Conflitto

Libia: Terre des hommes, 700 migranti ammassati in un capannone, centinaia di bambini a rischio. “Aprire corridoi umanitari”

700 donne, uomini e bambini, tra cui 150 piccoli da 0 a 7 anni. Sono intrappolati vicino alla zona del vecchio aeroporto, dove infuriano gli scontri. E’ il centro di detenzione governativo di Qasr Bin Ghasheer,  “la situazione più critica: prima le persone erano distribuite in tre edifici ora a causa degli scontri sono stati spostati tutti in un capannone. C’è promiscuità, condizioni igieniche scarse, non ricevono cibo da una settimana e rischiano la vita”. A parlare è Bruno Neri, responsabile dei progetti di Terre des hommes in Libia.

Ammassati in un capannone, con le scorte di cibo esaurite da una settimana, rischiano di morire perché esposti ai combattimenti. Non c’è nemmeno lo spazio per camminare, sono tutti seduti uno accanto all’altro. Sono 700 donne, uomini e bambini, tra cui 150 piccoli da 0 a 7 anni. Sono intrappolati vicino alla zona del vecchio aeroporto, dove infuriano gli scontri. Due giorni fa un aereo delle truppe di Haftar è stato abbattuto proprio lì vicino. È il centro governativo di Qasr Bin Ghasheer, uno dei tanti dove vengono detenuti i migranti trovati sul territorio in condizione irregolare o rispediti in Libia dopo essere stati intercettati dalla guardia costiera libica. “È la situazione più critica: prima le persone erano distribuite in tre edifici ora a causa degli scontri sono stati spostati tutti in un capannone. C’è promiscuità, condizioni igieniche scarse, non ricevono cibo da una settimana e rischiano la vita”: a parlare al Sir è Bruno Neri, responsabile dei progetti di Terre des hommes in Libia. È stato a Tripoli un paio di settimane fa, proprio mentre iniziavano gli scontri tra le milizie del generale Khalifa Haftar, che controlla Bengasi, e le truppe del governo del presidente libico Fayez Serraj. Neri si unisce all’appello di Filippo Grandi, Alto commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, che chiede di “metterli in salvo con urgenza”: “È una questione di vita o di morte”. “Bisogna chiudere il centro di Qasr Bin Ghasheer e trasferire le persone in una zona più sicura,  sperando si possa aprire un corridoio umanitario, almeno per gli eritrei e i somali”, sottolinea il responsabile di Terre des hommes in Libia. L’organizzazione a tutela dei bambini opera dallo scorso anno in due centri di detenzione libici (Qasr Bin Ghasheer, Tajoura), dove sono complessivamente 1.300 persone, e nel campo per sfollati libici di Alfallah. In quest’ultimo vivono in condizioni precarie circa 1.300 civili che avevano perso la casa durante gli scontri dello scorso settembre e altri se ne stanno aggiungendo in questi giorni. Nei due centri per migranti e nel campo di Alfallah Terre des hommes fornisce soprattutto supporto psico-sociale con medici e psicologi.

A causa dei nuovi combattimenti ha avviato anche la distribuzione di cibo, farmaci e beni essenziali per l’emergenza.

I bambini nel centro di Qasr Bin Ghasheer a Tripoli, in Libia

150 bambini rischiano la vita nel campo di Qasr Bin Ghasheer. “Nel campo di Qasr Bin Ghasheer i bambini sono tantissimi – racconta -. Cerchiamo di organizzare per loro attività ricreative e distribuiamo latte, non hanno grossi problemi di malnutrizione. Gli adulti soffrono di più. Di norma ricevono due pasti al giorno, riso, pasta o lenticchie ma in questo periodo le scorte sono finite. Distribuiamo aiuti d’emergenza comprando al mercato locale. Sono centinaia di persone con pochissimi bagni in comune, possiamo immaginare le condizioni igieniche. Abbiamo riscontrato alcuni casi di infezione ma non di scabbia”. E le violenze nei centri denunciate da tante organizzazioni umanitarie? “Quelle avvengono soprattutto nei centri di detenzione illegale – risponde -. Noi abbiamo avuto un caso di una ragazza eritrea picchiata, ma era avvenuto fuori dal centro”.

Il centro di Qasr Bin Ghasheer a Tripoli, Libia

Le milizie stanno arruolando i migranti. “Abbiamo spostato in Tunisia i due operatori espatriati per ragioni di sicurezza – spiega –. Proseguiamo gli aiuti umanitari con il personale libico, in collaborazione con Ong locali: gli scout, i medici volontari, il servizio ambulanze ed emergenze, le associazioni per i diritti dei bambini”.

“Gli scontri fanno paura e c’è già un grosso problema per il reperimento del cibo: due settimane fa i prezzi dei prodotti erano già aumentati del 300-350%”.

Il bilancio parziale delle vittime è 150 morti e 18.000 sfollati. In una situazione così caotica, riferisce Neri, “le milizie stanno arruolando i migranti, mentre il premier Serraj ha annunciato che farà liberare i bambini soldato arrestati. Ha invitato le famiglie a farli tornare a casa ma non si sa che fine faranno”. Intanto, prosegue,

“tanti libici stanno già scappando verso la Tunisia, che ha riaperto le frontiere. Dall’aeroporto di Mitiga la notte partono alcuni voli”.

Bruno Neri, Terre des hommes

“Aprire i corridoi umanitari”. “La gente è stanca della presenza delle milizie e della corruzione – prosegue Neri -. Se si lascia libero spazio a queste due componenti si crea questa situazione di instabilità continua”, che alimenta poi il traffico di persone. “Prima in Libia vivevano e lavoravano un milione di migranti, questo vuol dire che il Paese ha le capacità per assorbire questa forza lavoro. Perciò il primo obiettivo è la stabilizzazione”, osserva. Secondo diverse fonti i migranti irregolari presenti oggi nel Paese sono tra i 700.000 e gli 800.000. Il premier Serraj in alcune interviste ha avvertito l’Italia che sono tutti pronti a partire, e tra loro potrebbero infiltrarsi terroristi dell’Isis. Secondo Neri “finora non è mai accaduto che i terroristi siano arrivati con i barconi. Il loro obiettivo è controllare i pozzi di petrolio più che venire in Italia”. Ora però l’urgenza è “organizzare al più presto dei corridoi umanitari, anche perché essendo in atto un conflitto hanno diritto a chiudere asilo”. Terre des hommes sta già prendendo contatti in proposito con Mediterranean hope, il programma rifugiati e migranti della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia.