Ragazzo vittima di bullismo, suicida a Senigallia. “Se il disumano abita l’umano”. Parla l’antropologo Mario Pollo

Rottura del patto sociale persona-comunità, mancanza di educazione all’interiorità, estromissione del principio di trascendenza. Queste, per l’antropologo Mario Pollo, le cause del vulnus educativo davanti agli occhi di tutti. Quando l’educazione si riduce a “mera didattica”, tra iper-individualismo, mancanza di senso e derive nichiliste, il disumano prende il sopravvento sull’umano, spiega in un’intervista al Sir commentando la vicenda del quindicenne di Senigallia, vittima di bullismo, che si è tolto la vita. E si chiede: "Quanto educhiamo a costruire relazioni autentiche con gli altri?"

Foto Ansa/Sir

Quando il bullismo uccide. Non è il primo e non sarà purtroppo l’ultimo. Leonardo Calcina, 15 anni, di Senigallia, vittima di insulti, umiliazioni e percosse da parte di alcuni compagni di scuola, nella notte tra domenica e lunedì si è tolto la vita con la pistola del padre, agente della Polizia municipale. Con Mario Pollo, antropologo dell’educazione, già docente di sociologia e pedagogia all’Università Lumsa di Roma, abbiamo tentato di capire quali siano le cause di questo fenomeno pervasivo di cui, secondo un’indagine di Terre des hommes dello scorso febbraio, nel nostro Paese è vittima il 63% dei giovani tra i 14 e i 26 anni.

(Foto archivio)

Che cosa c’è alla radice del bullismo, di tanta spietatezza di adolescenti nei confronti di coetanei più fragili?
Questo episodio si inserisce in un contesto di violenza più ampio: uccisione pochi giorni fa di un ragazzo per una cuffietta da pochi euro da parte di un altro ragazzo, omicidi per futili motivi, femminicidi, stragi familiari… Il bullismo è una delle diverse espressioni di un quadro generale, al cui interno l’uso della sopraffazione e della violenza diventa un surrogato per l’autorealizzazione, ossia la costruzione e l’affermazione di sé.

Ma che cosa c’è a monte?

Anzitutto la crisi dei legami comunitari.

La comunità dovrebbe essere il luogo che consente alle persone, da un lato di sviluppare le proprie caratteristiche individuali e dall’altro, attraverso un patto con gli altri membri della comunità, un luogo di reciproco sostegno, dove trovare le risorse che personalmente non si possiedono per realizzare compiutamente sé stessi. Per realizzarsi, ognuno di noi ha bisogno di un tessuto sociale e della cultura che esso esprime. Oggi invece viviamo la rottura di questo legame persona-comunità, con la conseguenza che in base al paradigma dominante ogni individuo deve “costruirsi” da solo ed è l’unico responsabile della propria affermazione/realizzazione umana. Una forma deteriore di iper-individualismo che sfocia nel ricorso, anziché al dialogo e allo scambio, all’aggressività e alla legge della forza.

La capacità di autoaffermazione diventa allora sopraffazione dell’altro

che, ad esempio in alcuni contesti professionali, viene quasi “normalizzata” a livello sociale.

Lei ha spesso denunciato la mancanza di educazione all’interiorità.
Sì, questo è il secondo elemento:

la crisi e la svalorizzazione dell’interiorità.

Educare le nuove generazioni all’interiorità significa aiutarle a guardarsi dentro; non solo a scoprire i propri talenti e punti di forza, ma anche le proprie ombre e fragilità; a prendere consapevolezza della propria finitezza umana, del proprio limite per far sì che anche le ombre contribuiscano alla luce. Oggi le persone vengono giudicate e valutate in base ai comportamenti esterni, alle prestazioni, alla loro affermazione sociale. Un’altra radice che in alcuni genera forme di violenza come il bullismo. Ma c’è anche un terzo elemento.

Quale?
Nella costruzione della realtà

viene estromesso ogni principio trascendente.

Ai nostri giorni il virtuale si è sovrapposto al reale; un reale che non è più nutrito a livello metafisico. Sono venuti meno i principi che ci aiutano ad interpretare la realtà, a darle un senso; manca un’educazione a rileggere il mondo, sé stessi, la propria vita con uno sguardo che trascenda la realtà e la superi. Una prospettiva che si incarna per chi è credente nella fede; per chi non lo è in un insieme di valori umani e sociali che danno comunque un senso “metafisico” alla realtà. Se a questo si aggiunge l’eccesso, trasformatosi paradossalmente, come già affermava Bauman più di 30 anni fa, da trasgressione a via di conformismo sociale, ne esce un quadro all’interno del quale il bullismo è la scorciatoia attraverso cui alcuni pensano di realizzare sé stessi costruendo la propria autostima sulla scorta del riconoscimento ottenuto dal loro essere “dominanti” nel gruppo. Insomma,

una violenza che tenta di mascherare una profonda debolezza.

Chi subisce insulti e umiliazioni spesso non è in grado di difendersi, e legge questa sua incapacità di sottrarsi alle prevaricazioni come inadeguatezza, avvertendosi inetto e non adatto a vivere nel mondo. Un sentimento che purtroppo fa precipitare qualcuno, come questo povero ragazzo, nell’autodistruzione.

Nel caso di Leonardo, ma anche in altri analoghi, colpisce l’assoluta mancanza di empatia del bullo nei confronti delle proprie vittime…
La mancanza di empatia, ossia l’incapacità di percepire la sofferenza che provoca un nostro comportamento in chi lo subisce, è una delle definizioni classiche della psicopatologia. Questo non riguarda solo gli autori di atti di bullismo; molte persone, pur senza compiere gesti violenti, nelle relazioni che intrattengono pensano esclusivamente ad affermare sé stessi senza tenere conto di ciò che il loro comportamento provoca negli altri. Anche questo dipende dalla mancanza di educazione alla propria interiorità. Io riesco a percepire ciò che sperimenta l’altro, solo se sono in grado di capire che cosa sperimento io. Se non sono in grado di discriminare tra le mie emozioni, di conoscerne le sfumature ed interpretarle a livello simbolico, se non guardo dentro me stesso, divento incapace di guardare all’interno degli altri.

Oggi, quanto stiamo educando a comprendere e sviluppare la propria interiorità, e a costruire relazioni autentiche con gli altri?

Come superare questo “vulnus”?
Oggi non si educa più nel senso profondo del termine. Si mira piuttosto all’apprendimento e all’acquisizione di tecniche e metodologie, senza offrire competenze necessarie alla comprensione di sé stessi, degli altri e del mondo in cui si vive.

L’educazione è un lavoro con l’umano; altrimenti è mera didattica.

Servirebbe allora un grande progetto e un importante investimento educativo su più livelli, ma nell’agenda politica questo tema è assente, e non da oggi…
La cosa più grave è che è assente anche in molti “professionisti” dell’educazione, la maggioranza dei quali si limita alla didattica e ad accompagnare le tendenze culturali dominanti nel presente, senza rendersi conto che

stiamo scivolando verso un baratro di totale disumanizzazione.  

Il disumano che abita l’umano, unito all’assenza di senso legata alla deriva nichilista presente nella nostra società.

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