Il telefono di padre Georges Breidy squilla continuamente. Le chiamate arrivano soprattutto dal Libano e da altri Paesi mediorientali. Chiamate che hanno una ragione: il sacerdote libanese di rito maronita, mercoledì scorso, è stato chiamato da Papa Francesco al suo fianco, al termine dell’udienza generale, per pregare insieme per il Paese dei cedri, fortemente colpito da una crisi politica, sociale, economica e, ultimo fatto, le due esplosioni, il 4 agosto scorso, nel porto di Beirut. Da quattro anni, il sacerdote vive in Italia, a Roma, studia Teologia spirituale alla Pontificia Università Gregoriana ed è direttore di Radio Mariam per i Paesi del Medio Oriente. Racconta così al Sir la sua esperienza: “Ho saputo che mercoledì si sarebbe tenuta la prima udienza del Papa alla presenza dei fedeli dopo l’inizio della pandemia. Tenevo a esserci e ho pensato di prendere con me la bandiera del Libano, perché dal momento delle esplosioni a Beirut il Papa ha ricordato spesso il nostro Paese. Quindi, ho pensato che magari, vedendo la bandiera libanese, il Papa avrebbe dato una benedizione al Libano anche da lontano. O un piccolo saluto. Non ho pensato ad altro. Quando, il Santo Padre è arrivato nel cortile non salutava nessuno per le misure anticontagio del Coronavirus. Ma quando ha visto la bandiera si è avvicinato da me, l’ha presa, l’ha baciata e questo ha avuto un grande significato. Me lo hanno detto anche tanti musulmani”.
Come si è ritrovato al fianco di Papa Francesco?
Durante l’udienza il Santo Padre ha chiesto a un vescovo di cercarmi. Mi ha trovato e mi ha detto che il Papa alla fine dell’udienza avrebbe pronunciato una parola sul Libano. Io non sapevo che aveva preparato un appello. E mi è stato riferito che il Papa desiderava che mi avvicinassi a lui con la bandiera. Prima di andare, i miei sentimenti erano contrastanti: gioia, paura, responsabilità, gratitudine. Poi, quando mi hanno detto di avvicinarmi, mi sono messo in ginocchio davanti a Papa Francesco, che mi ha chiesto di alzarmi, ma ho risposto che davanti a questa sua generosità grande e autentica non avrei potuto che inginocchiarmi davanti a lui. Dopo, è stato il momento delle sue parole e della preghiera con i fedeli presenti in silezio. Alla fine, ho detto al Papa che non si può più vivere in Libano e lui mi ha chiesto se avessi voluto dire una parola di ringraziamento. L’ho fatto in maniera spontanea, di cuore. Siccome il Santo Padre ha invitato i fedeli di tutto il mondo a non dimenticare il Libano, ho sentito il bisogno di ribadire il problema dell’emigrazione dei cristiani, di un grande numero di persone che ha presentato i documenti per andare via, più di 350mila.
Quali sono le conseguenze di queste migrazioni per i cristiani?
Oggi nel Libano i cristiani sono il 30 percento della popolazione. I maroniti sono tra il 20 e il 25 percento. Siamo diventati una minoranza. Però, nel mondo intero c’è un grande numero di maroniti, in America Latina, Australia, Canada. Queste grandi emigrazioni sono causate dal susseguirsi delle guerre nel Paese. Ce n’è una ogni quindici anni. Non possiamo vivere in queste condizioni. Non c’è più un senso alla vita lì. Siamo un popolo accogliente, ma anche la crisi migratoria dei siriani in Libano non ci ha aiutato.
Oggi, non ci sono piùle condizioni per poter vivere nel Paese per le famiglie, per i giovani. Con la crisi economica, cominciata lo scorso anni, le persone non possono più trovare un futuro dentro il Libano. Non si può più vivere con dignità, a causa della corruzione diffusa uffici.
Qual è la condizione di coesistenza tra i cristiani e i musulmani?
Si vive insieme con grande difficoltà. Tanti musulmani sono aperti al dialogo. Nel Libano sono 18 le confessioni religiose, 12 cristiane e le altre musulmane. Nel cuore di questo popolo, è insita la coesistenza. Ma i governanti, ad alto livello, conservano un progetto di cambiamento della figura del nostro Paese. Perché è l’unico non musulmano nella regione araba. Questa è la sfida. Per fortuna, tante organizzazioni lavorano sul modo di vivere in pace insieme, di rispettare la presenza dell’altro. A questo ha richiamato anche pochi giorni fa il patriarca Rai: credere che si può vivere ‘io e tu, non io o tu’.
Quanto sarà imporante questa Giornata di digiuno e di preghiera di oggi?
Con la nostra fede e la nostra devozione, la preghiera può fare miracoli. E noi abbiamo bisogno di grandi miracoli in Libano per uscire da questa grande crisi. Sarà un momento per far crescere anche l’umanità, per essere davvero fratelli e pensare all’altro e ai suoi bisogni.
Abbiamo chiesto anche a chi non è cristiano di essere con noi con il cuore in questa giornata: è un invito rivolto a tutti quelli che vogliono vivere ancora in questo Paese in pace, con dignità.
Quali benefici potrebbe portare al Libano una visita di Papa Francesco?
Io ho chiesto al Santo Padre la sua visita per benedire la nostra terra. Sarebbe di grande aiuto. Perché il primo aiuto di cui il popolo libanese ha bisogno è un sostegno morale e la fraternità degli altri popoli. Il Santo Padre è molto amato nel nostro Paese sin dalla sua elezione. Potrebbe essere anche un’occasione per dare un grande messaggio al mondo intero e al mondo arabo, cioè che nel Libano ci saranno sempre cristiani. Questa è una terra di grandi santi, come san Charbel, menzionata tante volte nell’Antico testamento. Con la sua visita il Papa direbbe ai libanesi ‘la Chiesa è con voi’ e agli altri ‘siamo qui, non ci scoraggiamo mai’.