Ritratti di donne forti e fragili: “Il treno dei bambini”, “La stanza accanto” e “Black Doves”

Un mosaico di volti e storie di donne al cinema e su piattaforme. Donne che brillano per forza, resilienza e fragilità. Su Netflix le madri coraggio Antonietta e Derna nell’Italia della Ricostruzione, protagoniste del racconto di speranza “Il treno dei bambini”, diretto con eleganza da Cristina Comencini. A dare loro volto le ottime Serena Rossi e Barbara Ronchi. Al cinema, altre due donne segnate da tenacia e dolenza, Martha e Ingrid, protagoniste dello struggente e sfidante “La stanza accanto” di Pedro Almodóvar, Leone d’oro a Venezia81. Un dialogo intenso e raffinato tra amiche al capolinea della vita. A cesellarle le Premio Oscar Tilda Swinton e Julianne Moore. Infine, ancora su Netflix il crime puntellato da lampi di ironia nera “Black Doves” firmato Joe Barton con Keira Knightley. In una Londra invernale una ex spia, ora madre di famiglia, è richiamata forzatamente all’azione da una serie di omicidi. Miniserie fosca e sarcastica

Il Treno dei bambini - Palomar Netflix

Un mosaico di volti e storie di donne al cinema e su piattaforme. Donne che brillano per forza, resilienza e fragilità. Su Netflix le madri coraggio Antonietta e Derna nell’Italia della Ricostruzione, protagoniste del racconto di speranza “Il treno dei bambini”, diretto con eleganza da Cristina Comencini. A dare loro volto le ottime Serena Rossi e Barbara Ronchi. Al cinema, altre due donne segnate da tenacia e dolenza, Martha e Ingrid, protagoniste dello struggente e sfidante “La stanza accanto” di Pedro Almodóvar, Leone d’oro a Venezia81. Un dialogo intenso e raffinato tra amiche al capolinea della vita. A cesellarle le Premio Oscar Tilda Swinton e Julianne Moore. Infine, ancora su Netflix il crime puntellato da lampi di ironia nera “Black Doves” firmato Joe Barton con Keira Knightley. In una Londra invernale una ex spia, ora madre di famiglia, è richiamata forzatamente all’azione da una serie di omicidi. Miniserie fosca e sarcastica, dai produttori di “The Split” e “Gangs of London”. Per gli amanti del genere.

“Il treno dei bambini” (Netflix, 04.12)
Presentato alla 19a Festa del Cinema di Roma, arriva finalmente su Netflix “Il treno dei bambini”, che ci riporta al tempo dell’Italia nell’immediato Secondo Dopoguerra, tra affanni di sopravvivenza e desideri di futuro, di riscatto. A firmare la regia è Cristina Comencini, che ritorna a dirigere con grande eleganza e incisività dopo i successi “Va’ dove ti porta il cuore” (1996) e “La bestia nel cuore (2005). L’opera prende le mosse dal romanzo omonimo di Viola Ardone (Einaudi, 2019) e il copione porta la firma della stessa Comencini insieme a Furio Andreotti, Giulia Calenda e Camille Dugay. Protagoniste Barbara Ronchi e Serena Rossi, affiancate da Christian Cervone, Antonia Truppo e Stefano Accorsi.

La storia. Napoli 1946, Antonietta e il figlio Amerigo, di otto anni, vivono con pochi mezzi nei Quartieri Spagnoli. La guerra ha messo in ginocchio tutti, e si fa fatica a trovare stimoli e speranza. Un giorno Antonietta viene a sapere che il Pci sta organizzando dei treni dei bambini diretti a Modena per far trascorrere loro l’inverno e la primavera, trovando così ristoro e opportunità di scolarizzazione. Antonietta, con non poca sofferenza, manda il suo Amerigo al Nord e di lui si prenderà cura la militante di partito Derna, ex partigiana che vive nel dolore per la perdita del proprio amore…

(Il treno dei bambini. Palomar-Netflix)

“Un viaggio epico – ha dichiarato la Comencini – organizzato dall’Unione Donne Italiane, che racconta un’Italia impegnata nello slancio solidale. (…) Una vicenda passata ma attualissima: un periodo in cui sembrava possibile un Paese unito”. “Il treno dei bambini” è un’opera che conquista per la forza della storia e la delicatezza dei sentimenti in campo. È il racconto di un Paese piegato dalle sofferenze economiche e sociali, che però non resta a guardare ma si adopera per rimettersi in marcia. A fare la differenza sono soprattutto le donne, che non si danno per vinte e fanno di tutto per tornare a sperare, soprattutto per le nuove generazioni. Sono le coraggiose madri del Sud, rese simbolicamente dalla figura di Antonietta, che non esitano un istante a privarsi dei propri figli pur di garantire loro un’opportunità nella vita, un’infanzia decorosa e la promessa di un futuro possibile. Madri espressione di un amore che non trattiene ma sa lasciare andare, incuranti dello strappo e del dolore. E poi ci sono le donne del Nord, colte nella figura di Derna, che si mettono in gioco per un’idea più grande: accogliere in maniera solidale.
Un racconto semplice come svolgimento ma vibrante per valori ed emozioni in campo. Una storia che brilla per solidarietà, misericordia e dolcezza, che volteggia con grande intensità grazie a due interpreti magnifiche. Consigliabile, poetico, per dibattiti.

