Sono giorni difficili quelli che sta vivendo il Libano già vittima di una gravissima crisi economica e adesso alle prese con la pandemia del Covid-19. La tensione sociale è enorme ed è sfociata in numerose manifestazioni di piazza. Il tasso di povertà nella popolazione ha raggiunto livelli mai conosciuti nel Paese dei Cedri. Subito dopo i primi casi, il governo libanese ha assunto misure restrittive disponendo la chiusura completa di tutte le attività, pubbliche e private a eccezione di quelle essenziali, applicando il coprifuoco serale (dalle 19 alle 5 di mattina) e consentendo la circolazione dei mezzi solo a targhe alterne nei giorni feriali.
Il 4 maggio il Paese ha visto l’avvio della Fase 2, in 5 tappe fino all’8 giugno, che prevede un alleggerimento delle misure contro il Coronavirus. Tra queste la riapertura dei ristoranti, ma solo al 30% delle loro capacità ricettive, dei barbieri, ma con settimana corta fino al mercoledì. Parrucchieri e estetisti invece potranno lavorare dal giovedì al sabato. Dal 4 hanno riaperto anche i concessionari di auto e i negozi di abbigliamento. Si può passeggiare sui lungomare ma solo con mascherine e rispettando il distanziamento sociale. Per l’8 giugno è prevista la riapertura dell’aeroporto di Beirut.
Preoccupazione per i campi sfollati. “Il lavoro che stanno portando avanti il Ministero della Salute, con la Croce Rossa e altri organismi sta dando risultati contro il Coronavirus”, dice al Sir il presidente di Caritas Libano, padre Michel Abboud.
I numeri sembrano confermare un certo ottimismo: “I casi accertati in tutto il Paese sono, al 5 maggio, 750, mentre i decessi 25”. Ciò che preoccupa il sacerdote è “una eventuale diffusione del virus nei campi rifugiati siriani e palestinesi. Se accadesse sarebbe una tragedia”. Il Libano oggi è uno dei paesi dove vive il più alto numero di rifugiati al mondo se messo in rapporto con quello dei suoi abitanti. Diverse agenzie umanitarie e ong sono impegnate tra gli sfollati con campagne di sensibilizzazione sulle norme igienico-sanitarie sia digitali (via telefono e social) sia nei campi dove sono stati distribuiti anche kit igienico-sanitari e pacchi alimentari, come conferma l’ong italiana Avsi. Save the Children è al lavoro per sostenere economicamente più di 2.100 famiglie libanesi, siriane e palestinesi, per fornire pacchi alimentari, igienici, educativi e beni di prima necessità a oltre 32.000 famiglie e per garantire condizioni di vita migliori a 980 famiglie di rifugiati siriani.
Alla soglia della povertà. “Con il Coronavirus preoccupa tantissimo anche la crisi economica che ne sta seguendo e che va ad aggravare quella già da tempo in atto”, afferma padre Abboud. Il Paese – dopo mesi di proteste popolari per chiedere la rimozione della classe politica corrotta e riforme per risollevare l’economia – è molto provato e il 7 marzo scorso il Governo ha dichiarato il default.
Proteste anche violente hanno acceso diverse città del Libano; molte banche sono state attaccate e danneggiate in seguito al blocco di conti e trasferimenti di denaro. Lo scorso 1 maggio il Governo guidato dal Primo Ministro, Hassane Diab, ha inoltrato richiesta di aiuto al Fondo monetario internazionale (Fmi), dopo aver approvato un piano di risanamento che vale prestiti per 10 miliardi di dollari, che vanno ad aggiungersi agli 11 già decisi alla Conferenza dei Paesi donatori tenutasi a Parigi nel 2018. Piano che ha trovato l’appoggio anche della Chiesa libanese come affermato dal patriarca maronita, card. Bechara Raï, durante la messa di domenica scorsa, ad Harissa, per la festa di Nostra Signora del Libano. “Stanno crescendo i disoccupati,
le famiglie non hanno più nulla o quasi per vivere,
siamo ormai alla soglia di povertà” rimarca il presidente di Caritas Libano. La lira libanese locale si è deprezzata del 63% sul mercato informale, erodendo così il potere d’acquisto delle persone. “La svalutazione – conferma padre Abboud – non consente nemmeno a chi ancora lavora di poter comprare il necessario. Coloro che avevano due risparmi da parte li hanno già finiti per sfamare i propri congiunti”. Ma se c’è chi si attiene alle disposizioni del Governo c’è anche chi, soprattutto nelle zone più povere, contravviene alle regole e ai blocchi e cerca di continuare a lavorare.
Coordinare gli aiuti. “Come Caritas – spiega padre Abboud – stiamo seguendo circa 20mila famiglie, ma sarebbero molte di più quelle che hanno bisogno di aiuto materiale e medico. Lo sforzo di adesso è di portare loro il sostegno necessario”.
“Non è ammissibile vedere piangere i bambini perché hanno fame. Ci arrivano tantissime richieste di aiuto ogni giorno. Serve per questo un coordinamento di tutti gli aiuti per non disperdere risorse e tempo”.
“Con la chiesa maronita abbiamo costituito, già prima della pandemia, un “Comitato per la crisi” e stiamo organizzando gli aiuti su scala locale così da essere presenti sul territorio in maniera ancora più efficace. Il progetto sta prendendo forma e servono aiuti anche economici per dotarci di un fondo cui attingere per i bisogni. Per questo confidiamo molto nell’aiuto internazionale delle Chiese e delle Caritas sorelle”.