Un dibattito moderato, con un copione già visto in termini di accuse e di programmi elettorali, con un Trump meno irruente e un Biden, talvolta infiammato. Nessuno ha tirato fuori i pugni durante l’ultimo dibattito presidenziale a 12 giorni delle elezioni di novembre, evidenziando un contrasto netto con il primo incontro, caotico e zeppo di insulti. Forse hanno messo un freno anche le nuove regole sullo svolgimento che prevedevano microfoni disattivati per il candidato in silenzio.
La moderatrice, Kristen Welker di NBC News, ha tenuto sotto controllo sia il presidente repubblicano che il candidato democratico mentre li incalzava sulla crisi sanitaria ed economia provocata dal coronavirus, sulle interferenze straniere nelle elezioni, nonché sulle finanze dei candidati, sulla riforma sanitaria, sulla giustizia razziale. Il presidente ha riciclato la narrativa del 2,2 milioni di morti senza il suo intervento tempestivo, ampiamente contestato da Biden che ha parlato di “inverno buio” per la nazione, riaffermando che più che imparare a convivere con la vita la gente sta imparando a convivere con la morte.
Altro grande tema il vaccino, su cui Trump è tornato con la certezza di dosi al più presto e quando la moderatrice ha incalzato sulla deadline, la risposta è stata “intorno alla fine dell’anno”.
L’ambito sanitario è stato al centro anche della riforma della cosiddetta Obamacare, una norma che Trump desidera abolire per adottare misure che garantiscono chi fa richiesta di assicurazione con una patologia già conclamata. Il candidato democratico presenta invece una controproposta: la Bidencare dove si prevedono anche opzioni pubbliche nel sistema di protezione sanitaria.
Trump si è attenuto alle istruzioni dei suoi consiglieri puntando i riflettori su Biden, dai soldi guadagnati all’estero, al coinvolgimento del figlio in un presunto affare non trasparente in Ucraina, rimpolpato da un articolo non verificato del New York Post, i cui contenuti sono stati considerati disinformazione russa da parte di oltre 50 ex agenti dei servizi segreti. Biden è stato abile nell’aprire per primo la questione e poi nello spostare l’attenzione dalla sua famiglia, alla famiglia degli americani e alle loro sofferenze legate anche alla crisi del lavoro, ad un salario minimo che tocca i 6 o 7 dollari, mentre il candidato democratico vorrebbe innalzarlo a 15 senza intaccare le finanze statali.
Sull’ambito finanziario ha tenuto banco il conto bancario di Trump in Cina, prova di affari ancora aperti con Pechino in forma privata, mentre pubblicamente la guerra commerciale e diplomatica va in onda. Biden ha insistito sul rilascio della dichiarazione dei redditi immediatamente, ma il suo avversario ha tergiversato spostando la data di visione oltre il 3 novembre; mentre metteva in campo un altro cavallo di battaglia ormai senza mordente: l’essere un uomo d’affari contro uno dell’establishment.
Altro tema da copione, almeno nelle risposte di Trump è stato quello sull’immigrazione. Il presidente si è trovato impacciato sulla risposta dei bambini separati al confine, ma poi non ha resistito alla retorica sugli immigrati stupratori, violenti, criminali: un registro vincente nella campagna precedente, ma ora totalmente fuori luogo nella crisi che investe il paese. Il tema sulla giustizia razziale ha visto le scuse di Biden e la sua ammissione di errori per una legge del 1994 che accresciuto gli arresti di afroamericani; dall’altra parte Trump si è definito il miglior presidente dopo Lincoln per quanto ha fatto per la comunità afroamericana, aggiungendo di essere “la persona meno razzista in sala”.
A conclusione il dibattito non dichiara vincitori o sconfitti, perché a ridosso delle elezioni e perché oltre 47 milioni di persone hanno già votato e deciso. Ieri sera si è parlato agli indecisi e si è assistito ad un dibattito con meno rancore e offese del primo, mentre andava in onda la realtà contro lo show.