Guerra in Siria. Al-Haj Saleh (scrittore): “Ho ancora speranza!”

A colloquio con Yassin al-Hai Saleh, intellettuale, scrittore e oppositore politico siriano. Il suo sguardo sul Paese, sul volto di tanti giovani animati da voglia di giustizia e di rinnovamento. "In Siria - rimarca - in tanti hanno commesso crimini, dal regime ai gruppi jihadisti, islamisti e anche i curdi. Chi ha sbagliato deve pagare il suo conto con la giustizia". Per l'intellettuale senza giustizia non può esserci dialogo e riconciliazione. Intanto la guerra continua e da Idlib giungono notizie di bombardamenti, scontri e numerosi morti tra i civili. Molti sono bambini. L’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria, Geir Pedersen, incontrerà in settimana i ministri degli Esteri e della Difesa della Federazione Russa, rispettivamente Sergej Lavrov e Sergej Shoigu. Da Mosca Pedersen si recherà poi a Damasco. Il prossimo 29 gennaio l’Inviato speciale informerà il Consiglio di sicurezza Onu dei risultati del viaggio

Aleppo, foto SIR/Marco Calvarese

“Dov’è Dio oggi in Siria? “Dopo tanti anni di guerra, oltre seicentomila morti, feriti, rapimenti, torture, milioni di rifugiati e sfollati, mezzo Paese sventrato è una domanda che mi pongo spesso anche io. Da non credente a volte penso che se Dio esistesse tutto questo non accadrebbe, almeno in Siria”.

Lo scrittore siriano Yassin al-Hai Saleh

Comincia così, con una risposta sofferta, la conversazione con Yassin al-Hai Saleh, intellettuale, scrittore e oppositore politico siriano che ha trascorso 16 anni in carcere, dal 1980 al 1996, per la sua militanza comunista invisa al regime. Parole dure queste di Yassin che denotano il forte legame con la sua terra ma che lasciano spiragli aperti alla speranza di un futuro migliore per la sua Patria.

Yassin è un esule, oggi vive a Berlino. In mano ha il libro “Diario di Samira Al-Khalil. Parole dall’Assedio” (edizioni MREditori), da poco presentato in Italia, che raccoglie gli scritti di sua moglie, Samira, dai quali emergono gli orrori della guerra siriana, a cominciare dall’assedio di al-Ghouta, colpita da armi chimiche. Anche lei, come il marito, detenuta dal 1987 al 1991 nelle carceri siriane. Una volta liberata ha fondato una casa editrice e si è impegnata per sostenere le famiglie dei detenuti e le donne di Duma, alla periferia di Damasco, dove ha aperto due centri di aiuto. Fino al 9 dicembre 2013 quando venne sequestrata dal Center for the Documentation of Violations di Duma, si sospetta, da Jaish Al-Islam, che all’epoca deteneva il controllo di quella zona. Quel Jaish Al-Islam che ora combatte al fianco della Turchia nel nord-est siriano, a maggioranza curda. Da quel giorno non si sa più nulla della donna e di altri tre attivisti che erano con lei.

“Vivo in lei, so che è viva poiché sono vivo io – dice lo scrittore –. Ciò che rimane o non rimane in vita dipende da quelli che sono ancora vivi”.

Yassin e Samira, marito e moglie, con le loro vite, raccontano lo scontro in atto nel Paese dove si combattono tra loro “terrorismo islamista, di Stato e internazionale”. “Sia io che mia moglie Samira siamo non credenti ma abbiamo sempre avuto un atteggiamento positivo verso chi crede”, afferma lo scrittore che conferma come questo diario “abbia anche un lato religioso e spirituale. E mi fa molto piacere che lo si noti. Mi sento spirituale più degli islamisti, non certo più dei musulmani”. “Penso ai salafiti – precisa l’intellettuale – perché non hanno una dimensione spirituale ma solo una serie di riti e regole rigide chiuse. Da non credente critico gli islamisti per questa loro mancanza di spiritualità. Un pensiero che condivido con mia moglie Samira di famiglia alauita. Il nostro atteggiamento verso i credenti si riflette positivamente verso il prossimo e la gente”.

