Ogni giorno in Messico almeno dieci donne vengono uccise, anche se i femminicidi “riconosciuti” sono circa tre. Comunque tantissimi. A questi si aggiungono i diffusissimi fenomeni della violenza, dello sfruttamento lavorativo e sessuale, della tratta, della discriminazione. Stavolta, le donne messicane hanno deciso di dire “basta”. E, dopo la sfilata nella loro festa, domenica 8 marzo, il giorno successivo, lunedì 9, sciopereranno. Faranno vedere cosa sarebbe il Paese senza di loro e, appoggiate da larghissimi settori della società civile, compresa la Chiesa, andranno in piazza. #UnDíaSinNosotras, “Un giorno senza di noi”, è appunto lo slogan che accompagnerà la giornata.
È scattata la scintilla. “Non è certo la prima volta che le donne messicane vanno in piazza per l’8 marzo – dice Diana Ibarra Soto, docente in Filosofia all’Università Panamericana, fino al 2018 consigliere dell’Istituto nazionale delle donne -. Ma è la prima volta che si riesce a realizzare uno sciopero generale delle donne. C’era stato un tentativo qualche anno fa, senza esito. E mai si era registrato un concorso così forte della società civile, di associazioni, imprenditori, mondo accademico”.
A far scattare la “scintilla” sono stati tre casi, tra i tanti che si verificano ogni giorno, che hanno avuto una vasta eco e suscitato un’ondata di indignazione, anche perché accaduti nella capitale, Città del Messico: in novembre Abril Pérez è stata assassinata dal marito, che era stato lasciato libero dal giudice, nonostante i precedenti; poi, nelle ultime settimane, l’efferato femminicidio della giovane Ingrid Escamilla e il rapimento e uccisione della piccola Fátima, di soli sette anni.
Il 2019 è stato l’anno peggiore. Ma questi episodi sono solo la punta di un vasto iceberg, indagato dal rapporto “Impunità femminicida. Radiografia dei dati ufficiali sulle violenze contro le donne (2017-2019)”, elaborato dalla rete Tdt (Todos los derechos para todos), che raggruppa numerosi organismi civili per i diritti umani di tutto il Paese. Il rapporto delinea un quadro multiforme e stratificato di violenze e conferma che “il 2019 è stato l’anno peggiore per quanto riguarda le violenze sulle donne”. Non vengono indagati solo i femminicidi (ufficialmente 884 nel 2028 e 726 nel 2019 fino a settembre) e i sequestri (404 nel 2018, 332 al settembre 2019), ma anche, per esempio, i delitti contro “la libertà e la sicurezza sessuale”, passati da 36.923 del 2017 a 42.927 nel 2028.
Ancora, ogni anno 11mila ragazze diventano madri per una gravidanza causata da una violenza sessuale e ogni giorno 34 bambine subiscono violenza sessuale.
La debolezza delle istituzioni. Numeri impressionanti, ma certamente sottostimati, anche per le difficoltà dei ricercatori a trovare dati certi, come denuncia la curatrice della ricerca, Olga Arnaiz Zhuravleva, che ha conseguito un master in Studi interdisciplinari di genere all’Università autonoma di Madrid: “I numeri che delineano un livello alto e complesso di violenza ce li aspettavamo. Siamo invece stati sorpresi dalla mancanza di risposte che abbiamo ricevuto, avendo contattato tutti i Tribunali del Paese. In qualche caso non abbiamo avuto risposte, o sono arrivate solo parzialmente. Mancano spesso alcuni dati fondamentali, come l’età, o se si tratta di indigene. Spesso alcuni crimini non sono classificati come femminicidi.
Per risolvere i problemi bisognerebbe partire da un quadro completo e realistico della situazione.
Se manca questo, mancano anche le conseguenti politiche pubbliche. Questa poca chiarezza non facilita la possibilità di denuncia, c’è tanta paura. Eppure, appare chiaro che il tema delle violenze verso le donne dovrebbe essere una priorità nell’agenda nazionale, lo sciopero del 9 marzo suscita aspettative e speranze”.
Così, non c’è da stupirsi se, come aggiunge Ibarra, “abbiamo i grandi problemi della corruzione e dell’impunità, che arriva al 90%. Ben venga, allora lo sciopero del 9 maggio, per far prendere coscienza alla politica e alla società di questa grande questione. Purtroppo, il presidente López Obrador, con le sue battute sprezzanti verso la manifestazione, dimostra di non aver capito la questione. E del resto il suo Governo ha tagliato risorse alle organizzazioni della società civile, agli asili, a chi gestisce i rifugi antiviolenza”.
L’appoggio della Chiesa. Anche se la strada da fare è ancora molta, tutto lascia pensare che #UnDíaSinNosotras “sarà un giorno storico”. Ed è appunto questo il parere di suor Carmen Ugarte García, oblata del Santissimo Redentore e coordinatrice per il Messico della rete mondiale contro la tratta “Talitha Kum”. “La situazione della violenza, dei femminicidi, è così grave e dolorosa che non possiamo non manifestare – dice la religiosa – nonostante le diversità tra coloro che parteciperanno alla giornata. Ma ci sono contenuti che ci uniscono. Sono molto contenta che anche la Conferenza episcopale messicana abbia dato il suo appoggio allo sciopero, spero che lo facciano tanti vescovi”.
Ancora lo scorso 25 febbraio, infatti, la presidenza dell’Episcopato messicano (Cem) ha scritto nel dare il suo appoggio allo sciopero: “Come Chiesa cattolica ribadiamo anche il nostro impegno e ci assumiamo la responsabilità nella costruzione di un Messico in pace, libero dalla violenza sui suoi diversi volti, in particolare quello che attacca e offende le donne”. Allo stesso tempo, “rivolgiamo un appello perché questo tipo di manifestazioni sociali non crei divisione, per motivi politici o per ideologie o espressioni religiose”. E alla Cem si sono aggiunti in queste settimane, singolarmente, numerosi vescovi.
Suor Carmen Ugarte è consapevole che c’è qualche inquietudine e perplessità per il fatto che allo sciopero prenderanno parte organizzazioni femministe pro aborto: “Tradizionalmente, in Messico,
la Chiesa non scende nell’agone politico, ma qui si tratta di condividere le sofferenze del popolo, non si può stare in silenzio di fronte a continue uccisioni, femminicidi, sparizioni, violenze, tratta e sfruttamento.
Chiaramente, i cattolici che scenderanno in piazza sono contro l’aborto e a manifestare ci saranno persone con diverse idee. Io sono per la vita, ma anche per non criminalizzare le donne. E qui si tratta di appello che viene rivolto a tutti, per dare un segnale importante, per costringere il Paese a chiedersi: che società vogliamo? Un primo passo, per continuare poi a lavorare ogni giorno”.