Deportazione ebrei. Edith Bruck: “Far morire di fame l’odio dentro di noi e alimentare quel poco di bene che c’è sempre”

Ricordare la deportazione degli ebrei di Roma, avvenuta 81 anni fa, il 16 ottobre del 1943, in un momento storico divenuto drammatico per la guerra che sta infiammando il Medio Oriente, dopo il 7 ottobre dello scorso anno. “È tornato tutto l’odio come un boomerang”, dice la scrittrice testimone della Shoah, in questa intervista al Sir. E aggiunge: “Mi rifiuto di essere pessimista perché c'è del buono nel mondo, sempre. Anche nei momenti più bui, c'è sempre un po’ di luce”

(Foto ANSA/SIR)

“Oggi siamo disperati e non sappiamo cosa dire, cosa fare. Ma mi rifiuto di essere pessimista perché c’è del buono nel mondo, sempre. Anche nei momenti più bui, c’è sempre un po’ di luce ed è quella luce che bisogna in qualche maniera alimentare. Ognuno lo può fare. Far morire di fame l’odio dentro di noi e alimentare quel poco di bene che c’è sempre”. Ci lascia con queste parole Edith Bruck, scrittrice e testimone della Shoah, prima di mettere giù la conversazione al telefono. Il Sir l’ha contattata per una testimonianza nel giorno in cui a Roma si fa memoria della deportazione ad Auschwitz di oltre 1.200 ebrei romani. Era il 16 ottobre 1943 e sono passati 81 anni.

Si fa memoria anche quest’anno ma, dopo il 7 ottobre 2023, tutto è cambiato. Se lo aspettava?

Non dico che me l’aspettavo, però non mi sorprende per niente, perché va avanti senza fine questo disastro umano da quando sono al mondo. Non finisce mai. Il mondo è sempre più deludente. Il passato non ha insegnato nulla: questo è il problema. Tornano l’antisemitismo, il razzismo, la discriminazione. È tutto così disperante. Non si ha più voce, non si sa più cosa dire. Siamo ammutoliti.

Che senso ha allora fare memoria?

La memoria è fondamentale. Sono 64 anni che mi dedico a fare memoria. Ho anche pubblicato un libro da poco, dal titolo “I frutti della memoria”. Dal ’59, da quando sono in Italia, non ho mai smesso di raccontare cosa è accaduto. L’ho fatto fino a oggi e lo farò domani, dopodomani. Andrò avanti perché ho visto il risultato di questa mia testimonianza infinita. Vale sempre la pena raccontare. Mai stare zitti perché, in qualche maniera, i giovani, soprattutto, capiscono molte cose.

Oggi si guarda ad Israele con grande timore. Si parla di una difesa sproporzionata. Come si fa a superare questa fase storica così difficile?

È tornato tutto l’odio come un boomerang.

Anche perché sono cresciute diverse generazioni di palestinesi che hanno covato dentro l’odio. E quindi il rapporto tra i palestinesi e israeliani, e di conseguenza con gli ebrei di tutto il mondo, sarà sempre peggio. Quest’antisemitismo continua a crescere oggi, anche per il rapporto tra i palestinesi e israeliani che non riescono a trovare un via d’uscita. Finché non si riescono a creare “due Stati, due popoli”, si continuerà a giocare a chi uccide di più. Bisognerà creare in qualche modo uno Stato palestinese perché altrimenti, sarà un massacro reciproco. È una cosa agghiacciante. È diventato un gioco al massacro.

E in questo massacro a esserne vittima è sempre la popolazione civile…

Le vittime sono sempre i bambini, le donne, gli innocenti. Bisogna smettere. Smettere di lanciare le bombe. Smettere con la ricorsa alle armi che sono diventate un affare mentre la guerra continua e non finisce mai. Tutti si armano. Giocano con la morte. Cosa siamo diventati? Chi siamo?

Ogni vita è sacra, ogni vita è unica, ogni vita va difesa.

Io lo so perché mi sono aggrappata anche ad un filo di erba nei campi per sopravvivere. So cosa vuol dire la vita. Adesso invece è totalmente svalutata, com’è svalutata la morte. Anche i valori si sono svalutati. Anche la pace è svuotata di sostanza. Parliamo di pace, ma dov’è la pace?

Come rompere questo circuito vizioso?

L’uomo deve fare pace prima di tutto con sé stesso. L’altro giorno sono venuti a farmi un’intervista per il Giubileo e io ho detto che il mio cuore è una porta santa perché non provo odio per nessuno. Sono tornata dal campo di concentramento senza provare odio verso nessun essere umano.

Lei diceva di avere uno sguardo disperante. Eppure, continua a dare la sua testimonianza. Perché lo fa?

Perché non credo che non ci sia più nessuna speranza. Io la speranza l’ho trovata anche nel buio più totale. Basta uno sguardo umano. Basta un guanto bucato buttato da un tedesco. Non è vero che è tutto buio pesto, sempre. Anche quando non si vede una via uscita, anche nei campi di concentramento nazisti, basta un piccolo gesto, una frase detta, per dare speranza e voglia di vivere. Bisogna aggrapparsi a queste piccole cose minuscole in una situazione spaventosa.

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