Quando la incontriamo a Roma il suo telefonino scoppia di notifiche di messaggi. 90 persone alle 07:35, 100 persone alle 10:45 e 50 persone alle 11:10. La stanno avvisando da Lampedusa, le consorelle sono già al Molo Favarolo pronte ad accogliere i migranti allo sbarco. Suor Antonella Papa, della Congregazione Figlie di Maria Missionaria, è la responsabile del progetto dell’Uisg (Unione internazionale delle superiore generali) “Migranti in Sicilia”. Un presidio di religiose di diverse congregazioni che ha l’obiettivo di “essere ponte tra la popolazione locale e la popolazione migrante con un lavoro di presenza, testimonianza e sensibilizzazione”. Le quattro suore hanno risposto alla richiesta di Papa Francesco a tutti i religiosi: uscire dalle loro case e servire le persone che vivono ai margini. Suor Papa, di origine calabrese, è stata per dieci anni missionaria in Brasile tra gli indigeni Xerente, in Amazzonia, poi è diventata superiora generale della sua Congregazione. Da un anno coordina il lavoro di tre suore che vivono tutto l’anno a Lampedusa, a metà strada tra la parrocchia di San Gerlando, con la quale collaborano attivamente, e il molo dove sbarcano i migranti salvati dalla Guardia costiera o dalle Ong.
“Condividiamo e celebriamo con gli isolani e con i migranti senza distinzioni, facilitando per quanto possibile lo scambio di valori tra le culture diverse. La comunità di Lampedusa ci ha accolto benissimo. Andiamo in ogni famiglia, distribuiamo la comunione, portiamo conforto. Stiamo con i giovani e con i migranti al porto. Siamo un ponte”, racconta al Sir suor Papa, che fa avanti e indietro tra gli impegni istituzionali e Lampedusa. Trascorrerà le feste natalizie sull’isola, fino all’Epifania. Oramai le religiose fanno parte della comunità cristiana lampedusana. “I pescatori ci regalano il pesce e il parroco lo cucina per noi. È insolito vedere, nella Chiesa, i ruoli ribaltati”, aggiunge con ironia. Sono anche in rete con le altre organizzazioni della società civile presenti nell’isola pelagica: Mediterranean hope della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei), il Forum Lampedusa solidale, la Croce Rossa che gestisce l’hot spot di Contrada Imbriacola, le organizzazioni umanitarie e le Ong che soccorrono i migranti, oltre che con le forze dell’ordine.
Sul molo Favarolo. “Riceviamo le informazioni sugli sbarchi dal sito della Guardia costiera e poi ci avvisiamo a vicenda”, spiega. “Andiamo al molo e restiamo lì insieme alla Croce Rossa. Da quando gestiscono l’hot spot c’è un approccio più umano con i migranti. Siamo in tanti ad accogliere le persone che sbarcano”. Provati dal viaggio o dai naufragi, in ipotermia, impauriti, affamati e assetati, i migranti scendono dalle imbarcazioni che li hanno salvati. La Croce Rossa distribuisce tè, acqua e merendine.
Le suore parlano le lingue dei migranti: arabo, inglese, francese. “La nostra è una presenza di ascolto.
Oppure interveniamo quando la Croce rossa non riesce a fare tutto. Appena sbarcati sono molto scioccati, soprattutto le donne. Spesso ci chiedono di accompagnarle in bagno. A volte ci fanno delle piccole confidenze. Raccontano il viaggio, quello che è successo”.
Ascoltano stralci di storie come quella straziante di una mamma del Camerun che mesi fa ha perso la figlia di 15 mesi in mare. La bimba non è stata più ritrovata. “Non si dava pace perché durante il viaggio le è scivolata dalle braccia. Continuava a chiederci: dov’è il corpo di mia figlia? Però siamo riusciti a stabilire con lei un dialogo, una relazione. Ora è in un centro a Catania e ancora oggi ci sentiamo al telefono”. Un ragazzo di 15/16 anni le confidò invece di voler dichiarare una età maggiore per poter lavorare subito e mandare i soldi alla famiglia. Non sapeva che, al contrario, i minori hanno tutele maggiori. A volte riescono a mantenere i contatti anche a distanza. A Roma, ad esempio, c’è una delle famiglie che hanno accolto a Lampedusa, con una bimba di tre mesi. Ma “quando ci sono vittime è molto dura, specie quando si tratta di bambini”, confida.
Un Giubileo “di speranza, perdono e riconciliazione”. Ora stanno tentando di instaurare una collaborazione con un’altra comunità intercongregazionale di suore ad Agrigento. Per le suore di Lampedusa il Giubileo che si apre tra pochi giorni è “speranza, perdono e riconciliazione, prima con noi stessi e poi con gli altri”. Il loro auspicio, ovviamente, è che sia uno stimolo per “porre fine alle tragedie del mare”.