Marco Erba: per educare più don Bosco e meno Machiavelli

Insegnante, scrittore di successo, Erba riflette a voce alta su alcuni aspetti essenziali della vita, sulla speranza – il tema del prossimo Giubileo –, sul rapporto tra mondo adulto e giovanile. “L’amore – afferma – è sempre un dono, mai possesso, perché si basa sulla libertà”. E aggiunge: “Credo che il Vangelo abbia tantissimo da dire sull’analfabetismo affettivo dei giorni nostri”.

(Foto profilo social Marco Erba)

Con Marco Erba, insegnante liceale e scrittore di successo, il tema della speranza si può affrontare sul versante educativo e dell’amore cristiano. Essere genitore non è un fatto biologico, non è scritto nel Dna delle persone. Per camminare nel sentiero della speranza – sostiene Erba, che vive con la famiglia a Cernusco sul Naviglio (Milano) – è importante masticare, anzi, abitare gli spazi della cultura e dell’amore. Erba è convinto che nell’educare occorra più don Bosco e meno Machiavelli; ritiene infatti che sia meglio essere amati che temuti.
Diversi dei suoi romanzi, nei quali si riversa il suo essere “prof”, fanno luce sul mondo giovanile e aprono finestre sulle relazioni sociali: fra i titoli editi da Rizzoli si potrebbero ricordare Fra me e te, Città d’argento, Ci baciamo a settembre, Insegnare non basta, Il male che hai dentro.
Il 13 dicembre esce il suo nuovo libro: Scintille di bellezza. Trenta storie per educare alla speranza tra i banchi di scuola (e non solo) (Avvenire – Vita e Pensiero).
Erba è uno scrittore che “esce” dai suoi libri: ogni giorno si misura con i suoi alunni ed è sempre disponibile a incontrare gruppi giovanili nelle parrocchie, nelle associazioni… “Per educare – afferma – devi avere una visione antropologica positiva. Devi credere che in ogni persona c’è una scintilla di bene, che può deflagrare e contagiare gli altri e il mondo. Le persone, prima di tutto, non sono una minaccia, ma una opportunità. La visione negativa impedisce ogni cammino educativo. Amare l’altro, che hai di fronte, vale molto di più che imporsi con la forza”. Quindi aggiunge: “Se il tuo interesse è solo limitare i danni, impedire all’altro di nuocere, tu stai tranquillo, ma quella persona, quel giovane, non farà un cammino educativo. Don Bosco dice che in ogni ragazzo c’è un punto di bene, Machiavelli dice che è meglio essere temuti che amati. Sono proprio visioni antropologiche opposte, ma è il dilemma in cui ciascuno di noi si trova ogni giorno in qualsiasi tipo di rapporto. L’altro è la minaccia da cui mi devo difendere, o un potenziale fratello, una potenziale sorella, un potenziale alleato che ha del bene da cui partire insieme? Penso che la visione cristiana e il messaggio del Vangelo siano chiarissimi su questo. Non esistono persone cattive, esistono azioni cattive, esistono percorsi di distruzione di sé e degli altri, ma nessuno è cattivo perché tutti sono figli nel Figlio”.

La droga, diceva Pasolini, riempie il vuoto di cultura. Non crede sia importante scrivere, leggere, appassionarsi alla cultura?
In generale ogni dipendenza, che sia dalla droga, dallo smartphone, dal gioco, dalla superficialità, dall’alcool, qualsiasi dipendenza nasce da un vuoto. L’antidoto alla droga, a qualsiasi dipendenza, è certamente la disintossicazione, il mettere dei paletti e delle regole, ma è soprattutto dare un senso più grande. Il miglior antidoto alle dipendenze credo sia percepire che la tua vita valga qualcosa, lascia un segno positivo sulla vita degli altri. L’antidoto alla dipendenza è imparare a vivere dicendo grazie per i doni che ogni giorno riceviamo, vivendo la nostra vita come un dono, un contributo al creato e, prima di tutto, al prossimo.

(Foto profilo social Marco Erba)

Come “abitare” lo spazio importante della cultura?
La cultura di oggi ha dentro tutto e il contrario di tutto, anche elementi spacciati per cultura che non lo sono, ma che fanno tantissima presa. Il confine di cosa sia cultura e cosa non lo sia dipende dalle definizioni e ciò è piuttosto labile. Direi che dobbiamo abitare il nostro tempo, con le sue manifestazioni culturali, con due parole: amare e speranza. Speranza vuol dire essere consapevoli, senza nasconderlo, che il male c’è, ma sapere che la vita trova la sua strada per svilupparsi e crescere. Credo che nella società di oggi, cinica, disincantata, che nega la morte dando l’illusione di una eterna giovinezza, noi siamo chiamati a riscoprire che siamo esseri umani limitati ma al contempo a vivere nella speranza che si fonda sull’amore. L’amore è sempre un dono, mai possesso, si basa sulla libertà, sul lasciare andare l’altro senza manipolarlo per i propri fini. L’amore fondamentalmente è quello che Gesù ha mostrato nella sua vita e nella sua morte. Cioè io ti voglio bene perché tu sei tu e io ho a cuore il te concreto. Io, tu, non siamo solo gli errori che commettiamo, siamo la nostra capacità di riscatto. Per questo Gesù ha accettato tutti: il pubblicano, la pubblica peccatrice, ed è morto lasciando liberi gli esseri umani di ucciderlo.

Amare è camminare nella libertà?
L’amore è lasciare libero l’altro, accettare la sua libertà fino all’estreme conseguenze. Credo che il Vangelo abbia tantissimo da dire sull’analfabetismo affettivo dei giorni nostri per cui l’amore è ridotto a passione, gioco, utilizzo dell’altro. Ci sono tantissimi profili social, tantissime persone che parlano di sesso, questo è bene: un tempo era tabù e ingiusto. Invece il proprio corpo va conosciuto. Il fatto che il sesso abbia una dimensione di piacere, da dare e ricevere, va assolutamente conosciuto, ma questo non basta perché noi siamo un universo. Serve una nuova alfabetizzazione emotiva che faccia capire che i gesti del mio corpo sono una forma di comunicazione, di messaggio. Serve la consapevolezza dell’amore che ci guida, l’amore da cercare nelle relazioni autentiche.

 

 

 

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