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Coronavirus: in Mozambico 39 casi e nessun decesso. I missionari, “massima allerta ma anche speranza”

Il numero dei decessi causati dal Covid-19 in Africa è salito a 1.197 nelle ultime ore, con oltre 23mila casi registrati in 52 Paesi. In Mozambico sono stati registrati finora 39 casi, 8 guariti e nessun decesso. Le cifre sono ancora basse ma le previsioni del governo sono allarmistiche. Parla don Maurizio Bolzon, missionario fidei donum a Beira

39 casi di Coronavirus, 8 guariti e nessun decesso. Al 22 aprile è questa la situazione in Mozambico, Paese africano tra i più poveri al mondo confinante con il Sudafrica, con 30 milioni di abitanti e tanti problemi sociali e politici. Il Mozambico è in stato di emergenza dal mese di aprile. Scuole e luoghi per il divertimento sono stati chiusi. Sono vietati tutti gli eventi ed assembramenti, è stata sospesa l’emissione di visti. Sono raccomandate tutte le precauzioni: lavarsi le mani, mantenere le distanze. In giro si vedono tante donne indossare mascherine colorate realizzate artigianalmente con la capulana, il tessuto colorato tradizionale usato per le gonne.  Fin dall’inizio dell’emergenza il governo del presidente Felipe Nyusi, al suo secondo mandato, ha rassicurato la popolazione sulla sua capacità di gestire la situazione, mettendo a disposizione 500 posti letto con assistenza respiratoria. In questi giorni un impresario cinese ha poi annunciato di voler donare altri 500 ventilatori e un migliaio di test. All’improvviso il governo ha invece assunto un atteggiamento diverso, prevedendo 20 milioni di contagi nei prossimi sei mesi, con la richiesta alla comunità internazionale di 465 milioni di euro per fronteggiare l’emergenza Covid-19. Nelle ultime ore una Ong mozambicana l’ha perciò accusato di diffondere uno “scenario allarmistico” per portare a casa più aiuti e finanziamenti internazionali da destinare ad altri scopi.  “Sono cifre enormi che nemmeno tutta l’Africa intera, attraverso l’Unione africana, avrebbe sognato di chiedere”, commenta al Sir don Maurizio Bolzon, fidei donum della diocesi di Vicenza, dalla sua quarantena a Beira. Il missionario è parroco, insieme a due confratelli veneti, in uno dei quartieri più poveri della città di Beira. Sono stati invitati tre anni fa dall’arcivescovo don Claudio Dalla Zuanna, dehoniano vicentino. Lo sguardo del missionario è preoccupato ma anche pieno di speranza.

Da sinistra: don Davide Vivian, don Giuseppe Mazzocco e don Maurizio Bolzon

A Beira c’è ancora tanta gente in strada e mezzi che circolano. L’invito ad evitare gli incontri è un comportamento incomprensibile per la cultura africana, abituata ad una socialità molto intensa. Tutte le abitazioni dei quartieri periferici sono baracche piccole e molto calde. La vita si svolge all’aperto. Il governo aveva chiesto, inutilmente, di far entrare solo 4 persone nei furgoncini a 12 posti, dove la gente si accalca fino ad arrivare a 20. C’è stata una sollevazione popolare. In compenso è stato decretato l’obbligo di mascherine sui mezzi pubblici. Il 30 aprile scade la fase 2 e bisognerà capire come si muoverà il governo. “La tv nazionale – anticipa il missionario – dice che bisognerà chiudere ulteriormente. Di fatto non si sa niente perché manca l’informazione libera. E’ difficile farsi un’idea”.

