
Crescita zero nell’ultimo trimestre del 2024 e disoccupazione in rialzo. I dati diffusi dall’Istat, letti congiuntamente, suonano indubbiamente come un campanello d’allarme. L’Istituto di statistica sottolinea ripetutamente che quella sul Pil è una stima preliminare e dunque provvisoria, ma intanto registra una stasi dell’economia rispetto al trimestre precedente e un modesto +0,5% rispetto a un anno fa, nettamente al di sotto delle previsioni del governo. La “crescita congiunturale nulla”, spiega l’Istat, “riflette una flessione sia del comparto primario sia dei servizi, mentre il settore industriale ha registrato, nel complesso dei tre mesi, una ripresa”. Una ripresa peraltro molto relativa. Il commento dell’Istat alla rilevazione sul fatturato di novembre, infatti, si limita a osservare che “si attenua leggermente la dinamica negativa”. Dal lato della domanda, la componente nazionale è in diminuzione, mentre si stima un aumento delle esportazioni.
Per quanto riguarda il lavoro, l’Istituto di statistica rileva che “su base mensile, scendono il tasso di occupazione al 62,3% e quello di inattività al 33,5%, mentre quello di disoccupazione sale al 6,2%”. Dati che vanno valutati con attenzione, senza catastrofismi, ma anche senza i trionfalismi che in passato hanno accompagnato queste rilevazioni. L’onda lunga della ripresa post-Covid si è ormai esaurita e adesso la sfida è quella di portare a compimento il Pnrr, che scade il prossimo anno e il cui peso nell’andamento dell’economica italiana è decisivo, tanto più in una fase in cui la situazione geopolitica si mostra incerta e gravida di potenziali rischi.
Oltre ai dati congiunturali, in questi giorni l’Istat ha reso note anche delle indagini di più ampio respiro. Se è vero, per esempio, che il Sud sta crescendo più del Nord, questo non basta a ridurre i divari territoriali che restano enormi. Nelle regioni meridionali il reddito disponibile delle famiglie per abitante è poco più della metà di quello di chi vive nelle regioni più ricche. La differenza del Pil per abitante nel 2023 è salita a 18,3mila euro: era di 17,4mila euro nel 2022 e di 16,2mila euro nel 2021. Il punto è che l’inflazione ha colpito in maniera non uniforme le diverse aree del Paese. Se al Nord-Ovest i redditi pro capite a prezzi correnti sono cresciuti del 5,7%, in linea con l’inflazione, al Sud l’aumento si è fermato al 4,7% con la perdita di un punto percentuale di potere d’acquisto.
C’è comunque da registrare che, nonostante tutto, migliora la fiducia delle imprese e dei consumatori. L’indice relativo alle imprese è cresciuto a dicembre per il secondo mese consecutivo (da 95,3 a 95,7), tornando ai livelli di aprile 2024, trainato soprattutto dalle costruzioni. Quello dei consumatori ha ripreso a salire dopo tre mesi di calo, passando da 96,3 a 98,2. Uno sguardo positivo sul futuro che rappresenta un fattore importante per la nostra economia, una scommessa che la politica – per quanto le compete – deve stare ben attenta a non deludere.