“Ci sono tante Americhe sotto la stessa bandiera”. Emiliano Bos non poteva trovare immagine più chiara e immediata per raccontare gli Stati Uniti che fra pochi giorni sceglieranno l’inquilino della Casa Bianca tra i due contendenti, il repubblicano, e presidente uscente, Donald Trump, e il democratico Joe Biden, vicepresidente per otto anni con l’amministrazione Obama.
47 anni, sposato, due figli, Bos dal 2015 è corrispondente da Washington per la Radiotelevisione svizzera (Rsi). Prima del servizio internazionale con Caritas ambrosiana e italiana, compie i primi passi in radio e giornali locali, per poi realizzare reportage da una quarantina di Paesi, con un occhio speciale su Balcani, Africa e Medio Oriente. Nel libro “In fuga dalla mia terra” ha condensato anni di esperienza professionale sul tema delle migrazioni, del quale è esperto riconosciuto.
Attraverso i social è stato possibile seguire il suo particolare tour elettorale in camper, da un capo all’altro degli States. Perché questa scelta?
Io vivo e lavoro a Washington, una “bolla politica” in un Paese di 320 milioni di abitanti. Avvertivo l’esigenza di girare gli Usa, di parlare con la gente comune, di attraversare da sud a nord, dall’Arizona al Wisconsin, una nazione che ha mille volti. Assieme al collega della Radio Svizzera di lingua francese abbiamo quindi affittato un mezzo che ci ha consentito di realizzare un racconto on the road, con tappe e incontri in parte programmati, ma anche con tante e inaspettate sorprese. Abbiamo toccato con mano, ad esempio, le differenze tra gli Stati a prevalenza rurale e quelli industriali; abbiamo incontrato persone di varia provenienza e lingua, con storie differenti, estremamente interessanti per comprende l’anima del Paese.
Siete passati da Nogales, contea di Santa Cruz al confine col Messico, al lago Michigan, a due passi dal Canada, attraversando il Midwest; da grandi realtà urbane a piccoli villaggi di allevatori. Quale America avete incontrato?
Direi che abbiamo conosciuto da vicino più di un’America. Nel senso che, a secondo dei luoghi, si vive in modi ben diversi, con mentalità differenti forgiate anche da narrazioni molto differenti tra loro. Un contro è vivere o lavorare in un grattacielo a Chicago, un altro è stare in un ranch in Texas. Inoltre va considerato che le persone in genere non leggono il New York Times: accedono magari alla Cnn o alla Fox, che a loro volta raccontano due realtà quotidiane persino contrapposte. E poi c’è la miriade di testate e tv locali, nonché il peso dei social, dove – lo sappiamo – dilaga anche la disinformazione.
Così c’è chi vede una realtà e chi ne vede un’altra.
Basti pensare al Covid: nonostante 8 milioni di contagi e 220mila morti, c’è chi usa la mascherina e segue norme precauzionali e chi nega tutto. In un paesino del Missouri siamo entrati in un fast food per fare colazione – uno di quei posti dove si mangiano uova strapazzate, pancake e dove ti rabboccano sempre la tazza con il loro caffè allungato – e nessuno degli anziani presenti indossava la mascherina.
Qualche altra curiosità?
Beh, il muro che avrebbe dovuto fermare l’immigrazione messicana… In gran parte non è stato realizzato, sicuramente il Messico non lo ha pagato, come invece aveva promesso Trump, e in qualche caso, come appunto nel sud dell’Arizona, il muro grava sui primi americani, i nativi – i Tohono O’odham, la “gente del deserto” –, issato su un cimitero per loro sacro, e dividendo la comunità in due, di qua e di là del recinto.
Ad Harrison, in Arkansas, abbiamo compreso perché la cittadina è considerata la più razzista degli Usa:
in vetrina è esposta la bandiera (e il bikini) confederata, il vessillo più controverso d’America, usato da suprematisti bianchi. Il Ku Klux Klan lì aleggia… A Miami, una piccola cittadina del Texas, non la metropoli della Florida, abbiamo incontrato il giudice-gommista: lì alle scorse elezioni Trump ha riscosso il 94% dei voti. “Da noi si vota repubblicano”, ci hanno spiegato, “non importa chi sia il candidato”. In altri casi invece la maggioranza degli elettori è convintamente pro-Biden: accade soprattutto nelle grandi città come New York o come nello stato della California. Invece lungo la famosa Route 66 ci siamo fermati in un localino tenuto da Mike, in realtà Miguel, originario messicano, convintamente repubblicano, che effettua ogni giorno il suo sondaggio elettorale casereccio, con due contenitori per le mance: uno per Biden, l’altro per Trump. Quest’ultimo sempre più pieno…
Fare previsioni sul voto del 3 novembre è impossibile, ovviamente. Ma il Paese, stando anche al suo racconto, appare polarizzato. Si vota in una fase difficile, tra crisi sanitaria, frenata dell’economia, razzismo montante.
Sì, la situazione è davvero complessa. La stessa campagna elettorale è stata in qualche modo segnata dal coronavirus: meno comizi e più peso ai dibattiti tv. Dove in particolare nel primo confronto Tv si sono visti due candidati incapaci di dialogare tra loro. E poi c’è il Covid: Trump, di fronte a una pandemia tragica, ha voluto far credere che il virus fosse sotto controllo. “Vedete, anche io ne sono uscito”, ha lasciato intendere. Biden, che viene dall’establishment, ha puntato a trasformare le elezioni in una sorta di referendum contro il presidente uscente, sottolineando le colpe di Trump, incapace, a suo dire, di agire con efficacia per fermare i contagi. Aggiungerei che Biden ha insistito nel trasmettere l’idea che, se eletto, sarà il presidente di tutti; ogni uscita di Trump appare, per converso, divisiva. Tanti suoi tweet ne sono una chiara dimostrazione.
A complicare le cose c’è il sistema elettorale americano, non è vero?
Diciamo che è un sistema molto lontano da quelli europei. Occorre fra l’altro tener presente che quasi 60 milioni di elettori hanno già votato, per posta. Quel voto postale delegittimato da Trump, parlando in varie occasioni di brogli. È già in corso una battaglia legale su questo fronte, con oltre 300 ricorsi: dunque è possibile che la faccenda finisca alla Corte suprema, che attualmente ha un orientamento conservatore.
Ma l’opinione pubblica come si orienta? I sondaggi quali indicazioni danno?
Nei sondaggi permane un vantaggio piuttosto solido per Biden. Però il dato nazionale non dice molto. Ciò che conta è vedere come voteranno – per la scelta dei “grandi elettori”, che sceglieranno il nuovo presidente – gli Stati considerati incerti, come Florida, Pennsylvania, North Carolina, Arizona, Ohio, Michigan e altri ancora. C’è poi un problema particolare da considerare.
Quale?
Si tratta dell’accesso al voto. Ci sono dinamiche, evidenti, che dimostrano come il diritto costituzionale al voto non venga garantito appieno in tutti gli Stati, soprattutto ad alcune categorie di cittadini. I casi sono ormai innumerevoli, anche molto concreti. E, infine, non trascuriamo un ulteriore elemento essenziale: per le elezioni presidenziali statunitensi si muovono lobby potentissime e gli investimenti per la campagna e la pubblicità sono giganteschi. Qui vince chi ha più soldi.