Migranti

Tolleranza zero al confine tra Usa e Messico: rapporto della Chiesa cattolica e luterana sulle famiglie separate e riunite

Le testimonianze di  Cristina, Josè, Maria, operatori delle Caritas, fedeli luterani, suore, agenti dell’immigrazione sono raccolte nel dossier “Servire le famiglie separate e riunite. Lezioni apprese e vie da seguire per promuovere l’unità familiare”, presentato dalla Commissione per i rifugiati e i migranti della Conferenza episcopale Usa e dal Servizio per gli immigrati e i rifugiati della Chiesa luterana. Nelle trenta pagine dense di statistiche, ricerche, progetti, raccomandazioni per i politici e le agenzie di governo, però, ci sono anzitutto loro: le 1.112 famiglie che la collaborazione tra le Chiese ha riunito e che sta continuando ad assistere in varie parti del Paese

(da New York) Cristina ha 12 anni. E’ scappata dalla violenza della sua cittadina in El Salvador assieme al padre. Giunti al confine con gli Usa sono stati separati e Cristina ha aspettato 88 giorni prima di rivedere il suo papà, che a più riprese è stato sollecitato dalle agenzie per l’immigrazione a firmare le pratiche per l’espulsione. E tutto questo mentre gli veniva comunicato, ripetutamente, che la figlia era stata adottata. Il servizio per i migranti e i rifugiati della Chiesa cattolica ha aiutato la loro famiglia a ricomporsi e ora Cristina e il padre sono ospiti di una coppia di Los Angeles, assistiti dalla Caritas locale. Tra i traumi che continuano a perseguitare la ragazza c’è il terrore di restare sola e, infatti, accompagnarla alla scuola è un supplizio: non vuole lasciare il padre neppure per un secondo per timore di ritrovarsi ancora smarrita e terrorizzata in un Paese di cui nulla conosceva, neppure la lingua, e che l’ha allontanata dall’unico riferimento della sua giovane vita. Josè, invece, si è visto strappare suo figlio appena attraversato il confine. “Un’esperienza straziante, in cui ho pensato che il cuore mi esplodesse in petto. Lo vedevo piangere e gridare ma non potevo fare nulla per consolarlo”, racconta con gli occhi ancora velati di lacrime. Prova a nasconderle al bambino che gli gironzola intorno. Dopo parecchie settimane sono tornati insieme grazie alla rete di assistenza ai migranti sponsorizzata dalla Chiesa luterana. Il servizio ha provveduto ad un avvocato, ai vestiti (avevano un solo cambio), a tutto il materiale scolastico per consentire al bambino di cominciare la scuola.

L’inasprimento della politica migratoria Usa e la politica di “Tolleranza zero” con cui si è deciso di separare le famiglie al confine con il Messico per scoraggiare l’attraversamento del confine non è fatta solo di statistiche e codici, ma ha volti, vite, traumi, speranze.

Le testimonianze di  Cristina, Josè, Maria, operatori delle Caritas, fedeli luterani, suore, agenti dell’immigrazione sono raccolte nel dossier “Servire le famiglie separate e riunite. Lezioni apprese e vie da seguire per promuovere l’unità familiare”, presentato dalla Commissione per i rifugiati e i migranti della Conferenza episcopale Usa e dal Servizio per gli immigrati e i rifugiati della Chiesa luterana. Nelle trenta pagine dense di statistiche, ricerche, progetti, raccomandazioni per i politici e le agenzie di governo, però, ci sono anzitutto loro: le 1.112 famiglie che la collaborazione tra le Chiese ha riunito e che sta continuando ad assistere in varie parti del Paese.

La richiesta Era il 2 luglio quando una telefonata del dipartimento di sicurezza ha raggiunto la Commissione per i migranti e rifugiati: l’amministrazione Trump chiedeva aiuto e supporto alla Chiesa per riportare ai rispettivi genitori quei bambini separati al confine per un ordine del procuratore generale. Il 20 giugno scorso le pressioni sul presidente lo avevano indotto a firmare un ordine esecutivo che stabiliva il ricongiungimento familiare: anche se i genitori erano detenuti, i figli dovevano tornare con loro e si prevedevano fondi per ampliare le strutture esistenti o per costruirne di nuove in grado di ospitare il nucleo familiare. Inoltre, un tribunale della California aveva stabilito i termini di attuazione del decreto presidenziale: entro il 10 luglio tutti i bambini con meno di 5 anni dovevano essere ritrovati e ricollocati con le proprie famiglie; mentre per quelli dai 5 ai 17 l’obbligo slittava al 26 del mese.