“La stanza accanto” (Cinema, 05.12)
Ha vinto il Leone d’oro all’81a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia. È “La stanza accanto” (“The Room Next Door”) di Pedro Almodóvar, il primo film del regista in territorio hollywoodiano. Prendendo le mosse dal romanzo “Attraverso la vita” (Garzanti, 2022) di Sigrid Nunez, l’autore spagnolo racconta il viaggio esistenziale di due donne, due amiche, chiamate a interfacciarsi anzitempo con la morte. A interpretarle le attrici Premio Oscar Tilda Swinton e Julianne Moore.

La storia. New York, oggi. Martha è una giornalista malata di tumore. Per lei, che ha raccontato valorosamente molti conflitti, si profila una guerra senza speranza. Ad allietare le sue giornate l’amica scrittrice Ingrid. Decisa a non arrendersi alla sua condanna, Martha chiede a Ingrid di farle compagnia in una casa di villeggiatura fuori New York. L’obiettivo è trascorrere del tempo insieme in serenità finché Martha si sentirà in forze; la donna è decisa a togliersi la vita prima che il corpo l’abbandoni…

(Photo-by-Iglesias-Mas_Warner)

Almodóvar firma un film di grande bellezza visiva, formale, cesellando inquadrature ricercate ed eleganti, giocate su una brillantezza cromatica. Ammantata da una veste elegante, l’opera però rivela anche una densità tematica non poco sfidante: al centro del racconto, infatti, c’è la malattia terminale e il desiderio di gestire la propria morte, attraverso la pratica dell’eutanasia. Nel dialogo tra le due amiche, Almodóvar apparentemente prova a fornire diversi punti di vista sul tema, tra chi ribadisce il desiderio di determinare la propria morte (Martha) e chi invece vorrebbe lasciare tempo alla vita, cogliendone ciò che resta (Ingrid).
A ben vedere, però, l’impostazione del film si avvita in una tesi dove a prevalere è la forza argomentativa di Martha al punto da non lasciare spazio ad altri, né a Ingrid che finisce per accogliere la scelta dell’amica né al poliziotto interpretato da Alessandro Nivola. La sceneggiatura, infatti, gli disegna un perimetro chiuso in se stesso, dove il confine è rappresentato dalla legge in materia e dai propri convincimenti morali e religiosi; non c’è spazio per la prossimità né per la comprensione della fragilità. L’argomentazione del poliziotto è liquidata in maniera sbrigativa e grossolana, etichettata come fanatica, esaurendo così il possibile “contraddittorio” in maniera superficiale.

Il film contiene un altro aspetto da rilevare: è il profilo di un’umanità fragile, bisognosa di calore e prossimità. Martha non vuole affrontare quell’ultimo viaggio da sola; è spaventata dall’idea di lasciarsi andar via senza nessuno accanto. È il ritratto dell’umanità contemporanea, così apparentemente solida ma in fondo bisognosa di ascolto, di tenerezza. In generale, si riconosce ad Almodóvar di saper governare con maestria il linguaggio del cinema, portando sempre il proprio punto di vista, che però non può essere del tutto condiviso. Complesso, problematico, per dibattiti.

“Black Doves” (Netflix, 05.12)
“Eric”, “The Split” (da noi adattata in “Studio Battaglia”) e “Gangs of London”: sono le serie targate da Sister Productions, realtà indipendente che cura anche la produzione di un nuovo titolo per Netflix. È lo spy thriller “Black Doves” creato da Joe Barton – già autore di “Progetto Lazarus” (Sky) – che vede protagonista la diva britannica Keira Knightley, ben affiancata da altri due nomi di peso d’Oltremanica: Sarah Lancashire (il sergente Cawood in “Happy Valley”) e Ben Whishaw (è il geniale Q nel ciclo 007 con Daniel Craig).

La storia. Londra, oggi. Helen Webb è un’ex agente segreto sposata con un influente politico in ascesa a Downing Street e madre di due gemelli. Un giorno riceve la chiamata di un suo ex collega, poco prima di essere ucciso. Questo catapulta Helen nella sua “vecchia vita”. Si apre per lei una girandola di avvenimenti e rischi, che corre insieme all’amico Sam, cercando di non far trapelare nulla in casa…

Come stile narrativo siamo prossimi alle serie britanniche “Killing Eve” e “Slow Horses”, ovvero uno spy thriller irrorato di umorismo nero, sarcastico. “Black Doves” corre veloce con i suoi sei episodi da 55 minuti, puntando sulle seducenti atmosfere londinesi, dinamiche da action-noir senza lesinare in combattimenti e violenza, con un copione ben strutturato e adeguatamente enigmatico. A funzionare di certo è la qualità del cast, in testa la Knightley, che tratteggia una protagonista insolita: spietata spia e madre premurosa, una donna scissa in due che prova a tenere unite le due metà, anche quando la realtà sembra andare più veloce. Una miniserie originale, affilata e ironicamente feroce, direzionata a un pubblico adulto amante del genere. Complessa, problematica.

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