Scuola e Paese

Iniziato da poco più di una settimana, l'anno scolastico 2024-25, purtroppo, si presenta con i mali consueti, a partire dalla teoria lunghissima di "supplenti" che iniziano le lezioni ma, molti di loro, sanno già che non continueranno con gli stessi alunni; i quali, a loro volta, sanno che quell'insegnante è solo di passaggio: con tutte le conseguenze del caso quanto ad impegno e ad efficacia della prima fase dell'anno che dovrebbe gettare le basi per il periodo successivo.

Iniziato da poco più di una settimana, l’anno scolastico 2024-25, purtroppo, si presenta con i mali consueti, a partire dalla teoria lunghissima di “supplenti” che iniziano le lezioni ma, molti di loro, sanno già che non continueranno con gli stessi alunni; i quali, a loro volta, sanno che quell’insegnante è solo di passaggio: con tutte le conseguenze del caso quanto ad impegno e ad efficacia della prima fase dell’anno che dovrebbe gettare le basi per il periodo successivo. Tra i “mali” anche la riduzione progressiva della popolazione scolastica, connessa all’inverno demografico che sta allarmando un po’ tutti (ma piuttosto in ritardo…), che si ripercuote a sua volta nella soppressione di classi e di plessi e nell’accorpamento di Istituti comprensivi, dove, se la diminuzione del numero di alunni per classe potrebbe portare ad un miglioramento del rapporto allievi-insegnanti, a pesare di più sembra invece essere la precarietà dei posti e una certa disorganizzazione, oltre alle comprensibili rimostranze di quelle comunità locali che si vedono private di un servizio fondamentale. Ne abbiamo chiari esempi a Chioggia con la concentrazione dei cinque I.C. in tre e l’inadeguato servizio di trasporto; a Taglio di Po con l’accorpamento dell’I.C. locale con quello di Ariano Polesine e Corbola; a Porto Tolle con la chiusura dell’Ipsia e l’escamotage temporaneo della pluriclasse in qualche frazione; a Cavarzere con l’annuale lotta per la sopravvivenza di alcune classi… Persistono una retribuzione inadeguata del personale come pure la minima quota di Pil dedicata all’istruzione (inferiori rispetto alla gran parte dei Paesi europei), elemento connesso alla disparità di trattamento nel lavoro tra maschi e femmine, le quali sono in amplissima maggioranza nel mondo della scuola… E via di seguito. Il nuovo anno si è aperto anche con alcuni buoni propositi e nuove linee dettate dal Ministero (con la promessa di nuovi fondi): la riorganizzazione dell’istruzione tecnico-professionale, la restrizione nell’uso degli smartphone con il divieto fino alla scuola secondaria di primo grado; il ridimensionamento del registro elettronico; le linee guida per l’insegnamento dell’Educazione civica (attorno ai tre nuclei: Costituzione, Sviluppo economico e sostenibilità, Cittadinanza digitale); il potenziamento dei servizi di orientamento; una maggiore inclusione con l’incremento di corsi di lingua italiana per studenti stranieri. Causa il ripetersi di episodi esecrabili, si è dovuto provvedere anche a stabilire sanzioni per chi aggredisce il personale scolastico! E’ questo, infatti, uno degli indici della “crisi” in cui si dibatte la scuola (come, ad es. la sanità): la mancanza di rispetto, da parte dei fruitori ma anche dei loro familiari, per l’ambiente e per quanti vi si dedicano. Posto che, per altro, anche la selezione del personale lascia a desiderare… E’ sotto gli occhi di tutti il livello di preparazione che, attualmente, in terza media non raggiunge neanche quello della quinta elementare di un tempo; e così per le superiori, o per l’Università, dove molti non sanno nemmeno più scrivere correttamente una relazione… Eppure ci dev’essere una strada per rilanciare il valore della scuola come palestra di istruzione e di educazione all’umano prima ancora che alla cultura (e senza ridurla ad ancella obbligata di ipotetiche prospettive occupazionali). Ci si può domandare come mai molte famiglie scelgono ancora le scuole paritarie pur sobbarcandosi (ingiustamente) spese maggiori; oppure perché si va diffondendo la “scuola parentale” (l’anglosassone “home school”)… Oltre alla mancanza di rispetto c’è infatti anche una mancanza di fiducia per la scuola statale: un bene prezioso in sé (che troppe volte però è stato posto in pretestuosa alternativa con quella non statale, anziché contemperarle proficuamente), ma che evidentemente richiede una radicale “riforma” nei presupposti e nelle articolazioni se si vuole assicurare un futuro al Paese. Lo “ius scholae”, per renderla davvero inclusiva, è solo una delle questioni da risolvere. Servirebbe una decisa “conversione” dell’istituzione, delle famiglie (che già faticano di loro) e degli alunni (da rimotivare).

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