Nella giornata di ieri, venerdì 18 ottobre, il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani e il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi hanno incontrato a Mentone e Ventimiglia il neo primo ministro francese, Michel Barnier, e il suo ministro dell’Interno, Bruno Retailleau, per discutere la cooperazione tra Italia e Francia in ambito migratorio.
Tajani ha sottolineato l’importanza di “lavorare insieme per affrontare le sfide attuali e future, a partire dal tema delle migrazioni”. La priorità, ha affermato poi il vicepremier, è “assicurare la corretta applicazione del nuovo Patto su migrazione e asilo rispettando l’equilibrio tra solidarietà e condivisione di responsabilità tra partner europei”.
Nel frattempo, però, tra ondate di maltempo e l’assenza di infrastrutture idonee all’accoglienza, Ventimiglia continua a vivere un’emergenza migratoria senza fine.
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Le tende sotto il cavalcavia che corre parallelo al corso del fiume Roia, i panni stesi ad asciugare e le persone in fila per un pasto caldo. E poi gli sgomberi, disposti quasi a cadenza regolare ma prontamente insufficienti a risolvere in via definitiva un’emergenza migratoria che si protrae da quasi dieci anni. La cartolina da Ventimiglia è sempre la stessa fin dal 2015, da quando cioè i flussi migratori in uscita dall’Italia hanno cominciato a concentrarsi nella cittadina ligure al confine con la Francia. I migranti e i richiedenti asilo arrivano indistintamente da Trieste, prima tappa italiana della rotta balcanica, così come da Lampedusa e dalle coste del Sud: Ventimiglia non rappresenta che l’ennesimo punto di partenza verso il resto d’Europa.
Cavalcavia, icona del disagio. “In pochi vogliono restare in Italia, le persone arrivano a Ventimiglia e da qui partono verso altre mete, per lo più Francia, Germania e Paesi Bassi. Se sono fortunate riescono a superare i controlli e a proseguire, altrimenti vengono rimandate indietro e si fermano da noi per qualche giorno prima di riprovarci”. Raggiunto dal Sir, il presidente di Caritas Intemelia, Maurizio Marmo, fa il punto sull’emergenza migratoria nell’area di Ventimiglia. “Se parliamo di numeri, la situazione appare più tranquilla rispetto all’anno scorso. Attualmente si contano circa 50-60 persone al giorno, mentre nel 2023 abbiamo raggiunto picchi di quasi 200 presenze”. I numeri, però, da soli non bastano a restituire una fotografia esaustiva della realtà di Ventimiglia, dove gravi carenze in termini infrastrutturali rendono l’accoglienza ancora molto difficoltosa. “La zona del ponte, cioè il cavalcavia, è diventata l’icona del disagio dei migranti che arrivano da noi”, dice Marmo. “Dopo la chiusura dell’unico centro di accoglienza attivo in città, al momento la struttura gestita da Caritas è il solo spazio dedicato all’ospitalità. Cerchiamo di fornire quanti più vestiti e cibo possibile, ma il problema è che possiamo accogliere soltanto le famiglie mentre per gli uomini adulti e i minori stranieri non accompagnati non c’è praticamente nulla”.
Mancano servizi igienici. In estate come in inverno, le temperature ora asfissianti ora pungenti costringono la popolazione migrante a ripararsi come meglio può, allestendo tendopoli improvvisate sotto il cavalcavia che però, con le piogge, finiscono puntualmente per trasformarsi in acquitrini. Alle già precarie condizioni igieniche del “campo” si aggiunge, poi, l’assenza di servizi igienici totalmente pubblici, utilizzabili liberamente e, soprattutto, senza bisogno di essere “registrati”.
Tensioni con i residenti. Mariapaola Rottino è una docente di lettere che fa parte dell’associazione Popoli in Arte. Ogni seconda domenica del mese si reca a Ventimiglia insieme al resto dei volontari per portare un pasto ai migranti: “Prepariamo da mangiare sempre per un centinaio di persone, così non rischiamo di lasciare nessuno a bocca asciutta”, racconta. “La carenza di servizi igienici rappresenta un grave problema per le persone, che negli anni sono arrivate persino a scavalcare i cancelli del cimitero pur di avere accesso all’acqua”. Come confermato anche da Maurizio Marmo, l’assenza di strutture coperte ha causato diversi momenti di tensione anche con i residenti che vivono nei pressi del ponte, quartieri popolari e densamente abitati: “È comprensibile che per la cittadinanza non sia facile convivere con il passaggio di migliaia di persone”. “Dal 2015, la situazione si è prolungata molto e questo comporta difficoltà non solo per i migranti, ma anche per i residenti”, afferma il presidente Caritas Intemelia.
“Enorme mobilitazione”. Eppure, anche a Ventimiglia la macchina dell’accoglienza si dimostra più forte dei disagi, come testimonia la fitta rete di associazioni e volontari che si coordinano per fornire supporto alle persone costrette ad accamparsi sotto i pilastri dell’autostrada. “Esiste un’enorme mobilitazione di realtà e gente comune che arriva da Imperia e perfino da Nizza per portare cibo e aiuti a Ventimiglia”, continua Rottino. “Abbiamo un vero e proprio coordinamento e nei gruppi francesi ci sono anche le parrocchie di Mentone, associazioni islamiche, femministe e studentesche”.
Barriere e… speranze. I frequenti sgomberi disposti nell’area della tendopoli servono principalmente a bonificare il suolo dopo le forti piogge, ma in assenza di alternative valide non bastano a evitare che le persone tornino lì in attesa di rimettersi in cammino. “Finché la Francia non deciderà di tornare a Schengen anziché fare controlli sulla base dei tratti somatici delle persone, questa situazione si ripercuoterà costantemente su di noi e le persone continueranno a tornare a Ventimiglia per riprovare a superare il confine”. Le barriere a protezione del corso del Roia, frequentemente divelte dai migranti per aprirsi un varco verso la frontiera, sono il simbolo della forza di volontà di chi da mesi è disposto ad affrontare ogni sorta di difficoltà pur di coltivare la speranza in un futuro migliore. E su quei sentieri lungo i quali anche gli emigranti italiani risalivano la corrente del fiume alla ricerca di un lavoro oltre confine, centinaia di persone continuano a camminare ogni giorno, in un verso e nell’altro, delineando il profilo di un’emergenza che non accenna a finire.