Va precisato che la politica di separazione delle famiglie non era estranea neppure all’amministrazione Bush e a quella di Obama, ma la tolleranza zero applicata da fine aprile dal procuratore generale Jeff Session ha portato a un incremento del 76% di bambini classificati come non accompagnati in appena due mesi, facendo scattare l’allarme anche nelle strutture di accoglienza.

Inoltre, per interpretazioni arbitrarie della legge, nel mirino degli agenti erano finiti non solo gli illegali ma anche tutte quelle famiglie che si presentavano ai varchi ordinari chiedendo protezione. Giunti al confine gli adulti sono stati presi in carico dal Dipartimento di sicurezza (Dhs) e i piccoli dal Dipartimento di salute e servizi alla persona (Hhs). Tra le due agenzie non c’è stato un effettivo coordinamento e questo ha portato alla scomparsa dei minori.

Chi sono questi nuovi migranti. Il rapporto rivela un volto diverso dell’immigrazione dal Centro America che supera stereotipi e campagne mediatiche di dubbio gusto. I nuovi immigrati non sono più uomini adulti, messicani, in cerca di lavoro stagionale, ma famiglie, bambini non accompagnati che fuggono dai cosidetti Paesi del Triangolo (Honduras, Guatemala ed El Salvador) dove bande armate e violente si stanno spostando dalle città alle campagne minacciando gli abitanti e talvolta sequestrando i minori per arruolarli nella loro spirale di morte. La violenza esercitata tra le mura domestiche, in questi Stati, è molto alta e spesso poiché la giustizia stenta ad essere applicata a causa della corruzione, la via di fuga è vista come unica soluzione.

Le interviste condotte alle 1.112 famiglie assistite rivela che spesso la fuga negli Usa è la tappa ultima di una serie di migrazioni interne:

c’è chi ha cambiato luogo di residenza ben dieci volte prima di giungere al confine statunitense, a dimostrazione dell’estrema fragilità sociale e politica dei Paesi di provenienza. Il 61% di questi migranti è rappresentato da padri che portano con loro i figli maschi (67%). Inferiore la percentuale delle madri che attraversano il confine, appena il 39% e le bambine si attestano sul 33%.

Il ricongiumento. Nei dati del report pubblicato dalla Commissione cattolica e da quella luterana si legge che al 27 settembre le famiglie riunite sono 2.296, alcune di loro sono ancora in stato di detenzione, altre sono già ricongiunte a parenti presenti negli Stati Uniti, molte si sono ritrovate nei Paesi di origine perché costrette all’espatrio, altre ancora dopo la riunificazione sono state liberate. Durante tutto il processo una delle sfide più difficili è stato il coordinamento tra gli uffici poiché un’operazione congiunta non aveva in realtà un vertice unico per definire le procedure e, per questo, il supporto delle Caritas locali e delle strutture di accoglienza luterane è stato fondamentale perché sono stati i punti di riferimento locali in cui reperire informazioni e consentire gli incontri. Ben 600 famiglie sono state ospitate dalla diocesi di San Antonio a Rio Grande Valley e uno dei volontari del programma rivela che mai si era trovato a svolgere un lavoro così delicato e carico di emozioni: “Ho visto un padre riabbracciare il suo bambino dopo 5 mesi. E’ stata una scena indimenticabile e io sono stato testimone di un miracolo”. Al paragrafo conclusivo del report sono riservate le raccomandazioni ai legislatori e ai rappresentanti politici, perché nell’ideare politiche di protezione del Paese tengano conto che separare le famiglie non è la soluzione ed è una tragedia e un trauma di cui si soffriranno le conseguenze per anni. La detenzione, poi, “non è mai risolutiva” ed è per questo che le Commissioni cattoliche e luterane chiedono di essere parte del processo di revisione delle norme per individuare soluzioni alternative e tutelare anzitutto le persone.

(*) I nomi sono stati modificati per proteggere l’identità degli intervistati