“Speranza ma senza abbassare la guardia”. “La lentezza di propagazione del virus non deve indurci ad abbassare la guardia – osserva il missionario. Certo, viviamo in una realtà molto diversa da quella che si è manifestata in Italia e in Europa”. Don Bolzon condivide, insieme alla Chiesa locale, l’analisi di Rino Scuccato, medico piacentino che vive in Mozambico. Secondo il medico è vero che i test sono pochi per capire la progressione del virus ma se ci fossero casi eclatanti di Covid-19 non si potrebbe non saperlo, perché non si può confondere con altre morti. “Il fatto che nelle nostre città non si alzino ancora grida – concorda il missionario – vuol dire che in queste terre sta succedendo qualcosa di diverso”.

“In una epoca nella quale si lanciano parole di catastrofismo forse bisogna lanciare qualche parola di speranza”.

I conflitti a Cabo Delgado e nel centro del Mozambico. In Mozambico ci sono inoltre un paio di situazioni conflittuali: a nord, a Capo Delgado, da due anni gruppi armati di origine incerta attaccano villaggi, chiese, moschee, uccidendo per rappresaglia i giovani che rifiutano di arruolarsi tra i ribelli. Circa 200.000 persone sono fuggite da un villaggio all’altro per mettersi in salvo dalla violenza. In più c’è la malaria, il colera e ora il rischio Covid-19.  Il vescovo di Pemba, monsignor  Luiz Lisboa, ha lanciato giorni fa una richiesta di aiuto: mancano cibo, abiti, vanno ricostruite le case distrutte dalla violenza dei gruppi armati. Nel centro del Paese, invece, il partito dell’opposizione non ha riconosciuto il leader attuale, una parte se ne è separata e non ha consegnato le armi. I ribelli continuano a sferrare attacchi armati sui mezzi pubblici, con morti nelle strade e persone in fuga.  

“Tutto ciò, in concomitanza con il Covid-19, fa sì che la situazione generale non sia delle migliori”.

Tutta la Chiesa in quarantena. La Chiesa cattolica del Mozambico, per precauzione, sta già osservando dal 21 marzo le dovute misure di cautela: sono state sospese tutte le celebrazioni, gli incontri, le confessioni, i pellegrinaggi, le catechesi, le corali, i funerali, le lezioni nelle scuole cattoliche di ogni ordine e grado. Tutti in quarantena nei seminari, nei conventi e nelle case di formazione. La Pasqua si è svolta a porte chiuse, le messe sono state trasmesse attraverso le radio cattoliche locali. Nessun missionario a Beira è voluto tornare nel rispettivo Paese di origine. Tutti hanno scelto di restare accanto alla popolazione. Ma sono preoccupati perché conoscono bene i rischi che si corrono, viste le scarse condizioni della sanità pubblica e la povertà generalizzata: “l’88% dei mozambicani vive alla giornata di lavoretti informali, senza nessun tipo di garanzia  e devono uscire di casa per comprare il cibo del giorno”.

Mancano le mascherine. Le mascherine protettive, ad esempio, mancano anche per il personale sanitario. La Comunità di Sant’Egidio, presente in Mozambico da tempo con il progetto Dream contro Hiv/Aids, si è attivata per produrle e distribuirle.

foto: Comunità Sant’Egidio

“L’Africa, comunque, sta reagendo in maniera diversa dall’Europa”, osserva don Bolzon. In effetti le cifre confermano che il numero dei decessi causati dal Covid-19 in Africa – al 22 aprile – è salito a 1.197 nelle ultime ore, con oltre 23 mila casi registrati in 52 Paesi. Al contrario l’Organizzazione mondiale della sanità insiste a dire che bisogna prepararsi al peggio. “Ma chi sa dove sia la verità? Dobbiamo prepararci al peggio o in Africa c’è qualche fattore per cui sarà meno tragica del previsto?”, si chiede. A suo avviso 

“ci sono ragioni di speranza: ho sempre creduto nel Dio dei poveri, che sta dalla loro parte”.

“Sono convinto – afferma – che Dio veglierà in maniera speciale per questa gente e questa terra, dove i ricorsi alla sanità pubblica sono più o meno preclusi. Dove l’uomo non può fare affidamento alla medicina alza gli occhi al cielo”.

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