amore”.
Mentre il patriarca Pizzaballa presiedeva la messa di Mezzanotte a Santa Caterina, nella Grotta della Natività celebrava il Custode di Terra Santa, padre Francesco Patton. La tradizione vuole, infatti, che dalla mezzanotte e fino alle quattro di oggi pomeriggio si celebrino messe ogni 40 minuti sul luogo della nascita di Cristo. Da Betlemme, infine, giunge oggi la notizia della prima nascita: nell’Ospedale della Sacra Famiglia, gestito dall’Ordine di Malta, alle ore 2:05, è nato il piccolo Gayth, subito affidato alle braccia della mamma Linda, un regalo di Natale atteso dall’inizio della pandemia.