Cile, l’acqua resta in mano ai privati e le proteste dilagano. Mons. Infanti della Mora: “La Chiesa promuova giustizia e pace”

La riforma che mirava a decretare l’acqua “bene pubblico” si è incagliata in Parlamento. Nonostante le buone intenzioni, al momento sembrano prevalere gli interessi di pochi, come denuncia mons. Luis Infanti della Mora, vescovo del vicariato apostolico di Aysén, nel sud del Paese, storica voce rispetto a questa battaglia e che dice: "Una riforma della Costituzione per cambiare le regole della gestione dell’acqua sarebbe un segnale davvero potente per facilitare profondi cambiamenti anche in altri ambiti della società"

Tutto o quasi dovrebbe cambiare in Cile. Ma poco o nulla sta cambiando. E, mentre il Paese, dopo 4 mesi di proteste, appare ancora paralizzato in vista di un’incerta fase costituente e attende con ansia la ripresa di marzo (che equivale al nostro settembre), già costellato di annunciati scioperi e manifestazioni, c’è una cartina tornasole. È il “Codice dell’acqua”, che da decenni ha messo la preziosa risorsa nelle mani dei privati. La riforma che mirava a decretare l’acqua “bene pubblico” si è incagliata in Parlamento. Nonostante le buone intenzioni, al momento sembrano prevalere gli interessi di pochi, come denuncia mons. Luis Infanti della Mora, vescovo del vicariato apostolico di Aysén, nel sud del Paese, storica voce rispetto a questa battaglia.

Mons. Infanti, le proteste di questi mesi rivelano che è necessario un cambiamento radicale del modello socio-economico del Paese. A suo avviso è strada intrapresa una buona strada?

A partire dalla metà dell’ottobre 2019 in Cile abbiamo vissuto questa protesta sociale, attraverso la quale è stato messo in discussione il modello sociale, politico ed economico che ha regnato per più di trent’anni. Esso trae la sua origine dalla dittatura di Pinochet, ma è stato avallato e anzi rafforzato dai successivi governi democratici. In questi mesi le manifestazioni di protesta si sono estese a tutto il Cile con molta partecipazione, nella maggior parte dei casi sono state pacifiche, perfino festose, ma senza leader predominanti. Certo, in questi mesi ci sono state anche espressioni di forte violenza, l’opinione prevalente è che si tratti di gruppi legati al narcotraffico e di anarchici. In questa protesta si è affermato un principio di sapore anarchico, all’insegna dello slogan ‘che se ne vadano tutti’, riferito a qualsiasi autorità: governo, imprenditori, politici, vescovi. Credo che il processo costituente che è stato intrapreso sia adeguato, ma va assolutamente esclusa la violenza distruttiva che, alla fine, danneggia soprattutto i più poveri.

Le manifestazioni continueranno?

Durante il periodo delle vacanze estive le proteste sono continuate, ma con molta meno intensità. Alla ripresa di marzo, si prevede che esse si riattivino con maggiore forza. Infatti, già sono stati previsti scioperi generali e manifestazioni l’8 marzo, da parte dei movimenti femminili, e il 29 e 30 marzo, da parte dei sindacati e dei movimenti sociali. Poi, il 26 aprile, ci sarà il plebiscito sull’opportunità o meno di una nuova Costituzione e su chi sarà chiamato a elaborarla.

Cosa sta frenando, a suo avviso, i tentativi di riforma?

Ci sono i tradizionali poteri che stanno frenando i cambiamenti più profondi. Il sistema neoliberale si è affermato e strutturato in tutti gli ambiti della società, di conseguenza i poteri economici, politici e giudiziari frenano qualsiasi tentativo di riforma profonda. D’altra parte, c’è la sfiducia del popolo verso la grande maggioranza dei leader politici, economici e sociali che dovrebbero promuovere il cambiamento e che, pur conoscendo da anni i problemi, non hanno trovato finora delle soluzioni ed è difficile nutrire la fiducia che lo facciano ora.

Bisogna essere coscienti che i cambiamenti devono concretizzarsi in leggi e strutture sociali.

Un esempio di quanto sto affermando è il problema dell’acqua. Già da anni si sono fatti seminari, incontri, dialoghi, manifestazioni, marce, proteste, documenti e manifesti, disegni di legge… Ma non è cambiato niente.

È in corso d’approvazione la legge sull’acqua? È davvero importante? E rappresenterebbe un segnale che le cose stanno davvero cambiando?

Nella Costituzione del 1980, risalente ancora a Pinochet, l’acqua è considerata oggetto di consumo e il godimento dei suoi diritti è consegnato perpetuamente alla proprietà privata. Si tratta di una legislazione unica al mondo, che ha favorito il fatto che i proprietari dell’82 per cento di acqua dolce in Cile siano imprese multinazionali, tra le quali l’italiana Enel. Ma l’acqua non è un elemento naturale qualsiasi, l’acqua è vita per ogni essere vivente e pertanto essere padrone dell’acqua equivale a detenere un grande potere, direi ancora maggiore di chi è padrone del petrolio. Oggi, inoltre, in molte zone del Cile c’è una grande siccità, al punto che dei 346 Comuni che ci sono in Cile, 134 sono stati dichiarati in emergenza idrica, 119 in emergenza agricola e due come zona di catastrofe per mancanza d’acqua (Valparaíso e Coquimbo). In una gran quantità di paesi la gente è rifornita d’acqua una volta alla settimana, con dei camion. E negli stessi luoghi una gran quantità d’acqua viene usata dalle imprese minerarie, forestali e agricole, proprietarie dell’acqua. In varie occasioni, e soprattutto in questi ultimi mesi, non sono mancati tentativi di riforma del Codice dell’acqua in Parlamento, ma non si è arrivati ad alcuna nuova decisione, poiché le pressioni dei grandi imprenditori, appoggiati dall’attuale Governo, d’impronta neoliberale, frenano ogni riforma. L’Esecutivo, lo scorso ottobre, ha creato una Commissione per l’Acqua, ma l’intento era cercare soluzioni alla siccità, senza toccare l’assetto istituzionale. Una riforma della Costituzione per cambiare le regole della gestione dell’acqua sarebbe un segnale davvero potente per facilitare profondi cambiamenti anche in altri ambiti della società.

Quali sono, dunque i suoi auspici su questa legge?

Già anni fa, con alcuni gruppi critici sulla situazione cilena, teorizzavamo che solo una mobilitazione popolare avrebbe potuto creare una pressione per arrivare a cambiamenti reali sul problema dell’acqua e su altre questioni sociali. Confidiamo che la violenza che si è manifestata in questi mesi non pregiudichi e non intorpidisca i necessari cambiamenti di cui il Cile ha bisogno.

In che modo la Chiesa le organizzazioni a essa legate possono aiutare a realizzare i necessari cambiamenti?

Possiamo rafforzare le motivazioni etico-spirituali legate a questi temi, invitare alla partecipazione tutte le persone di buona volontà, e specialmente i cristiani, per mettere pressione e per arrivare a decisioni che portino a cambiamenti profondi ed effettivi, sempre con atteggiamento di amore, solidarietà, fraternità, giustizia sociale e non violenza. Io stesso ho partecipato in questi anni a molte occasioni di espressione e pressione, perché credo che anche chi ha responsabilità e autorità nella Chiesa sia chiamato a essere promotore sociale di giustizia e pace.

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