I numeri fanno impressione.
Ogni giorno, nei posti più poveri del mondo, soprattutto in Africa, muoiono 24.000 persone per fame, malattie, guerre. I tre quarti, cioè 18.000, sono bambini piccoli, fino a cinque anni. Sono nove milioni di persone all’anno. Ma questo non fa notizia, non scuote le pigre coscienze anche dei buoni cristiani che dormono sonni tranquilli illusi che basti qualche devozione per tenere addormentata la coscienza e vivere felici e contenti in terra e poi avere anche il biglietto per il Paradiso. Non è così, non sarà così. Lo dice Matteo (l’evangelista, naturalmente), al capitolo 25 del suo Vangelo. Perché il Vangelo non è una camomilla da somministrare per lasciarci correre dietro all’egoismo e al benessere: è la rivoluzione dell’anima.
Questo egoistico rifiuto dei poveri Papa Francesco lo chiama “la globalizzazione dell’indifferenza”.
Da tre mesi non si parla che del “coronavirus”, la polmonite cinese che mette in ginocchio le economie mondiali. In tre mesi, tre mila morti, mentre le cifre dei poveri, in tre mesi, sono due milioni e mezzo, mille volte tanto. Ma che scherziamo? Quelli sono gli scarti, non contano nulla, NOI, sì.
E allora su tutti gli schermi, sui social, nel chiacchiericcio della gente, parliamo solo di noi. Non c’è imbecille che non dica la sua, c’è l’assalto ai supermercati per fare provviste, sono a prezzi di borsa nera mascherine e amuchina. Vogliamo stare tranquilli noi.
Non sarà che il Padreterno, o la Provvidenza, o magari più semplicemente il caso con una sottile ironia vogliano finalmente obbligarci a pensare e a volere una “globalizzazione della solidarietà”?
Perché non si può essere felici da soli.
(*) direttore “La Vita Casalese” (Casale Monferrato)