Se non c’è Dio, c’è almeno un barlume di speranza umana per questo Paese, speranza nei cuori di chi è fuggito dalla guerra, di chi è rimasto, di chi crede che possa rinascere?
Ho passato sedici anni nelle carceri del regime e ho vissuto momenti di depressione. Questa esperienza mi è servita per sopportare altre tragedie e altre sofferenze. Mi ha insegnato che puoi diventare una persona migliore se non permetti alle cose negative di schiacciarti. È per questo che non smetto di cercare mia moglie e i miei amici, come padre Paolo Dall’Oglio: lo faccio per loro e per tutti quelli che nel mondo si battono per la democrazia. Mi chiede se c’è speranza: oggi mi sento di dire di sì. Io nutro questa speranza. Conosco e sono in contatto con tantissimi giovani siriani che sperano in un futuro nuovo per la Siria. Questo mi rende fiducioso.

I giovani siriani vogliono costruire qualcosa di importante.

Che cosa è questo “qualcosa”?
Non parlo di qualche forma di associazione o di organizzazione, ma tutti insieme questi giovani – dotati una carica interiore, morale straordinaria – hanno volontà di fare qualcosa. Li anima un sentimento umano, di giustizia che sta crescendo in loro. C’è una vivace creatività culturale accompagnata da linguaggi nuovi che si allarga man mano che passa il tempo.

C’è una nuova Siria che sta nascendo dal basso? Forse tutto questo sangue versato dal popolo siriano sta facendo germogliare qualcosa di nuovo nel Paese?
Certamente, non ho dubbi a riguardo. La prima cosa che vorrei sottolineare che

questi giovani nutrono un profondo rispetto che per chi ha sacrificato la propria vita per la Siria.

Credo che sia la direzione giusta da intraprendere per cominciare tutti insieme questo nuovo percorso.

La Siria oggi è un Paese che soffre la divisione provocata dalla guerra: da una parte chi sostiene il regime, dall’altra chi vi si oppone e chi lo combatte armato. Un Paese pieno di ferite che rischiano di restare aperte e minare questo nuovo percorso di cui parla. Ma come voltare pagina?
Innanzitutto occorre aiutare e rafforzare questa creatività culturale che sta nascendo. Per farlo va archiviato il regime, devono aprirsi spazi di dialogo e di cambiamento.

In Siria serve una soluzione politica, una nuova Costituzione e il rinnovo delle istituzioni.

La maggior parte di questi giovani ora è all’estero, fuori dalla Siria, nella diaspora. Se ci fosse un cambiamento nel regime molti tornerebbero per iniziare un percorso nuovo.

Stando a quanto accade sul terreno, il presidente Assad sembra sempre più saldo al potere, dunque resta difficile ipotizzare cambiamenti nel medio-breve termine. Un percorso di riconciliazione nazionale non sarebbe più praticabile?
Difficile se non c’è un minimo di giustizia: chi ha compiuto crimini deve pagare per quello che ha commesso. Così si aprirebbero degli orizzonti di giustizia, di riconciliazione e di rispetto dei diritti umani. In Siria in tanti hanno commesso crimini, dal regime ai gruppi jihadisti, islamisti e anche i curdi. Chi ha sbagliato deve pagare il suo conto con la giustizia.

Nel diario di sua moglie, dai lei curato, si legge: “Lasciai la mia patria nel momento in cui lasciai la mia casa… la gente è la Patria… la Patria senza la sua gente non esiste”. Tra questa gente ci sono anche sostenitori del regime, e non sono pochi…
Chi non ha commesso crimini, coloro che hanno manifestato simpatia per il regime senza commettere misfatti vanno considerati cittadini siriani a pieno titolo. Il tema è quello della responsabilità: chi ha sbagliato deve pagare il suo conto con la giustizia. Siamo liberi di pensarla come vogliamo ma senza reprimere e commettere crimini di qualunque genere.

Come guarda alla Siria oggi, con rabbia per ciò che sta accadendo o con nostalgia?
Con rabbia che considero una forma di nostalgia. Per questo Paese ho sofferto e pagato molto. Ma tornerò in una nuova Siria, più libera e forte.

Altri articoli in Mondo

Mondo