Roma Film Festival. In cartellone la serie Disney+ “Avetrana. Qui non è Hollywood” e “Fino alla fine” di Muccino

Nel segno della cronaca nera, tra realtà e finzione. È il “filo giallo” che unisce due titoli in cartellone nel terzo giorno della 19ª Festa del Cinema di Roma. Il primo è la serie “Avetrana. Qui non è Hollywood” diretta da Pippo Mezzapesa con Vanessa Scalera, Anna Ferzetti, Giancarlo Commare, Paolo De Vita e Giulia Perulli. Prendendo le mosse dal romanzo "Sarah la ragazza di Avetrana" di Carmine Gazzanni e Flavia Piccinni, la serie ricostruisce l’uccisione della quindicenne Sarah Scazzi, scandagliandone dinamiche familiari e fotografando lo sguardo famelico e pruriginoso dei media che l’hanno raccontata. Sembra poi un fatto di cronaca, ma si muove sui sentieri della finzione, il nuovo film di Gabriele Muccino “Fino alla fine”. La vicenda di una ventenne statunitense in viaggio a Palermo, che sperimenta in sole 24 ore l’amore travolgente e il graffio della criminalità. Il punto dalla Festa

“Avetrana. Qui non è Hollywood” Copyright Disney+

Nel segno della cronaca nera, tra realtà e finzione. È il “filo giallo” che unisce due titoli in cartellone nel terzo giorno della 19ª Festa del Cinema di Roma. Il primo è la serie “Avetrana. Qui non è Hollywood” diretta da Pippo Mezzapesa con Vanessa Scalera, Anna Ferzetti, Giancarlo Commare, Paolo De Vita e Giulia Perulli. Prendendo le mosse dal romanzo “Sarah la ragazza di Avetrana” di Carmine Gazzanni e Flavia Piccinni, la serie ricostruisce l’uccisione della quindicenne Sarah Scazzi, scandagliandone dinamiche familiari e fotografando lo sguardo famelico e pruriginoso dei media che l’hanno raccontata. E ci si chiede anche se la serie non finisca essa stessa per far parte dello stesso circo mediatico. Racconto potente e sfidante, costruito con abilità e astuzia. Sembra poi un fatto di cronaca, ma si muove sui sentieri della finzione, il nuovo film di Gabriele Muccino “Fino alla fine”. La vicenda di una ventenne statunitense in viaggio a Palermo, che sperimenta in sole 24 ore l’amore travolgente e il graffio della criminalità. Con Elena Kampouris, Saul Nanni e Lorenzo Richelmy. Il punto dalla Festa.
“Avetrana. Qui non è Hollywood” (Disney+, 25.10.24)
La cronaca nera, la sua spettacolarizzazione, non smette di suscitare interesse nel nostro Paese. Dopo lunghi approfondimenti giornalistici, virati poi in chiave infotainment, è tempo ora di nuovi ritorni attraverso serie e docuserie Tv sulle principali piattaforme. Dopo “Il caso Yara. Oltre ogni ragionevole dubbio” di Gianluca Neri su Netflix, ora è la volta di “Avetrana. Qui non è Hollywood” di Pippo Mezzapesa (suoi “Ti mangio il cuore” del 2022 e “La legge di Lidia Poët 2” in uscita nel 2024), che ricostruisce il terribile omicidio avvenuto nella cittadina pugliese nel 2010. Il tracciato del racconto – 4 episodi, dedicati a ciascuno ai personaggi chiave della tragedia – si muove lungo il binario del romanzo “Sarah la ragazza di Avetrana” di Carmine Gazzanni e Flavia Piccinni; a firmare la sceneggiatura è lo stesso Mezzapesa insieme a Antonella W. Gaeta, Davide Serino, Carmine Gazzanni e Flavia Piccinni. La serie è prodotta da Matteo Rovere con Groenlandia, in onda dal 25 ottobre su Disney+.

La storia. Avetrana, 26 agosto 2010. Sarah è una quindicenne nel pieno dell’adolescenza, desiderosa di farsi apprezzare dai suoi pari. Quel giorno ha preso accordi con la cugina ventenne Sabrina per andare insieme al mare. Al mare le due ragazze non arriveranno mai, perché Sarah scompare. Sabrina avverte la famiglia e si attiva un passaparola tra la comunità per ritrovare la giovane. Arrivano sul posto i primi giornalisti che amplificano subito il caso e insinuano la possibilità di un delitto consumato in ambiente familiare…

(“Avetrana. Qui non è Hollywood” – Copyright Disney+)

Due gli episodi proiettati in anteprima alla 19a Festa del Cinema di Roma: “Sarah” e “Sabrina”, intitolati come le due cugine solidali-rivali, protagoniste di questa brutta pagina di cronaca nera. Il racconto da un lato mette in fila gli avvenimenti, dall’altro li declina attraverso la prospettiva degli attori in campo, vittima e carnefici. Non è una narrazione asciutta, oggettiva, ma uno sguardo sul crimine attraverso la psicologia dei suoi attanti.

