(da New York) Dopo 41 giorni di aspre e costosissime battaglie legali sulla legittimità del voto, sui conteggi, sulle leggi elettorali degli stati, Joe Biden è stato confermato dai grandi elettori 46° presidente degli Stati Uniti. La più accesa competizione elettorale della storia democratica americana fatta di accuse al vetriolo, tweet avvelenati, inauditi assalti al sistema elettorale e alla costituzione, con il beneplacito e l’aperto supporto del presidente Trump si è chiusa e si apre per la Casa Bianca, per il Paese e anche per il partito repubblicano una stagione nuova, ma non certamente semplice. “Biden e tutti noi ereditiamo una nazione estremamente frammentata e divisa con tante sfide in termini di razza, classi sociali, gender, relazioni internazionali. Ereditiamo un paese alle prese con le conseguenze umane ed economiche del Covid ed entrambe perdureranno oltre il vaccino, oltre qualunque piano di aiuti”. William A. Calvo-Quirós, sociologo e professore associato di Cultura americana e studi etnici all’Università del Michigan non ha dubbi sul perdurare di una crisi a più livelli che gli Usa non possono scampare.
Cosa non può non avere l’agenda di Joe Biden?
Il nuovo presidente sarà alle prese con una crisi nel mondo del lavoro che vede quattro donne rimaste a casa per ogni uomo che ha perso il suo impiego: un impatto devastante che continuerà anche dopo la somministrazione del vaccino. Biden dovrà poi ridefinire la nozione di self e di ego e il nostro concetto di nazione come collettivo. In questi ultimi 4 anni abbiamo assistito ad una disfunzione tra self e ego. Quando l’ego prevale allora ci troviamo di fronte a qualcuno che pretende di essere rieletto, dove il concetto di mascolinità è prevalente a discapito del collettivo e, quindi, se il tuo ego non vede che se perdi lo stai facendo per il bene della nazione ci troviamo di fronte ad un grande problema. Questa connotazione del self collettivo è la grandissima sfida degli Usa e del mondo anche nel definire le politiche pubbliche. Se il prendersi cura dell’altro è centrale, allora definisco in questa direzione anche i piani per la salute. Se il mio ego è al centro, io non voglio pagare per altri in difficoltà come poveri o disabili che considero approfittatori del sistema.
C’è una crisi in atto nella democrazia americana?
La paura di fondo è che il sistema stia crollando e che, dopo questa controversa battaglia elettorale, la democrazia, il Congresso , l’Esecutivo, la Corte suprema siano più deboli e che ci troviamo di fronte ad un problema di governabilità serio. Come coinvolgere nel processo di governo della nazione chi non ha votato per questo presidente ad esempio? In sociologia la crisi di un sistema avviene quando quel sistema non può più riprodurre se stesso e nel caso delle istituzioni, parliamo di crisi quando non funzionano più per le persone per cui stanno lavorando. La nostra democrazia è in crisi, e per me è una cosa positiva, perché ci accorgiamo che il 51% che ha vinto governa su un 49% che ha perso e non è contento e non si sente rappresentato nei suoi interessi. Quindi significa che la democrazia così come è necessita un ripensamento. E’ vero che è il migliore sistema sperimentato ad oggi, però magari ci può essere un altro tipo di sistema in grado di governare e rappresentare le differenze e cioè il 51% e il 49% in maniera soddisfacente e come mai abbiamo pensato prima.
Quindi la democrazia, nonostante Biden abbia annunciato un forum a riguardo non è più il miglior mondo possibile?
Il punto è che le istituzioni devono imparare a trattare con le differenze. Se la differenza tra maggioranza e minoranza è grande, il gruppo minoritario scompare o viene inglobato. Ed è l’esperienza delle nostre democrazie. Quando le differenze invece sono infinitesime, ci troviamo a lavorare in una sorta di ambiguità. Gli elettori di Trump non spariranno e gli elettori di Biden non sono una maggioranza schiacciante, quindi questo 1% di differenza deve maggiormente ingaggiarci nel dialogo e attraversare la linea di separazione tra gruppi: un terreno inesplorato, difficile, vulnerabile, ma non c’è altro modo per vivere la polarizzazione e questo è un fenomeno globale non solo degli Usa. Non mi preoccuperei del collasso delle strutture se queste non lavorano più per bisogni delle persone, ma mi preoccuperei di educare le persone a vivere in questa ambiguità inesplorata e ad ideare qualcosa di nuovo.
A quale America parla Biden e il resto del mondo?
Tutti i dati e i sondaggi che abbiano usato per raccontare il Paese si sono rivelati sbagliati. Abbiamo creduto che a causa della pandemia l’orientamento di voto sarebbe stato diverso e invece abbiamo visto che, ad esempio gli stati più colpiti dai contagi e dai morti, hanno continuato a sostenere il presidente nonostante alcune delle sue scelte in campo sanitario si siano rivelate discutibili. Tutti i parametri usati finora ci dicono che ci stiamo perdendo la vera fotografia dell’America. Le razze, lo stato sociale, parametri fondamentali sono diventati marginali e concetti come quello della mascolinità che consideravamo marginali sono diventati centrali. Il politico che si presenta come superman, eroe, messia raccoglie, incanala esprime emozioni che servono in tempi di crisi. Non vorrei mai un presidente così in tempi normali e invece la realtà ci racconta altro, come ci racconta la non omogeneità di voto negli ispanici, nei cattolici, nei bianchi, nella costa e nel Midwest. Questa è l’America che Biden e noi stiamo ereditando e serve un altro linguaggio di comunicazione. Ad esempio: se indossare la mascherina è percepito come protezione di me stesso, siccome la persona è sovrana sul suo corpo lotta per definire la sua autorità e libertà di decisione, e si rifiuta di indossarla. Quando l’abbiamo presentata come protezione dell’altro, allora per questo gesto di cura sono disposto a perdere anche un po’ della mia libertà. E qui ritorna il concetto di self:
mi prendo cura di me stesso in relazione alla comunità, contro un ego che ignora invece tutti gli altri.
Bisogna saper parlare a questa America.