“Bolsonaro? Non voglio parlare di lui. Ma la Chiesa oggi ha una preoccupazione fondamentale: l’attenzione alla salute e alla vita delle persone. La Chiesa è presente, sta con le persone, va incontro alla gente là dove vive, anche con mezzi nuovi”. Ad affermarlo è il card. Odilo Scherer, arcivescovo di San Paolo del Brasile e vicepresidente del Consiglio episcopale latinoamericano, in un’intervista rilasciata al Sir via Skype. Il colloquio punta l’attenzione a due “fronti” delicati.
Da una parte, la difficile situazione di San Paolo, la città brasiliana con più contagi e vittime per il coronavirus (secondo i dati di venerdì 27 marzo oltre mille contagi e 58 decessi). Con un’ulteriore “grande preoccupazione”, spiega il cardinale, quella per le persone più povere, che vivono in strada e nelle favelas.
Dall’altra, c’è la scelta, condivisa con gli altri vescovi del Brasile, di celebrare le messe senza fedeli, seguendo le indicazioni arrivate dal ministero della Salute. A “scompaginare” le carte sono arrivate le prese di posizione del presidente Jair Bolsonaro che, una volta smaltita la paura per non aver contratto il virus, come invece era accaduto a due suoi collaboratori, è andato in televisione, criticando la scelta dei vescovi e dicendo che il Covid-19 è “poco più di un raffreddore”. Inoltre, il decreto 10.292, emesso giovedì dal presidente della Repubblica, prevede che tra i servizi pubblici e le attività essenziali ci siano anche “attività religiose di qualsiasi natura”. Insomma, abbastanza per creare confusione, anche perché a “spingere” dietro a Bolsonaro ci sono potenti gruppi pentecostali. È stato il segretario generale della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile (Cnbb), dom Joel Portella, a ribadire, in una nota, che l’attività religiosa è inserita nell’elenco delle attività essenziali, ma “a condizione di rispettare le determinazioni del ministero della Salute”. Pertanto, “non c’è modo di interpretare gli strumenti legali per forzare la riapertura delle chiese, tanto meno alla presenza di qualsiasi tipo di assembramento”. Una presa di posizione condivisa dal card. Scherer.
Eminenza, ci descrive la situazione di questi giorni a San Paolo? E come l’arcidiocesi sta intervenendo?
Qui ci sono già molti ricoverati e deceduti, il clima generale è di preoccupazione. Le autorità hanno dato misure abbastanza severe, tutti sono chiusi in casa e la città, di solito zeppa di gente, è vuota. Come arcidiocesi, già da circa una settimana, abbiamo sospeso la celebrazione pubblica delle messe oltre a incontri e raduni. Si va avanti, l’impressione è che la crisi sanitaria sia solo all’inizio.
Risulta però difficile far restare in casa chi non ha un’abitazione o chi vive nelle baracche delle grandi favelas, come Cracolândia. Cosa si può fare per loro?
Questa è una grande preoccupazione, perché nella nostra città c’è tanta gente sulla strada, poveri, minori, senza dimora.
Come Chiesa stiamo cercando di mettere in atto tutte le iniziative possibili. Certo, è una situazione difficile, nelle favelas non ci sono vere e proprie abitazioni, esistono tante situazioni di rischio. Devo dire, tuttavia, anche in quei quartieri le persone sono preoccupate, è tutto sospeso e tutto chiuso. Difficile, però, in quelle zone, far passare regole categoriche.
Il presidente Bolsonaro ha criticato i vescovi, nel suo ultimo decreto ha parlato di quella religiosa come di “un’attività essenziale”. La Cnbb ha, però, confermato la scelta già fatta e il suo presidente, dom Walmor Olveira de Azevedo, ha accusato il capo dello Stato di “irresponsabilità”. Qual è la sua posizione?
Preferisco non parlare delle dichiarazioni del presidente. Siamo tutti d’accordo che la religione sia fondamentale, ma non è detto che la sua attività debba avere necessariamente una forma “presenziale”. Io vedo, per esempio, che le celebrazioni, in queste settimane, sono riprese da un gran numero di media, di social network. Io ho appena finito di celebrare la messa in diretta Facebook. Noi ci siamo, la Chiesa c’è, andiamo incontro alla gente dove sta, la fede è importante e la gente ne ha bisogno. In questo momento siamo chiamati anche a renderci conto che esistono mezzi nuovi, per essere vicini alla gente. Le polemiche ci sono sempre, ma noi siamo sereni, tra noi vescovi siamo tutti d’accordo sulla linea presa. Oggi è importante prenderci cura della gente, dei malati, essere vicini a tutti.
Questa è, appunto, la posizione dei vescovi cattolici. Ma in Brasile c’è, come sappiamo, un’ampia galassia di movimenti pentecostali, spesso informali, senza un’unica regia. Le parole di Bolsonaro possono avere un impatto su questo mondo? Che segnali avete?
Certo, non si può negare che ci siano posizioni diverse, portate avanti, in qualche caso, da realtà forti, consistenti, con risonanza sui mezzi di comunicazione sociale. Penso che di tutto questo ci sarà un prezzo da pagare. Da parte nostra, confermo che
la nostra preoccupazione è per la salute e per la gente. Tutto il resto viene dopo.
L’economia, lo stesso mantenimento delle nostre strutture ecclesiali. Ma in questo momento non ci pensiamo. Oggi contano vita e salute.
Com’è nella grande area metropolitana la situazione dei servizi sanitari? Ci sono anche delle strutture legate alla Chiesa che stanno operando nell’emergenza?
Ci sono, certamente, strutture legate alla Chiesa, ma in questo momento si stanno occupando dei malati di Covid-19 le strutture pubbliche, che stanno rispondendo in modo soddisfacente. Ci potrebbe essere la necessità di fare un lavoro molto grande per offrire posti letto e respiratori. È una nostra preoccupazione, ma al momento gli ospedali non sono in emergenza.
Che messaggio vuole dare in vista della Settimana Santa e della Pasqua?
Certamente, sarà una Settimana Santa diversa da tutte quelle che ho vissuto e celebrato. Un esempio per tutti noi è Papa Francesco, le preghiere e i gesti che sta facendo, per esempio nella piazza San Pietro vuota. Ho dato indicazioni ai parroci per la celebrazione dei vari riti. Le chiese saranno vuote, ma la liturgia ci sarà, la Pasqua si vive, pur nelle limitazioni. Si tratta di un nuovo momento di evangelizzazione, la Chiesa è tale anche se non è radunata nell’assemblea, è corpo del Signore anche se dispersa. Stare nella propria abitazione ci consente di riscoprire la casa, la famiglia, come piccola chiesa. È per tutti noi il momento di apprendere cose nuove. Mi lasci aggiungere che la nostra solidarietà e la nostra preghiera va, in questo momento, all’Italia. Prego perché il Signore fermi questa prova che si è abbattuta su di noi.