La serie cala lo spettatore nella quotidianità statica e afosa di Avetrana nell’agosto del 2010, tracciando le traiettorie della famiglia Scazzi e Misseri. Anzitutto c’è Sarah, una giovane desiderosa di futuro, di essere vista dai propri pari, e magari anche amata sognando il primo amore. Sarah rappresenta l’ingenuità della sua generazione, il desiderio di vita e “ribellione”. Non si accorge però che la sua vitalità rischia di essere di troppo per la cugina Sabrina, che avverte in lei una pericolosa rivale.

Ma al di là delle psicologie dei singoli personaggi, quello che risulta più evidente è la presenza di un altro attante in campo: il ruolo dell’informazione, dei media in generale. “Avetrana. Qui non è Hollywood” dedica infatti ampio spazio all’esagerazione mediatica che ha avvolto il fatto di cronaca, sottolineandone il ruolo in prima linea nelle indagini e al contempo la responsabilità di una spettacolarizzazione oltre misura. In questo, la serie non sembra solo uno specchio riflettente e deformante di quanto avvenuto: è come se accettasse le stesse “regole del gioco” e ne prenda alla fine parte. Nel marcare l’esagerazione grottesca e pruriginosa dello storytelling della cronaca nera, ne finisce invischiata.

Stilisticamente, “Avetrana. Qui non è Hollywood” possiede una buona narrazione come pure una regia presente e capace. Ottimi gli attori in campo, soprattutto Vanessa Scalera nel ruolo di Cosima Misseri e Giulia Perulli in quelli di Sabrina. Il racconto ha forza, pathos ma anche una densità tematica sfidante e problematica, da maneggiare con cura. Il rischio voyeurismo del macabro è dietro l’angolo. Serie complessa, problematica, per dibattiti.

“Fino alla fine”
A poco più di venticinque anni dal suo primo film “Ecco fatto” (1998) e con successi importanti al botteghino – tra cui “L’ultimo bacio” (2001), “The Pursuit of Happyness” (2006) e “A casa tutti bene (2018) –, Gabriele Muccino firma la sua tredicesima regia provando a sperimentare ancora una volta con “Fino alla fine”, racconto giocato tra dramma esistenziale e thriller a sfondo poliziesco. Un film che esplora il desiderio giovanile di ribellione, tra luci e ombre. Protagonisti Elena Kampouris, Saul Nanni, Lorenzo Richelmy, Enrico Inserra e Francesco Garilli. L’opera è diretta e scritta da Gabriele Muccino – il copione è firmato con Paolo Costella –, prodotta da Lotus – Leone Film Group con Rai Cinema, nelle sale dal 31 ottobre con 01 Distribution.

La storia. Palermo oggi, Sophie e sua sorella sono due statunitensi in vacanza in Italia. Dopo una serie di tappe culturali atteranno a Palermo per trascorrevi 24 ore e poi ripartire per Oltreoceano. In spiaggia Sophie conosce Giulio, giovane bello e trascinante, che la invita a uscire. I due si ritrovano in un locale molto noto e da lì, insieme ai tre amici del ragazzo, si perdono nella notte palermitana tra eccessi, passioni e colpi di testa criminali. Una notte che segnerà per sempre la vita di tutti…

(Fino alla fine- 01Distribution)

“In un’epoca in cui le esperienze sono sempre più mediate da uno schermo, ci stiamo schiantando contro l’evidente, profondo e vitale bisogno di vivere pienamente, coinvolgendo corpo e mente per esplorare i limiti e spingerci oltre. Vivere davvero, senza rimorsi, senza pentimenti, gettando il cuore oltre l’ostacolo… perché si vive una volta sola”. Così il regista offre una chiave di lettura del suo ultimo film, improntato sul viaggio esistenziale della ventenne Sophie alla ricerca di sé, tra passioni travolgenti e azioni che valicano il buonsenso. Il racconto di una notte spericolata a caccia di ebbrezza e risposte, che però produce contraccolpi devastanti.

Muccino sa di certo dirigere molto bene la macchina da presa. È una sua dote. Inoltre, lavora bene con gli attori, che spinge verso vibranti intensità e sfumature interpretative, lontane dalla banalità. Il problema in “Fino alla fine” è l’impianto della storia e il suo svolgimento: il copione stenta a trovare un’identità precisa, risultando un mix di suggestioni e di generi senza chiara compattezza. Nel film la forma c’è, ed è anche di qualità, a latitare è la sostanza. La narrazione si muove nel già visto, senza troppi colpi di originalità. Complesso, problematico, per dibattiti.

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