“Dallo scorso ottobre, da quando cioè sono scoppiate le proteste popolari in Libano, nella sola capitale Beirut hanno chiuso 262 ristoranti, circa 20.000 insegnanti delle scuole private, molte delle quali cattoliche, sono a rischio licenziamento perché le famiglie non hanno la possibilità di pagare le rette. Le scuole pubbliche, a loro volta, non hanno più la capacità di prendere altri alunni, visto anche il gran numero di studenti rifugiati siriani e iracheni. Le banche hanno imposto il ‘capital control’ (controllo dei capitali) sui conti correnti privati, anche degli stranieri, ponendo un tetto ai prelievi di contante.
Si registrano file davanti alle banche e ai bancomat. Praticamente impossibile fare bonifici all’estero con conseguente mancanza di beni di importazione, in particolare le medicine”. È un quadro drammatico quello che emerge dalle parole di fonti libanesi, a Beirut, interpellate dal Sir. “Il Libano, terzo Paese più indebitato al mondo, è praticamente sull’orlo del baratro” e non bastano le rassicurazioni del governatore della Banca Centrale libanese, Riad Salameh, a tranquillizzare la popolazione.
“Le aziende che lavorano con l’estero stanno chiudendo. Ci sono ditte che per non licenziare hanno ridotto a 5 ore settimanali l’orario di lavoro del proprio personale. In vista del peggio molti stanno facendo scorte di beni di prima necessità. Improvvisi black out interrompono l’erogazione dell’energia elettrica in molte zone della capitale. La gente è in fila per il carburante”.
La crisi economica investe anche i lavoratori emigrati da Africa e Asia, circa 200mila persone da Bangladesh, Sri Lanka, Etiopia e Filippine. È di questi giorni la notizia della partenza dal Paese dei Cedri di numerose donne filippine, in gran parte domestiche, che hanno usufruito dei rimpatri gratuiti messi a disposizione dalla loro ambasciata. Si stima che nei prossimi mesi saranno oltre 1.500 quelle che faranno ritorno nelle Filippine.
L’impegno di Caritas Libano. Conferme arrivano anche da Caritas Libano. “Quanto sta avvenendo nel nostro Paese, con le proteste scoppiate dal 17 ottobre dello scorso anno – spiega al Sir il presidente padre Paul Karam –, è la conseguenza di una serie di problemi che si trascinano da decenni e che ora minacciano il popolo anche per ciò che riguarda il pane quotidiano. Per questo la gente – di tutte le fedi, etnie e idee politiche – è scesa in piazza per protestare”. Nonostante la repressione delle forze di sicurezza. Dai manifestanti sono giunte diverse denunce di un uso sproporzionato della forza e di infiltrazione di elementi esterni fra la folla per delegittimare le proteste.
Padre Karam, sacerdote maronita, ci tiene a ricordarlo, soprattutto adesso che “le manifestazioni sembrano scomparse dalle pagine dei giornali e dall’attenzione internazionale fagocitate dai venti di guerra che soffiano dopo l’uccisione del generale iraniano Qassem Soleimani ad opera degli Stati Uniti”. I manifestanti sono tornati in piazza a Beirut lo scorso 6 gennaio chiedendo la formazione di un esecutivo e l’adozione di riforme capaci di arginare la crisi finanziaria. Hassan Diab, il 19 dicembre, ha ricevuto l’incarico dal presidente libanese, Michel Aoun, di formare un nuovo governo, tentativo finora senza esito.
“Il grido del popolo è ancora forte, la morsa delle proteste non si è allentata”.
“I libanesi – sottolinea il sacerdote – continuano a lottare contro l’ingiustizia e la corruzione. Chiedono con forza e senza dilazioni, un lavoro, una casa, servizi come scuola e sanità, il rispetto dei diritti di base, un futuro sostenibile, e innanzitutto la fine della corruzione e l’avvio di processi contro i corrotti e contro chi ha sottratto i soldi pubblici. Questo denaro rubato deve tornare al popolo perché ne tragga i giusti benefici”. Si tratta, ribadisce il sacerdote, di “proteste frutto di un malgoverno trentennale che parte dagli accordi di Taif (ottobre 1989) siglati per mettere fine alla guerra civile in Libano (1975-1990). I governi che si sono succeduti da allora sono stati caratterizzati da corruzione e clientelismo, votati al benessere personale o del proprio centro di potere piuttosto che al bene del Paese e del popolo”.
Povertà in aumento. Dal 2011, inoltre, sono entrati in Libano circa 1,5 milioni di rifugiati siriani. Oggi si stima che un terzo della popolazione libanese sia composta da rifugiati. Accoglienza e solidarietà che hanno ottenuto il ringraziamento di Papa Francesco, il 9 gennaio, durante il discorso al Corpo diplomatico. “Siamo felici per le parole del Papa – dice padre Karam –, ma ora le difficoltà economiche si stanno facendo sentire per tutti”. È anche per questo motivo che Caritas Libano, aiutata da altre Caritas soprattutto quella Italiana, “cerca di fare il possibile per venire incontro ai bisogni della popolazione sia locale che rifugiata. Da tempo i nostri progetti prevedono quote sempre più consistenti per i libanesi”. I dati parlano chiaro:
“prima del 2011 i libanesi al di sotto della soglia di povertà erano il 6,5%, ora sono oltre il 39,5%; i disoccupati sono passati dal 6% al 36%. Ma il dato è cresciuto molto dall’inizio delle proteste. A causa della chiusura di fabbriche e negozi moltissimi hanno perso il lavoro e le stime parlano di picchi di oltre il 50% di disoccupazione”.
“La povertà è cresciuta di pari passo con i prezzi dei generi alimentari. Come Caritas Libano siamo in prima linea nel portare aiuto ai più vulnerabili. In questo tempo natalizio abbiamo distribuito oltre 600 pacchi a famiglie bisognose”. Attualmente il salario minimo mensile è sotto i 300 euro al mese, un milione e mezzo di abitanti vive con circa 108 euro al mese (3,5 euro circa al giorno).
Richiesta di aiuto. Il presidente della Caritas punta l’indice contro chi alimenta tensioni e guerre in Medio Oriente e in particolare in Siria, in Iraq, in Libia, nello Yemen. I fatti di questi ultimi giorni lo confermano. “Le conseguenze le portiamo sulla nostra pelle – rimarca con voce forte padre Karam –. I leader del mondo litigano tra di loro e chi paga sono i più deboli che cercano il necessario per vivere.
Il Libano non può più pagare la fattura di guerre scatenate da altri ai nostri confini.
Per questo – aggiunge – contiamo molto sul sostegno di Papa Francesco e della comunità internazionale. Il Libano oggi ha bisogno di aiuto”. La Chiesa maronita lo ha ben compreso e in un messaggio, diffuso l’8 gennaio al termine dell’incontro mensile, ha esortato i politici libanesi a fare il possibile per rafforzare la coesione nazionale del Libano e tenere il Paese al riparo dai nuovi venti di guerra che agitano l’intera regione. “La Chiesa in Libano, grazie anche alla Caritas, ha sempre rivendicato per tutti uguaglianza, diritti, equità sociale. La Chiesa ha raccolto il grido delle piazze e se ne sta facendo carico presso le sedi nazionali e internazionali”.